L’Europa della difesa ha vissuto un anno importante con le inevitabili luci ed ombre. Gli ottimisti si concentrano, anche scaramanticamente, sulle prime. Questo è ancora più comprensibile se si considera il ritardo con cui l’Unione Europea si sta misurando con un tema che, invece, per lo meno da venticinque anni, avrebbe dovuto essere affrontato. Se ciò fosse avvenuto è probabile che oggi lo scenario sarebbe diverso e che sarebbe sicuramente meno indifesa.
La storia ha dimostrato innumerevoli volte l’importanza della deterrenza al fine di scoraggiare i potenziali aggressori e, in ogni caso, proteggersi meglio. Ma, fino ad ora, noi europei non siamo riusciti ad integrare la consapevolezza che si è sviluppata in un certo numero di Stati membri (purtroppo non in tutti) all’interno di una dimensione europea, anche se avrebbe dovuto essere evidente che da tempo non c’è alternativa a quest’ultima.
Il risultato è che il rafforzamento delle capacità europee di difesa e sicurezza attraverso una maggiore integrazione politica e militare è solo leggermente aumentato, mentre il ritardo fin qui accumulato e le minacce incombenti avrebbe richiesto una brusca accelerazione. Poco o niente, invece, è stato fatto per favorire una reale comunalità degli equipaggiamenti in servizio nelle Forze Armate nazionali, evitando nuovi programmi nazionali (anche mascherati da finti programmi di collaborazione per ottenere fondi europei) e troppe versioni nazionali dei pochi sistemi d’arma comuni.
Il risveglio del “fantasma” tedesco
Negli ultimi tre anni e soprattutto quest’anno si è registrata, comunque, un’importante novità nel campo della difesa: il risveglio di un vecchio fantasma da molti dimenticato, la Germania.
Prima Putin e poi anche Trump sono riusciti a smuovere il gigante tedesco, esplicitamente intenzionato ad allineare il suo peso politico internazionale e militare a quello economico e a diventare a breve il primo paese europeo in campo militare (per lo meno sul terreno convenzionale). Per ora si registra solo un cambiamento di postura internazionale e l’avvio di un piano di forti investimenti militari con ampia riorganizzazione delle Forze Armate, ma quando inizia un processo di riposizionamento è difficile prevedere a che punto si fermerà.
Sul piano europeo e internazionale la Germania sta passando, nel giro di pochi anni, da gigante economico e nano politico a gigante economico (anche se attraversa una preoccupante fase di stagnazione) e politico. L’attivismo che sta dimostrando sulla guerra russa contro l’Ucraina e la disponibilità a sostenere anche militarmente quello sfortunato Paese era semplicemente impensabile all’inizio di questo decennio. A riconoscerlo sono anche le due potenze nucleari europee, Francia e Regno Unito, che hanno ormai accettato di condividere la leadership della resistenza al delirio imperiale russo. Nel gioco dei rapporti di potenza intra-europei un grande merito della Germania è stato anche quello di aver cercato di favorire in ogni modo una risposta europea. Nonostante le obiettive difficoltà, l’Unione ha compiuto qualche piccolo passo avanti, come si è evidenziato nel recente Consiglio Europeo dove sono stati infranti due tabù: quello del debito comune europeo per sostenere finanziariamente l’Ucraina e quello di una decisione presa dalla maggioranza degli Stati Membri (seppur “tollerata” dai soliti pochissimi ultra-sovranisti). Sul versante transatlantico, inoltre, fin dall’insediamento della nuova amministrazione americana la Germania ha tenuto una posizione altrettanto ferma nel contrastarne gli attacchi commerciali sia sul piano commerciale sia su quello politico, difendendo insieme i suoi interessi nazionali e quelli europei. Anche da qui la crescita del suo ruolo in Europa (favorita anche dal secondo mandato della Presidente tedesca della Commissione Europea).
La spesa militare
Sul piano militare la Germania ha dichiarato esplicitamente due anni fa di voler diventare la principale potenza militare europea entro il decennio. A questo fine ha appena deciso un primo investimento straordinario per la difesa di 50 miliardi di euro (con la prospettiva di raddoppiarlo a breve) per arrivare al 3,5% del PIL entro la fine del decennio (quattro-cinque anni prima della scadenza decisa in ambito NATO). La credibilità della decisione è confermata dal raggiunto traguardo del 2% nel 2025, con un aumento di circa il 30% sul 2024 (e senza utilizzare la fantasia contabile di altri alleati). Nel 2026 la spesa militare tedesca è, quindi, prevista in 83 miliardi di euro (più del doppio di quella italiana).
Nel breve-medio periodo continuerà a mancarle lo status di potenza atomica, ma la nuova forma di guerra tradizionale+ibrida che si sta affermando, ha cominciato ad offrire nuovi strumenti di deterrenza. Alla minaccia della “demolizione atomica” si sta sommando quelle della “demolizione tecnologica” in cui nulla funzionerebbe più, come se fosse andato distrutto, mentre, invece, sarebbe semplicemente inutilizzabile per un arco di tempo sufficiente per mettere qualunque paese in ginocchio. Altri attori, oltre alle potenze atomiche, si preparano, di conseguenza, ad entrare in campo, se già non lo hanno fatto.
