La politica interna di Biden: un quadro in chiaroscuro

Quando si è insediato alla Casa Bianca dopo la bufera dell’assalto al Congresso da parte di una folla di dimostranti pro-Trump, Joseph R. Biden si è ripromesso di timonare gli Stati Uniti fuori dalle acque agitate della crisi pandemica e riportarli al centro delle relazioni internazionali.

Tra pandemia e spinte conservatrici 

A un anno di distanza, tuttavia, Biden naviga in acque burrascose. Per quanto importante, la politica estera è rimasta in secondo piano – con la significativa ma breve eccezione dell’Afghanistan – durante il primo anno della sua presidenza. Gli affari interni hanno assorbito la maggior parte delle sue attenzioni. I risultati sono però in chiaroscuro.

Inizialmente, la lotta al Covid-19 è stata un successo. Biden ha profuso grandi energie nella campagna vaccinale, che fino alla primavera inoltrata del 2021 ha visto gli Stati Uniti all’avanguardia sul piano internazionale. L’Amministrazione ha anche adottato misure di salvaguardia come l’uso delle mascherine e del distanziamento sociale negli edifici federali e nei mezzi di trasporto pubblici. Contagi e fatalità giornaliere sono calati drasticamente.

Le cose sono peggiorate durante l’estate, quando è emersa e presto divenuta dominante la variante Delta. Con l’arrivo di Omicron in autunno la situazione si è ulteriormente aggravata. I contagi saliti vertiginosamente, mettendo in luce le carenze delle politiche pubbliche (in autunno per esempio la produzione di tamponi ha accusato gravi ritardi) e mettendo gli ospedali sotto enorme pressione (anche per carenza di personale).

L’impatto delle nuove varianti è stato largamente esasperato dal brusco rallentamento della campagna vaccinale durante l’estate e dall’ostinato rifiuto di molte autorità statali di adottare misure cautelative elementari (a partire dall’uso della mascherina in luoghi chiusi). L’opposizione alle misure anti-covid è stata portata avanti soprattutto dai Repubblicani, sospinti da un elettorato conservatore critico del vaccino, insofferente alle restrizioni e estremamente ostile all’amministrazione democratica. Anche la Corte Suprema, in cui i giudici conservatori hanno una supermaggioranza (6-3), ha ostacolato gli sforzi di Biden, invalidandone la direttiva che imponeva l’obbligo di vaccinazione o continui test per i lavoratori delle grandi aziende. Con una curva di crescita modesta, il tasso di vaccinazione (due dosi) negli Stati Uniti (62%) è ora tra i più bassi nei paesi occidentali.

L’ombra dell’inflazione sull’economia

La ripresa del covid prospetta nuove difficoltà sul fronte dell’economia, sul quale pure la performance di Biden nel suo primo anno è senza rivali o quasi. La crescita stimata per il 2021 è del 5,6%, le aziende registrano profitti da record e i mercati finanziari sono cresciuti a ritmi sostenuti, così come il credito al consumo. Anche il mercato del lavoro è più che robusto: i salari sono in netta crescita e, con un tasso di disoccupazione del 3,9%, l’economia è vicina alla piena occupazione. Biden può rivendicare il merito di avere contribuito alla riapertura e ripresa dell’economia con la campagna vaccinale e il sostegno alle famiglie e ai disoccupati garantiti dai $1900 miliardi allocati dall’American Rescue Plan Act votato dal Congresso a marzo.

Eppure, l’aria che si respira negli Stati Uniti – almeno stando ai media e ai sondaggi – è di preoccupazione più che fiducia. La ragione è l’impennata dell’inflazione, che a dicembre è cresciuta del 7%, il tasso più alto da quarant’anni a questa parte. Le cause includono le interruzioni nelle catene globali di approvvigionamento merci seguite alla crisi del covid e la crescente domanda energetica. È possibile che lo stimolo fiscale di Biden, il terzo dopo i due varati sotto Donald Trump, sia in parte responsabile visto che ha tenuto alti i consumi anche in epoca di crisi. Dopo aver insistito per mesi che si trattava di un fenomeno passeggero, l’Amministrazione Biden deve ora fronteggiare la prospettiva di un rialzo dei tassi di interesse da parte della Fed, che rischia di rallentare la crescita.

