Che ruolo giocherà Leone XIV nella geopolitica globale e nella difesa dei diritti umani? Per capirlo serve uno sguardo a un passato recente. La Chiesa cattolica si trovava nella necessità drammatica di fare fronte a questa sfida. In Europa dell’Est c’era il problema parallelo della pressione del comunismo; poi, dopo il 1989, anche lì sono arrivati in forze i pentecostali e altri gruppi fortemente proselitisti. La lezione di san Giovanni Paolo II, secondo cui l’essenziale del Concilio era la nuova evangelizzazione, è nata in questi contesti e lì è stata compresa più rapidamente. Oggi Leone XIV la ripropone, naturalmente con il suo stile proprio. Non avendo partecipato al Concilio, sente forse come meno viva la preoccupazione di quale sia l’ermeneutica con cui va interpretato, mentre Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI erano stati protagonisti in prima persona del Concilio e delle successive discussioni; e questo, paradossalmente, lo rende più libero di vivere la lezione evangelizzatrice del Concilio.
Uscire e evangelizzare: il dialogo con gli ortodossi
Giovanni Paolo II ha tracciato la via del Concilio inteso soprattutto come momento di annuncio e di evangelizzazione, e Benedetto XVI l’ha difesa contro possibili deviazioni, non solo «di sinistra» – per usare un brutto ma comprensibile gergo politico – ma anche «di destra». Leone XIV, in continuità con Francesco, attua il Concilio soprattutto nell’invito a «uscire» e a evangelizzare, senza continuare a parlarsi addosso, ciascuno nella propria sacrestia, in riunioni autoreferenziali. Tutto il resto del Magistero di Leone XIV ruota intorno a questo nucleo centrale.
Papa Francesco era molto interessato all’ecumenismo, come i suoi predecessori, e condivideva con san Giovanni XXIII, che era stato nunzio in Bulgaria, e con Benedetto XVI lo speciale interesse per le Chiese ortodosse. A un Papa polacco, per ragioni storiche che riguardano la Polonia, che si è sempre percepita come baluardo di latinità contro l’espansione ortodossa che partiva dalla Russia, il dialogo con gli ortodossi riusciva oggettivamente meno facile. C’è però una forte continuità con i predecessori quando sentivamo Francesco affermare, e lo faceva spesso, che il vero ecumenismo non va confuso con il relativismo e con il sincretismo. Un avvicinamento che ha portato allo storico abbraccio a Cuba tra Francesco e il patriarca di Mosca.
Ermeneutica della discontinuità e ermeneutica della continuità
Il nodo fondamentale sono le due ermeneutiche che, diceva Benedetto XVI, hanno litigato fra loro per l’interpretazione del Concilio: ermeneutica della discontinuità e della rottura da una parte, ermeneutica della riforma nella continuità dall’altra. Queste ermeneutiche, diceva sempre Benedetto XVI, non si applicano solo al Concilio ma a tutta la vita della Chiesa. Oggi le vediamo all’opera nel modo di leggere il Magistero di Francesco prima e di Leone XIV ora. C’è chi ha letto la sua «Chiesa povera per i poveri» e riformatrice secondo un’ermeneutica della rottura, come se sancisse un taglio netto e un rifiuto del Magistero dei suoi predecessori. È la lettura che hanno fatto di Francesco sia certi progressisti immaturi, come li ha chiamati lo stesso papa Bergoglio, per applaudirlo in un modo capzioso e improprio, sia i cosiddetti tradizionalisti per denigrarlo e denunciarlo come eretico. Il pontefice invece era molto attento a citare spesso, e con particolare attenzione quando enunciava aspetti che potevano sembrare particolarmente innovativi, san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che non a caso sono i due autori più citati nell’enciclica Laudato si’. Riferendosi alla Chiesa povera per i poveri, Francesco citava continuamente i suoi predecessori. E naturalmente tutti citano il Vangelo, che alla fine è la vera radice della continuità.
Accettare le riforme proposte per leggerle in un’ottica di continuità
Perciò applicare al Magistero di Francesco prima e di Leone XIV ora l’ermeneutica della riforma nella continuità significa accettare lealmente le riforme che ciascun Papa propone e proporrà, leggendole insieme nella continuità con il Magistero dei suoi predecessori, anche quando questo dovesse essere a prima vista difficile: ma Benedetto XVI ci ha mostrato quanto difficile fosse questo per certi passaggi del Concilio.
La nozione di misericordia fa parte della tradizione cristiana e del patrimonio del Vaticano II, ma il modo di presentarla di papa Francesco si sarebbe capito difficilmente senza la grande apostola della Divina Misericordia, santa Faustina Kowalska. E qui si rintraccia un altro elemento di continuità, perché la devozione a santa Faustina unisce san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco e Leone XIV. La misericordia non può però essere disgiunta dalla verità e dalla giustizia, proprio per essere credibile e per mantenersi fedeli ai documenti del Concilio.
Anche qui chi legge Francesco secondo un’ermeneutica della discontinuità e della rottura cerca di separare la misericordia dalla dottrina: sul fronte progressista per proclamare che la dottrina è «scaduta» come se fosse uno yogurt, e sul fronte cosiddetto tradizionalista per sostenere che la misericordia di Francesco prima e di Leone ora nega la dottrina e quindi è eterodossa. Posizioni sbrigative molto più facili rispetto allo sforzo difficile di tenere insieme misericordia e verità, che però corrisponde allo spirito del Vangelo.
Leone XIV può utilizzare, in tema di Internet e social network, uno straordinario patrimonio costruito con i messaggi per le Giornate mondiali delle comunicazioni sociali da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Questi messaggi contengono alcune delle più raffinate e profetiche analisi delle sfide, le opportunità e i rischi del mondo digitale. Ciascun Papa li legge, li cita, e su queste basi costruisce un vasto programma per evangelizzare i giovani delle generazioni digitali.