I nuovi programmi militari
Sempre a livello militare, numerose scelte per i nuovi equipaggiamenti, pur separate tra loro, stanno concorrendo al rafforzamento del ruolo tedesco.
L’alleanza franco-tedesca degli ultimi trent’anni sembra ormai essersi incagliata: si è iniziato tre anni fa con la decisione di non condividere con la Francia l’ammodernamento del comune elicottero anticarro Tiger (senza per ora manifestare una diversa opzione) per arrivare al mancato accordo sul programma per il velivolo di sesta generazione FCAS e allo stallo del progetto franco-tedesco MGCS per un carro di nuova generazione, avviato quasi dieci anni fa (nel frattempo la Germania ha lanciato due anni fa una nuova versione A 8 del carro da battaglia Leopard 2, dove il numero 8 indica quante versioni siano state via via realizzate per una quindicina di Paesi europei; considerando quelli che stanno già manifestando il loro interesse, il nuovo moderno e fortemente protetto Leopard 2 finirà molto probabilmente con l’inondare il mercato europeo del prossimo decennio, saturando così il mercato).
In campo subacqueo quattro anni or sono la Germania ha avviato, in collaborazione con la Norvegia, la costruzione di una nuova versione del sottomarino U 212 A, denominata CD-Common Design. Le dimensioni sono quasi raddoppiate e sono previsti due motori, maggiore autonomia soprattutto in immersione, tubi lanciamissili anti-nave e anti-superficie: di fatto si passa, così, dal semplice ruolo d’attacco anti-som e anti-nave a strumento di deterrenza missilistica. In questo modo la Germania sta consolidando la sua leadership in un settore destinato rapidamente ad una forte espansione, grazie allo sviluppo tecnologico che ne consentirà un ampio sfruttamento.
Nella difesa aerea, la Germania ha lanciato tre anni fa un grande programma europeo a guida tedesca, denominato ESSI-European Sky Shield Initiative. A prescindere dal fatto che, utilizzando per più di due terzi tecnologie e prodotti israeliani e americani (in particolare nei sistemi più delicati, a lunga e lunghissima distanza), non contribuirà certo ad aumentare la sovranità tecnologica del Vecchio Continente e, anzi, rischierà di saturare il mercato inibendo lo sviluppo tecnologico e industriale europeo, questo è il primo grande programma con leadership tedesca. Fino ad ora vi hanno aderito ben 21 Paesi, non solo membri dell’UE ma anche NATO e neutrali. La difesa aerea europea, la prima e più strategica esigenza del Vecchio Continente, sta prendendo, quindi, corpo con un programma non collegato alle Istituzioni europee, ma lanciato e diretto dalla Germania.
Nel settore spaziale, dove ormai il confine fra impiego militare e civile sta diventando sempre più labile, lo scorso mese la Germania ha approvato la “Space safety and security strategy” che prevede un investimento di 35 miliardi di euro in cinque anni e che ne farà il terzo investitore mondiale. La sua spesa annuale sarà, di conseguenza, quasi la stessa dell’ESA e questo da la misura dell’impegno finanziario tedesco. Se si tiene conto dell’importanza strategica dello spazio e delle sue crescenti applicazioni militari, questa decisione rappresenta, di fatto, un altro tassello del rafforzamento militare della Germania.
Da Bruxelles a Berlino?
Sul riarmo tedesco non vi sono ormai dubbi. Su come si realizzerà non vi sono, invece, certezze. Se fosse stato avviato in un quadro di forte collaborazione intra-europea il motore tedesco avrebbe sicuramente svolto un ruolo positivo. Svincolato dal quadro comunitario (persino nel livello intergovernativo), il processo resta affidato solo alla volontà tedesca e alla capacità attrattiva degli altri principali partner europei nel campo della difesa. Il fattore determinante sarà probabilmente il tempo. Date le difficoltà di accelerare il processo di integrazione politica e militare dell’Unione, solo un’iniziativa limitata ai paesi “willing and able” potrebbe risultare compatibile con l’urgenza di costruire una vera deterrenza militare comune, dentro o fuori dai Trattati. Ma questi Paesi non devono illudersi: non ci può essere spazio per alcuna forma di assemblearismo paralizzante e sovranismo nazionale. Si dovrà accettare una “governance” in grado di assumere decisioni comuni tempestive e un forte impegno finanziario per non rallentare la marcia del gruppo. E il baricentro potrebbe non essere più Bruxelles, ma Berlino.
Vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali. Dal 1984 svolge attività di studio e consulenza nel settore aerospaziale sicurezza e difesa per conto di organismi pubblici, di centri e istituti di ricerca, di società, di associazioni industriali. Dal 1992 al maggio 2018 è stato consulente della Presidenza del Consiglio presso l’Ufficio del Consigliere militare per le attività nel campo della difesa. Dal 2001 al 2017 è stato consulente del Ministero della Difesa – Segretariato generale della Difesa/Direzione nazionale degli armamenti – per gli accordi internazionali riguardanti il mercato della difesa. Dal 2014 al maggio 2018 è stato consigliere per gli affari europei del Ministro della Difesa e da giugno 2020 a novembre 2022 ha riassunto lo stesso incarico.






