Quattro scenari per il futuro dell’accordo nucleare con l’Iran

Dopo una pausa di più di cinque mesi finalmente riprendono i negoziati a Vienna per la riattivazione del Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), il nome ufficiale dell’accordo nucleare con l’Iran. Il Jcpoa, che l’Iran ha sottoscritto nel luglio 2015 con Francia Germania e Regno Unito più Cina, Russia e Usa, nonché l’Unione europea (per questo il gruppo è noto come E3/Ue+3), impone limiti alle attività nucleari (civili) dell’Iran e ha introdotto un severo regime di verifica da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea).

L’accordo è in stato comatoso dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti e la re-imposizione delle sanzioni ordinata dall’ex presidente Donald Trump nel maggio 2018. In risposta, a partire dal 2019 l’Iran ha progressivamente ridotto l’osservanza dell’accordo.

Nonostante sia ormai più un guscio vuoto che altro, l’intesa resta formalmente in piedi, grazie soprattutto alla decisione degli E3 e dell’Ue di continuare a sostenerla dopo il 2018, e dell’Iran di non abbandonarla del tutto; gli iraniani sostengono di essere in violazione del Jcpoa in risposta all’incapacità di europei, russi e cinesi di garantire loro i benefici economici promessi. Il governo di Teheran non ha tutti i torti, dal momento che la portata extraterritoriale delle sanzioni Usa ha di fatto bloccato, o ridotto al minimo, gli scambi commerciali (seppur legali) con l’Iran di Europa, Russia e Cina.

Da Rouhani a Raisi
Nella prima parte del 2021 l’Amministrazione Biden si è impegnata nel tentativo di definire i termini in base ai quali gli Usa sarebbero tornati nel Jcpoa. Dopo sei round negoziali tra E3/Ue+3 e Iran a giugno si erano cominciati a intravedere i contorni di un accordo. Ma tutto si è fermato dopo le elezioni presidenziali iraniane, che hanno visto il passaggio di consegne tra il moderato Hassan Rouhani, grande promotore dell’accordo, e il conservatore Ibrahim Raisi, fautore di una linea più intransigente.

Pur dicendosi disposta a riprendere i negoziati, l’Amministrazione Raisi ha rallentato il processo diplomatico. Nel frattempo ha continuato a presiedere allo sviluppo di attività proibite dall’accordo. In particolare l’Iran ha continuato ad arricchire l’uranio; un processo necessario a generare elettricità che tuttavia può essere convertito a usi militari.

Teheran ha non soltanto accresciuto il suo stock di uranio a basso arricchimento (2-3%, sufficiente per essere impiegato in un reattore), ma anche quello di uranio arricchito al 20% (in teoria necessario per scopi medici, ma proibito dall’accordo) e addirittura al 60% (un livello pericolosamente vicino al 90% necessario per una testata). Ha anche continuato a produrre generazioni di centrifughe, le macchine necessarie all’arricchimento, più avanzate e in numero maggiore di quanto consentito dal Jcpoa. Soprattutto l’Iran ha ridotto la cooperazione con l’Aiea, che ha ammesso di non essere più in grado di verificare con accuratezza lo stato di avanzamento del programma nucleare iraniano.

Le richieste di Teheran
I negoziati riprendono quindi in un clima di generale pessimismo. Gli E3/Ue+3 vogliono che questo nuovo round di trattative prenda le mosse lì dove si era interrotto il precedente. L’Iran non si è però esposto, preferendo invece insistere su alcune condizioni che ritiene debbano essere soddisfatte perché il Jcpoa possa tornare pienamente in vigore. In particolare, gli iraniani vogliono la sospensione di tutte le sanzioni adottate dall’Amministrazione Trump; non soltanto cioè quelle che erano state sospese in base all’accordo, ma anche molte altre introdotte successivamente. In secondo luogo, l’Iran vuole una compensazione per i danni economici inflitti dalla politica di ‘massima pressione’ economica di Trump. Infine Teheran pretende garanzie oggettive che gli Usa non si ritirino nuovamente dall’accordo.

Se il governo iraniano ritiene queste condizioni immodificabili, la trattativa avrà vita corta. Se tuttavia definiscono invece una posizione iniziale che necessariamente andrebbe ammorbidendosi nel negoziato, allora c’è qualche speranza. Gran parte del lavoro svolto nei precedenti round negoziali aveva riguardato l’individuazione delle sanzioni Usa incompatibili con il Jcpoa. L’Amministrazione Biden è intenzionata a sospendere queste misure (che includono le famigerate sanzioni extraterritoriali, o ‘secondarie’) ed eventualmente poche altre che Trump ha adottato al solo scopo di rendere la vita più difficile al suo successore.

Non c’è alcuna chance invece che gli americani offrano una compensazione agli iraniani per i danni subiti dal 2018, sebbene siano ipotizzabili meccanismi attraverso i quali l’Iran otterrebbe immediatamente dei benefici economici. Su questo fronte è essenziale l’azione degli europei, che potrebbero offrire all’Iran assistenza immediata nella lotta al Covid (purtroppo le sanzioni Usa avevano bloccato anche questa) e offrire linee di credito agevolate.

