La “maggioranza Ursula” e l’Europa immaginaria

Del fallito tentativo da parte di un gruppo di deputati di estrema destra di far votare una mozione di censura da parte del Parlamento Europeo contro la Commissione Europea e la sua Presidente Ursula von der Leyen, sappiamo tutto. Non è detto però che il racconto che ce ne è stato fatto, corrisponda alla realtà. In sostanza, quella che ci è stata raccontata è la vicenda di una crisi strisciante che affligge la coalizione che sostiene la Commissione al Parlamento Europeo. Crisi dovuta alla insoddisfazione di tre membri della coalizione, liberali, socialisti e verdi, verso i popolari del PPE, partito di maggioranza relativa a cui appartiene anche von der Leyen. Essi sarebbero infatti colpevoli di due crimini: aver spostato decisamente a destra l’asse dell’UE in alcuni settori e a questo fine di aver coscientemente fatto ricorso in varie occasioni ai voti dei partiti populisti e sovranisti di destra, per definizione “antieuropei”. Prova aggiuntiva, i buoni rapporti che von der Leyen intrattiene con Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio a Roma, ma il cui partito è anche la componente principale di uno dei partiti sovranisti in Europa. Tutto ciò sembra chiaro, ma purtroppo descrive un’Europa che non c’è. Ciò è tanto più pericolosamente distorsivo, perché sembra di facile comprensione per cittadini abituati al funzionamento delle normali democrazie parlamentari.

Il problema è che l’UE non è una federazione e ancor meno funziona come una democrazia parlamentare del tipo da noi conosciuto. È un sistema ibrido, né federale né veramente intergovernativo, che riunisce paesi che restano sovrani ma che condividono all’interno delle istituzioni comuni pezzi della loro sovranità. Come spesso dicono i giuristi, gli Stati restano “padroni dei trattati”. Al centro di questo sistema ibrido c’è un’istituzione, la Commissione, che ha alcune caratteristiche comuni con l’idea del Governo che abbiamo comunemente, ma in misura molto più limitata. La sua legittimità dipende in parte dai governi e in parte dal Parlamento Europeo che vota la sua investitura e che può anche censurarla. Il tutto in un sistema in cui i poteri di decisione sono condivisi fra il Consiglio dei ministri nazionali e il Parlamento Europeo. Condivisione che tuttavia e a causa della natura del sistema, vede un netto predominio dei governi soprattutto nelle materie che sono ai margini dei poteri che i trattati attribuiscono all’UE. Parliamo di materie al cuore della sovranità statale come l’immigrazione o la politica estera e di difesa. Questo sistema, che abbiamo ereditato e con cui viviamo da quasi 80 anni, è certamente criticabile. Tuttavia, nessuno pensa che possa essere modificato nel breve periodo. Una narrativa che suggerisce l’immagine di un sistema di governo dell’UE basato su una maggioranza parlamentare che esprime un governo è quindi gravemente fuorviante.

Di che cosa si accusa von der Leyen? In sostanza di aver “spostato a destra” l’orientamento politico delle proposte della Commissione su molti dei principali problemi che l’UE deve affrontare. Di cosa si tratta? In primo luogo, di una gestione molto restrittiva dell’immigrazione. Poi di una revisione del Green Deal nel senso di dare più peso alle esigenze legate alla crescita e alla competitività. Poi della proposta di considerare il riarmo di fronte alla minaccia russa e all’aggressione all’Ucraina una priorità assoluta dell’UE, anche a scapito di altri obiettivi. Infine, di proporre una risposta non ideologica ma pragmatica e focalizzata sui nostri interessi, al terremoto trumpiano. La svolta è peraltro innegabile, È tuttavia falso che costituisca una scelta autonoma e arbitraria della Commissione e ancor meno un tentativo, in accordo con il PPE, di inseguire la destra sovranista.

Qual è infatti il compito della Commissione, la sua ragion d’essere? In sostanza essa deve fare la sintesi dei problemi che l’UE deve affrontare, interpretarli nell’interesse comune e proporre la strada da seguire. Tuttavia, il fine è raggiungere il consenso. Una difficoltà che la Commissione deve affrontare è che Parlamento e Consiglio non riflettono esattamente gli stessi equilibri politici. Dato l’equilibrio dei poteri già descritto, la Commissione deve prima assicurarsi un certo consenso da parte almeno della maggioranza dei governi per poi negoziare gli opportuni aggiustamenti con il Parlamento. Parlare di una “rottura del patto di maggioranza” alla base della sua elezione, è quindi privo di senso. La famigerata “svolta a destra” operata dalla Commissione sui temi già citati, non fa che riflettere l’attuale orientamento largamente maggioritario dei governi dell’UE. In sostanza, von der Leyen può certamente essere criticata per alcuni aspetti della sua azione, ma nella sua strategia politica fa semplicemente il suo mestiere.

