Una nuova prospettiva europea per Kosovo e Serbia

Gli scontri di martedì scorso nei comuni a maggioranza serba del nord del Kosovo, tra cittadini di nazionalità serba e le forze di pace NATO della KFOR, hanno portato al ferimento di una trentina di militari NATO, di cui 11 alpini italiani. Tutto ciò ha riacceso l’attenzione pubblica su una situazione, quella della normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia, che richiede soluzione strutturali credibili e di lungo periodo.

Le responsabilità alla base degli scontri

Tensioni e scontri si ripetono ciclicamente nel nord del Kosovo. L’ultimo episodio ha però segnato un livello di violenza eccezionale per questi ultimi anni. Ciò riflette anche il peggioramento della situazione internazionale, con la guerra della Russia all’Ucraina che crea maggiori problematiche di sicurezza in tutta Europa.

Nel caso dell’ultimo scontro in Kosovo vi è un chiaro concorso di colpe in una situazione che è sfuggita di mano. Chiare sono innanzitutto le responsabilità locali. I governi di Pristina e Belgrado sono spesso sembrati più impegnati a coltivare la parte nazionalista del proprio elettorato piuttosto che nella ricerca di soluzioni sostenibili. Ciò ha portato a una costante strategia della tensione e della provocazione tra le due parti. 

In questo senso sono da leggere gli eventi che hanno portato agli scontri di questi giorni: tanto il boicottaggio da parte serba delle elezioni locali nel nord del Kosovo, dove meno del 4 per cento degli aventi diritto al voto si è recato alle urne lo scorso aprile, quanto la forzatura da parte delle autorità di Pristina di imporre l’insediamento di quattro sindaci con l’ausilio delle forze speciali di polizia. 

Il ruolo dell’Unione Europea

Sullo sfondo, vi sono una serie di questioni rimaste irrisolte che stanno al centro delle propagande nazionaliste di entrambi i governi: a partire dal riconoscimento da parte serba dell’avvenuta indipendenza del Kosovo, al conferimento da parte kosovara di uno livello di autonomie locali adeguato ai comuni a maggioranza serba nel nord del paese. 

Non sono però da sottovalutare nemmeno le responsabilità europee. Solo pochi mesi fa, lo scorso marzo, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dichiarava con visibile soddisfazione il raggiungimento un accordo mediato dall’Ue per normalizzare la Serbia e il Kosovo. L’accordo aveva, tra i suoi punti centrali, proprio lo statuto delle cittadine a maggioranza serba nel nord del Kosovo.

La debolezza della posizione europea in questi anni, e del ruolo dell’Ue nella facilitazione del dialogo, è legata all’avere scelto un approccio securitario e reattivo rispetto alle crisi e tensioni locali piuttosto che un approccio di lungo termine. È mancata, tuttavia, una politica di allargamento che fosse veramente credibile e che desse gli incentivi agli attori locali ad intraprendere un reale processo di normalizzazione delle loro relazioni. Purtroppo non ci sono soluzioni rapide e scorciatoie.

Foto di copertina EPA/GEORGI LICOVSKI

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