Dialogo aperto
Biden non può nemmeno garantire contro un altro eventuale ritiro da parte del suo successore. Anche qui però si possono trovare formule intermedie che valgano da garanzia parziale. Gli europei possono impegnarsi formalmente ad attivare le misure anti-coercizione, al cui rafforzamento l’Ue sta lavorando da mesi, qualora gli Usa tornino ad adottare sanzioni extraterritoriali.

In definitiva, le condizioni tecniche perché il Jcpoa sia riattivato non sono impossibili da soddisfare. Quello che resta da verificare è la volontà politica delle parti. Dal canto loro, gli E3/Ue+3 hanno mostrato una rimarchevole unità. Gli Usa e gli E3/Ue si sono coordinati con la Cina e soprattutto con la Russia, che è stata molto attiva nei precedenti round negoziali. Molto, forse tutto, dipenderà quindi dalla capacità delle sei potenze di combinare pressione e incentivi per persuadere l’Iran ad abbandonare pretese chiaramente irricevibili.

Un Jcpoa-minus…
Quali sono dunque le prospettive per il futuro? Possiamo immaginare quattro scenari: la rottura delle trattative; un accordo al ribasso, una specie di Jcpoa-minus; la riattivazione del Jcpoa così com’è ora; e infine un’intesa di più alto livello, un Jcpoa-plus.

Il primo scenario è del tutto plausibile. Perché si verifichi non è nemmeno necessario che le trattative si rompano. Sarebbe sufficiente che non facessero progressi per qualche mese, perché più si va avanti nel tempo più il valore specifico del Jcpoa diminuisce. I limiti imposti all’arricchimento, infatti, verranno progressivamente meno tra il 2026 e il 2031. Questo scenario funesto vedrebbe la pressione diplomatica sull’Iran aumentare un po’ da tutte le parti, non solo in America ed Europa ma anche nella regione, dove i Paesi rivali dell’Iran come Israele e Arabia Saudita potrebbero spingere per un’azione armata (a guida Usa) contro le infrastrutture nucleari di Teheran. Le stesse Cina e Russia non potrebbero offrire piena copertura diplomatica a Teheran, sebbene senz’altro si opporrebbero a un intervento armato.

Dati gli alti costi economici e diplomatici e i rischi elevati, i conservatori iraniani potrebbero avere altro in testa che far deragliare le trattative. L’opzione più probabile è il Jcpoa-minus, un accordo più limitato nel tempo e che offra all’Iran un alleggerimento economico parziale. Questa soluzione ha un certo appeal a Teheran perché la Guida suprema Ali Khamenei, Raisi e la fazione conservatrice al potere non sono interessati a integrare la Repubblica islamica nell’economia mondiale e potrebbero accontentarsi di tornare a esportare petrolio. Questo accordo sarebbe inoltre sufficiente perché Russia e Cina continuino a investire nelle loro relazioni diplomatiche e di sicurezza (la prima) e politico-economiche (la seconda) con l’Iran.

… o un Jcpoa-plus?
Il terzo scenario, la riattivazione del Jcpoa, è improbabile ma ancora possibile. Il ritiro Usa ha comportato una grave erosione di fiducia reciproca e il rafforzamento degli oltranzisti tanto a Teheran quanto a Washington, col risultato che la promessa di una relazione irano-americana più costruttiva iscritta nel Jcpoa è andata perduta. Un Jcpoa riattivato garantirebbe al massimo una relativa e temporanea distensione. Quando i primi limiti all’arricchimento scadranno nel 2026 la situazione tornerà a farsi tesa, col rischio di una nuova rottura entro il 2031, la data dopo la quale l’Iran avrà diritto ad arricchire l’uranio su scala industriale. Bisogna comunque ricordare che non solo una pausa del genere sarebbe molto meglio della situazione attuale, ma che il Jcpoa offre anche altre fondamentali garanzie che non scadranno, come l’impossibilità per l’Iran di sviluppare plutonio per una bomba (la via usuale per sviluppare un arsenale atomico) e le ispezioni dell’Aiea.

Il quarto scenario vedrebbe l’Iran accettare limitazioni nucleari maggiori o più durature nel tempo in cambio della revoca di più sanzioni da parte Usa. Questo è di gran lunga non solo lo scenario più rassicurante sul fronte della sicurezza regionale e della non-proliferazione, ma anche quello strategicamente più sensato per l’Iran. Un Jcpoa-plus creerebbe una tregua di lungo periodo con Washington, allenterebbe le tensioni con gli avversari regionali e porrebbe le basi la normalizzazione della relazione politico-economica con l’Europa. In questo modo l’Iran non si troverebbe costretto ad appoggiarsi esclusivamente su Mosca e Pechino in politica estera, mantenendo così quella indipendenza strategica cara alla Repubblica islamica. Per quanto il migliore per tutti, questo scenario è al momento anche il più improbabile, vista l’ideologica rigidità dei conservatori che fanno capo a Khamenei e a Raisi.

EPA/ABEDIN TAHERKENAREH

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