Un altro errore della narrativa corrente è quello di interpretare la dinamica politica dell’UE in termini di scontro fra forze “pro-europee e anti-europee”. Questa distinzione esiste certamente sul piano ideologico, ma nella realtà è molto raro che lo scontro concreto si manifesti in questi termini. È stato certamente il caso nel dibattito britannico su Brexit e per quanto riguarda la particolare posizione attuale dell’Ungheria. È anche vero all’interno del PE per gran parte ma non tutti i gruppi che costituiscono la destra populista. Nella maggior parte del contenzioso permanente che caratterizza i comportamenti dei governi nella la vita quotidiana dell’UE, si può invece affermare che ognuno, caso per caso, è “pro-europeo a modo suo”. Per esempio, non c’è nulla di intrinsecamente anti-europeo nell’avere una visione più o meno ambiziosa del Green Deal.

Con queste premesse, come si spiega il comportamento dei socialisti e dei verdi rispetto a von der Leyen? In un sistema che privilegia il peso dei governi, i verdi ne sono quasi totalmente assenti, mentre quelli a guida socialista sono solo tre, peraltro su posizioni molto diverse sui problemi prioritari già citati. Si può quindi comprendere che alcuni di essi considerino il PE la sola leva di cui dispongono per far valere le loro ragioni. Il comportamento dei liberali è più misterioso, dal momento che la loro componente principale è costituita dai rappresentanti macronisti francesi che quindi dovrebbero in teoria essere vicini alle posizioni del loro governo. Ma questi sono i misteri dell’attuale fase della politica francese.

È possibile che, come alcuni auspicano, questi tre partiti rilancino l’idea di una mozione di censura contro von der Leyen nel prossimo autunno su un terreno politico a loro più congeniale. Sarebbe un grave errore perché condurrebbe con ogni probabilità a un esiziale stallo istituzionale; oppure, dopo un duro confronto, alla nomina di un Presidente ancora più conservatore e probabilmente politicamente più debole. La verità è che il PE è sull’orlo di una grave crisi d’identità. Crisi di cui, è bene dirlo, una certa arroganza del PPE porta una parte di responsabilità. L’origine della crisi è nell’illusione che i cosiddetti “partiti europei” siano molto più che federazioni di partiti nazionali impegnati in una faticosa ricerca di una sintesi.

Questa fase di incertezza identitaria riferita all’Europa attraversa del resto anche la politica dei singoli paesi. In molti casi, la frattura è visibile all’interno delle attuali o potenziali coalizioni di governo. Il caso spagnolo è evidente. Quello francese anche. Il caso più complesso è probabilmente quello italiano, dove sono profondamente divise sia la maggioranza di governo sia l’opposizione. Un problema particolare per Giorgia Meloni che, come governo italiano si situa largamente nelle grandi linee della politica comune dell’UE, mentre in quanto responsabile politico è alla testa di un partito che si vuole sovranista e stenta a trovare una identità stabile all’interno del PE; come dimostrato da numerosi voti recenti.

Mettere ordine in tutto questo è urgente non solo per la gravità dei problemi da affrontare, ma perché siamo obbligati ad inventare strumenti e procedure nuove. È evidente che l’UE non ha la forza né i mezzi per trattare la totalità dei problemi. In un contesto caratterizzato dall’indispensabile ritorno nel gioco europeo del Regno Unito, sarà necessario agire su vari livelli: quello dell’UE, quello della NATO, ma anche in alcuni casi attraverso accordi intergovernativi. Ciò richiederà una notevole immaginazione istituzionale. Con tutti i suoi limiti, la Commissione sembra averlo capito. È bene che lo integrino pienamente tutti i governi, ma soprattutto le forze politiche presenti nel PE. Poi, si tratterà di rendere tutto ciò comprensibile all’opinione pubblica. Compito non facile.

Riccardo Perissich, già direttore generale alla Commissione europea, è autore, fra l'altro, dei volumi 'L'Unione europea: una storia non ufficiale' e 'Stare in Europa: Sogno, incubo e realtà'

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