Il primo processo per crimini di guerra all’esercito russo

Il 13 maggio scorso, è comparso dinanzi alla corte del distretto di Solomianskyi, a Kiev, il sergente russo Vadim Shysimarin, chiamato a rispondere dell’omicidio volontario di un civile, commesso nel villaggio di Chupakhivka, nell’Ucraina nordorientale, alla fine di febbraio.

Shysimarin avrebbe deliberatamente ucciso a colpi di fucile un uomo di sessantadue anni, disarmato, che percorreva in bicicletta una via del villaggio, sparandogli dal finestrino dell’auto rubata su cui fuggiva con alcuni commilitoni, dopo l’attacco della sua unità da parte delle forze ucraine.

Il divieto di attaccare la popolazione civile o singoli civili non partecipanti direttamente alle ostilità è un principio fondamentale del diritto dei conflitti armati e la sua violazione è un crimine di guerra. Il Codice penale ucraino prevede per l’omicidio volontario di civili da un minimo di dieci anni di reclusione all’ergastolo (art. 438, para. 2).

Nessuna impunità

Quello nei confronti di Shysimarin sarà il primo processo per i crimini di guerra perpetrati dalle forze russe nell’ambito della dichiarata “operazione militare speciale” – di fatto l’invasione su larga scala dell’Ucraina – lanciata il 24 febbraio scorso.

La rapidità con cui si è giunti all’udienza preliminare del 13 maggio conferma la determinazione delle autorità ucraine di processare e punire i russi responsabili delle atrocità che, giorno dopo giorno, stanno venendo alla luce in numero sempre maggiore. Nella stessa giornata, la Procuratrice Generale, Iryna Venediktova, ha annunciato di aver aperto un fascicolo su oltre undicimila casi di crimini di guerra e di avere già quaranta sospettati di tali crimini.

Prigionieri di guerra

A Shysimarin e agli altri prigionieri di guerra russi accusati di crimini di guerra dovranno essere riconosciuti i diritti previsti dalla III Convenzione di Ginevra del 1949 sul trattamento dei prigionieri di guerra, di cui sia l’Ucraina che la Federazione Russa sono parti. Questa impone che le indagini siano condotte con la massima rapidità consentita dalle circostanze e che il processo si svolga il prima possibile (art. 103, par. 1). Il prigioniero di guerra ha diritto di essere processato da un tribunale che presenti garanzie di indipendenza e imparzialità, di difendersi dalle accuse e di essere assistito da un avvocato qualificato e un interprete competente (artt. 84, 99, 105).

Tribunali nazionali e Corte penale internazionale

La celebrazione di processi per crimini di guerra dinanzi a tribunali interni non è in contrasto con l’accettazione da parte dell’Ucraina della giurisdizione della Corte penale internazionale (Cpi). Sulla base di tale accettazione, il 2 marzo scorso, il Procuratore della Cpi, Karim Khan, ha aperto un’indagine sui crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi sul suolo ucraino fin dal 21 novembre 2013 (al riguardo si rinvia al nostro articolo Quale giustizia per i crimini delle forze russe in Ucraina?). Tuttavia, la Cpi è soltanto complementare ai tribunali nazionali. La celebrazione di un processo dinanzi alla Corte presuppone che lo Stato che ha giurisdizione sul caso non intenda o non sia in grado di condurre le indagini o esercitare l’azione penale.

Una condanna potrà essere emessa dai tribunali interni, così come dalla Cpi, solo se la colpevolezza dell’imputato risulterà provata “oltre ogni ragionevole dubbio”. Di qui la necessità di raccogliere e preservare ogni possibile prova dei crimini perpetrati: attività oltremodo complessa, data la vastità dei luoghi interessati e la prosecuzione delle ostilità. Non meno difficile l’identificazione dei responsabili, vista la scontata mancanza di collaborazione da parte delle autorità russe.

Peraltro, i giudici dovranno pronunciarsi sulla rilevanza dell’ordine del superiore, che Shysimarin e gli altri imputati con ogni probabilità invocheranno a loro discolpa.

Sostegno alle indagini

Gli Stati Uniti, il Regno Unito e diversi Paesi membri dell’Unione Europea stanno fornendo assistenza agli inquirenti ucraini nelle attività di indagine. In particolare, con il supporto di Eurojust, l’Agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione giudiziaria penale, Lituania, Polonia e Ucraina hanno creato una squadra investigativa congiunta, a cui il 25 aprile scorso si è unito il Procuratore della Cpi.

E l’Italia? Il 6 maggio, la Ministra della giustizia, Marta Cartabia, ha annunciato l’invio di un gruppo di esperti interforze, incluso un contingente della polizia penitenziaria, coordinato da un magistrato, a sostegno della Procura generale ucraina.

Quanto al caso Shysimarin, la prossima udienza è prevista il 18 maggio. Il processo sarà seguito dai media di tutto il mondo e costituirà un test sulla capacità dell’Ucraina di assicurare un equo processo ai prigionieri di guerra accusati di crimini internazionali. Si spera possa avere anche un effetto deterrente sui militari russi ancora impegnati sul campo.

Foto di copertina EPA/TANYA GORDIENKO

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