Il 2023 è stato un anno di significativi cambiamenti per la Difesa italiana. Il Documento Programmatico Pluriennale (Dpp) 2023-2025 ha apportato una serie di novità guardando agli anni a venire. A questo, si aggiungono gli sviluppi delle decisioni in sede Nato, innescate nel recente passato e che sembrano orientate a un impatto duraturo oltre l’emergenza immediata.
L’Italia nella nuova Nato
Se il 2022 ha rappresentato per l’Alleanza Atlantica uno spartiacque con l’invasione russa dell’Ucraina e l’adozione del Concetto strategico a Madrid, il 2023 ha avuto un momento fondamentale nel vertice di Vilnius a luglio, a cui hanno partecipato anche i partner dell’Indo-Pacifico: Australia, Giappone, Repubblica di Corea e Nuova Zelanda. Il vertice lituano si è caratterizzato per un rinnovato e prioritario impegno Nato sulla deterrenza e difesa collettiva, una cauta attenzione all’Indo-Pacifico e uno spostamento del baricentro geografico e militare verso nord-est.
In questo contesto, la presidente Meloni ha confermato il ruolo dell’Italia nell’Alleanza, alle cui attività e missioni il paese resta uno dei principali contributori, dopo gli Stati Uniti, sia in termini di personale che di assetti militari. Nel quadro delle missioni alleate, l’Italia ha continuato a fornire un importante supporto nei battlegroup multinazionali Nato in Ungheria, Lettonia e Bulgaria – guidando la presenza Nato a Sofia – nonché nelle operazioni di air policing lungo il fianco est. In totale sono nove le missioni alleate a cui l’Italia partecipa, con una presenza massima di 5.200 unità e un finanziamento di oltre 463 milioni di euro. Da segnalare le 1.120 nuove unità, i 70 mezzi terrestri e i 10 mezzi aerei dispiegati nel 2023 per il potenziamento nell’area sud-est dell’Alleanza, seguiti dalle 120 nuove unità e 27 mezzi terrestri impiegati in Lettonia nella Enhanced Forward Presence. Inoltre, fino a maggio 2023, l’Italia ha guidato l’operazione Nato in Iraq di addestramento delle forze locali.
Il valore di questo impegno è stato riconosciuto dal fatto che il paese ha visto accogliere favorevolmente la candidatura dell’attuale Capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, a prossimo Chairman del Comitato militare dell’Alleanza atlantica a partire da gennaio 2025. Un risultato importante che, tuttavia, non deve distogliere l’attenzione dal fatto che l’Italia è sottorappresentata da tempo ai livelli di Secretary General (l’ultimo è stato Manlio Brosio tra il 1964 e il 1971), Deputy Secretary General e Assistant.
L’impegno a fianco di Kyiv
Sul fronte dell’impegno a sostegno dell’Ucraina, a dicembre 2023 era in fase di definizione l’ottavo pacchetto aiuti da parte italiana, che era stato anticipato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani durante l’incontro con il presidente Volodymyr Zelenskyy di ottobre. Nonostante le informazioni sull’invio di equipaggiamenti militari italiani all’Ucraina siano secretate ed esposte dal ministro della Difesa soltanto al Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir), è ormai noto che l’Italia ha fornito, tra gli altri: equipaggiamenti per la fanteria, mortai, lanciarazzi, mitragliatrici, mezzi blindati per il trasporto truppe Lince, artiglieria trainata e obici semoventi, sistemi anticarro, antiaereo e di difesa antimissile, e il relativo munizionamento. A ciò si aggiungono dispositivi per la protezione civile come generatori e attrezzature per il contrasto alla minaccia nucleare, biologica, chimica e radiologica (Nbcr).
Si tratta comunque, nel complesso, di un contributo molto più modesto in termini di valore assoluto rispetto ad altri paesi europei quali Germania, Regno Unito e Polonia. La volontà politica di sostenere militarmente l’Ucraina rimane ferma, ma deve scontrarsi con alcuni limiti: anzitutto, le risorse a disposizione, rispetto alle quali il ministro della difesa Guido Crosetto ha ricordato come in termini di scorte esistenti “non esista molto ulteriore spazio” per donazioni. Pesano poi la crescente disaffezione dell’opinione pubblica nei confronti di un conflitto che dura da quasi due anni e la persistente mancanza di una cultura della difesa, che in altri Paesi europei costituisce una base per un dibattito più strutturato in materia.
Il documento programmatico pluriennale
Dal punto di vista interno del sistema difesa, il già citato Dpp propone una “incisiva azione di rinnovamento” della struttura del ministero, orientata a una riorganizzazione funzionale che guardi soprattutto al primo compito di legge delle forze armate, la difesa dello stato, rispetto alla gestione delle crisi e alle attività a supporto della sicurezza interna. Logica conseguenza di questa nuova postura della difesa italiana dovrebbe essere un ridimensionamento, se non addirittura la chiusura, dell’operazione Strade sicure, che coinvolge attualmente circa 5.000 unità dell’Esercito in mansioni che rientrano più propriamente nelle competenze di Carabinieri e polizia, danneggiando la preparazione e la prontezza dello strumento militare.
Complessivamente, il rilancio della centralità della difesa dello stato rappresenta un elemento potenzialmente innovativo rispetto allo scorso trentennio, caratterizzato dalla gestione delle crisi in assenza di avversari alla pari, con forti implicazioni di procurement, specie per la componente pesante dell’esercito. Altra novità rilevante è l’istituzionalizzazione di una partnership con Regno Unito e Giappone che va oltre i tradizionali ambiti europeo e transatlantico per affacciarsi in modo strutturale sull’Indo-Pacifico. Quest’ultimo teatro arricchisce, ma non intacca, l’impegno della difesa nei tre cerchi tradizionali della politica estera italiana, segnalando un maggiore livello di ambizione, cui dovranno però corrispondere risorse adeguate.
Questo articolo è basato sul capitolo “La politica di difesa e il ruolo della Nato” predisposto dagli autori per il Rapporto sulla politica estera italiana 2023 dello IAI, che verrà presentato in Istituto il 6 febbraio alle 17:30.