I democratici “troppo” moderati

Se l’economia tornasse a stentare sarebbe il colpo di grazia alle speranze dei Democratici di mantenere la maggioranza alla Camera e forse anche al Senato alle elezioni di metà mandato di novembre. Biden sconta anche l’insoddisfazione dell’elettorato progressista per aver mancato di far approvare dal Congresso le riforme sociali  del cosiddetto Build Back Better Act (assistenza all’infanzia, ferie pagate, aumento di asili nido, accesso gratuito ai college pubblici e sussidi per l’assicurazione sanitaria) e due leggi a tutela del diritto di voto.

In entrambi i casi Biden ha pagato il fatto che i Democratici hanno solo cinquanta seggi in Senato su cento totali. Certamente possono contare sulla Vice-Presidente Kamala Harris, che in qualità di presidente del Senato può votare per rompere uno stallo, ma solo se i Democratici votano compatti e in ogni caso solo per le leggi che ineriscono alla spesa. Per tutte le altre serve invece una supermaggioranza di sessanta voti per aggirare l’ostruzionismo (filibuster) dei Repubblicani. Nonostante i suoi sforzi, Biden non è riuscito a superare le riserve dei più moderati tra i Democratici in Senato, Joe Manchin (West Virginia) e Kyrstin Sinema (Arizona). Il primo si è opposto alle riforme sociali e la seconda avversa l’abolizione del flibustering, necessaria perché i Democratici possano varare le leggi a tutela del voto.

Senza le riforme sociali in cantiere sarà molto difficile per i Democratici mobilitare il loro elettorato. E senza le leggi a tutela del voto i Repubblicani si avvantaggeranno delle misure, introdotte in diversi stati chiave, che rendono più difficile votare alle minoranze tendenzialmente democratiche, aumentano il controllo politico delle autorità deputate a certificare le elezioni, o ridisegnano le circoscrizioni elettorali in modo da privilegiare i candidati conservatori.

Cosa può salvare Biden

Il fallimento dell’agenda per i diritti sociali e civili di Biden ha messo in secondo piano l’approvazione a novembre dell’Infrastructure Investment and Jobs Act, che prevede investimenti per circa 1200 miliardi di dollari in acquedotti, strade, ferrovie, aeroporti, porti, nonché in tecnologie verdi. Eppure si tratta di un risultato eccezionale, non soltanto per la mole di fondi allocati (ben superiore allo stimolo fiscale che Barack Obama fece approvare dopo la crisi finanziaria del 2008, per esempio), ma anche perché si tratta del primo grande piano infrastrutturale federale dagli anni 1960. Inoltre la legge è passata con voto bipartisan al Congresso, una circostanza del tutto straordinaria nell’iperpolarizzato panorama politico americano di oggi.

Il piano infrastrutturale comincerà a dare frutti nel corso del 2022. La speranza per Biden, che è crollato nei sondaggi (la media lo dà al 41-42%), è che questo compensi gli effetti negativi sull’economia dell’atteso rialzo degli interessi (che dovrebbe però riportare l’inflazione sotto controllo). Biden deve anche puntare a un’attenuazione entro l’estate del covid, nonché scommettere sul fatto che l’elettorato progressista possa essere mobilitato dalla denuncia delle restrizioni al voto adottate in tanti stati a guida repubblicana (un’altra variabile importante è la potenziale mobilitazione contro la sentenza della Corte Suprema, attesa per giugno, che potrebbe decretare che quello all’aborto non è più un diritto costituzionale).

Solo la combinazione di questi fattori può garantire che i Democratici mantengano il controllo di almeno una delle due camere (probabilmente il Senato). Altrimenti, a partire da gennaio del 2023 Biden si troverà a che fare con un Congresso a maggioranza repubblicana che non solo bloccherà del tutto la sua agenda legislativa, ma ne ostacolerà l’operato in ogni modo per indebolirlo in vista delle presidenziali del 2024.

Foto di copertina EPA/Ken Cedeno/POOL

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