Nelle scorse settimane, il Kazakistan è stato sconvolto da un’ondata di proteste antigovernative. Ad agire da detonatore di un disagio consolidato sarebbe stata una riforma del mercato interno del Gpl – un prodotto associato dell’estrazione petrolifera e carburante molto diffuso nel paese. Un graduale processo di rimozione dei prezzi amministrati si è tradotto in un rapido apprezzamento del Gpl nella regione occidentale di Mañğystau, culla della protesta, forse risultato anche da pratiche collusive fra gli operatori della distribuzione. Eventi che dunque non riflettono i rischi politici del caro-energia mondiale – dal quale il Kazakistan, produttore ed esportatore di gas e petrolio, sembra sufficientemente al riparo – bensì quelli ben noti dell’introduzione di riforme settoriali nei petrostati.
In reazione alla protesta, il presidente Qasym-Jomart Tokayev ha chiesto e rapidamente ottenuto un intervento dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO) a guida russa – limitato tuttavia nei numeri e nei tempi. Mentre la situazione sembra tornare sotto il controllo governativo in seguito ad una violenta repressione e un probabile regolamento di conti nell’élite al potere, diverse analisi hanno suggerito possibili cambiamenti negli equilibri regionali, spesso riflessi nelle relazioni energetiche. In che modo gli sviluppi politici di questi giorni possono influenzare il gioco politico delle risorse centroasiatiche?
Il Kazakistan nella politica energetica regionale
Il Kazakistan è un vero e proprio crocevia regionale dell’energia. Nel 2019, il paese ha esportato 1,58 milioni di barili al giorno di petrolio, 27,5 miliardi di metri cubi di gas e 14 milioni di tonnellate di carbone. Il Kazakistan è inoltre il maggiore produttore ed esportatore mondiale di uranio, con una quota del 40,8% della produzione mondiale nel 2020 – un paese dunque strategico per l’industria mondiale del nucleare civile. L’abbondanza di risorse energetiche del Kazakistan e la possibilità di servire idrocarburi a diversi mercati fra cui Europa, Russia e Cina ha fornito al paese uno strumento per il perseguimento di una politica estera multivettoriale, strategia comune a diversi leader centroasiatici per preservare autonomia nel complesso gioco degli interessi delle potenze maggiori.
I giacimenti di petrolio e gas nord-caspici di Qaşağan, Teñiz e Qaraşyğanaq hanno consentito al Kazakistan di sviluppare relazioni con un grande numero di multinazionali del petrolio, fra cui le europee Eni, Shell e Total, le americane Exxon e Chevron, la cinese CNPC e la giapponese Inpex. Allo stesso tempo, il Kazakistan è parte integrante del russocentrico sistema infrastrutturale post-sovietico, attraverso il quale esporta gas e petrolio verso la Russia.
Infine, il Kazakistan ha una forte rilevanza strategica per la Cina come paese di transito per il gas turkmeno. Inaugurato nel 2009, il gasdotto Central Asia-China, che collega i giacimenti turkmeni di Baktyýarlyk con la Cina via Uzbekistan e Kazakistan, assicura più di un quarto delle importazioni cinesi di gas. Dal punto di vista strategico, questo gasdotto riduce la dipendenza cinese dalle rotte energetiche marittime, considerate dalla Cina più insicure di quelle terrestri. Dal punto di vista commerciale, la rotta centroasiatica del gas assicura alla Cina una migliore posizione negoziale nei negoziati energetici con la Russia. Pechino ha infatti sviluppato tale corridoio prima di finalizzare con la Russia, nel 2014, un accordo trentennale per la fornitura di 38 bcm all’anno di gas russo attraverso il gasdotto Power of Siberia, operativo dal 2019.
Gli esiti della rivolta e il significato per gli equilibri energetici regionale
Diversi analisti hanno sottolineato come gli eventi delle scorse settimane potrebbero portare il Kazakistan ad assumere una posizione maggiormente allineata a Mosca. Se non è ancora chiaro come la Russia intenda spendere i dividendi politici del breve intervento della CSTO, si può tuttavia concludere che la prontezza con cui Mosca ha assicurato il suo sostegno ha chiaramente segnalato alle autorità kazake da che parte stare.
Dal punto di vista della dipendenza energetica di Pechino dal corridoio energetico kazako, la mossa russa è allo stesso tempo rassicurante e preoccupante. Rassicurante nella misura in cui la crisi politica sembra rientrare, e la Russia non starebbe approfittando della situazione per stabilire qualche forma di presenza permanente. Il contingente CSTO ha infatti già iniziato le operazioni di ritiro.
Preoccupante, tuttavia, in vista di un possibile riallineamento strategico della regione verso gli interessi russi. In questo contesto, che i produttori di idrocarburi centroasiatici possano vedere ridotta la loro agibilità negoziale in favore di Mosca potrebbe non essere vista come una buona notizia da Pechino. La Russia potrebbe accrescere la sua influenza sul dialogo energetico sino-centroasiatico, rendendo difficile per la Cina giocare le risorse centroasiatiche contro quelle russe e viceversa.
Uno scenario poco piacevole per Pechino anche nel quadro della prospettiva di un consolidamento delle relazioni energetiche sino-russe. Se per anni la Russia ha ignorato il mercato cinese, l’agenda climatica europea (e cinese) e il peggioramento delle relazioni con l’occidente accelerato dalla crisi ucraina del 2014 hanno reso per Mosca imprescindibile guardare a oriente. In futuro, la Russia potrà coltivare tale partnership a condizioni migliori quanto maggiore sarà la sua influenza sulle scelte energetiche della concorrenza centroasiatica.
Per il Kazakistan Mosca è troppo importante
Sicuramente, occorre cautela nell’avanzare ipotesi di riallineamenti significativi. Dalla prospettiva dei leader kazaki, gli interessi del paese sono stati serviti bene da trenta anni di politica estera ed energetica multivettoriale, e difficilmente si può ipotizzare un cambiamento improvviso da un’orgogliosa autonomia ad uno status di stato cliente di Mosca. C’è tuttavia un fatto che certamente dovrebbe turbare i leader cinesi. Nonostante la crescente influenza economica e l’integrazione infrastrutturale dell’Asia Centrale con la Cina, la Russia sembra essere l’unico attore dotato di capacità e volontà di intervenire direttamente per difendere la stabilità del regime, e con essa la sicurezza di infrastrutture sempre più vitali per Pechino in termini diplomatici ed economici.
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