In Guatemala le elezioni di una democrazia in crisi

Il prossimo 25 giugno si terranno le elezioni generali in Guatemala, dove 9,3 milioni di guatemaltechi saranno chiamati a votare per scegliere il capo dello Stato, il vicepresidente, i sindaci, i 160 deputati del Congresso nazionale e i 20 deputati del Parlamento centroamericano. 

Se nessuno dei candidati otterrà la maggioranza assoluta dei voti al primo turno, si terrà il secondo turno il 20 agosto. L’insediamento del candidato eletto avverrà il prossimo 14 gennaio, con l’impossibilità di essere rieletto. 

In un Paese che nonostante presenti l’economia più forte dell’America centrale, ha il 60% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà e un bambino su due che soffre di denutrizione cronica, non sono in molti a nutrire la speranza di un cambiamento dopo il voto. Inoltre, la maggior parte dei guatemaltechi che vive in zone urbane ha paura a uscire di casa per la violenza endemica alla quale i precedenti governi non sono riusciti a trovare una risposta efficace. 

Il pacto de corruptos

I dati macroeconomici nascondono una realtà estremamente diseguale, dove gli interessi di pochi continuano a governare, insieme alla corruzione, al clientelismo e all’impunità. Negli ultimi anni, chi ha provato a denunciare o a fare luce su questi fenomeni ha dovuto lasciare il Paese o è stato messo in prigione, com’è successo in questi giorni a José Rubén Zamora, direttore di El Periόdico, uno dei maggiori giornali di opposizione che ha chiuso i battenti dopo 27 anni.

Dopo il grande lavoro della Commissione Internazionale Contro l’Impunità in Guatemala (CICIG), l’entusiasmo causato dalle manifestazioni pacifiche contro l’ex presidente Otto Pérez Molina nel 2015 e dall’unità dei diversi gruppi di opposizione scesi per le strade del Paese nel 2021, la prospettiva di voltare pagina dalla corruzione dilagante sembra ormai svanita.

Questi eventi hanno infatti avuto una reazione opposta a quella desiderata. Nel voler distruggere il potere corrotto delle elite economiche, hanno rafforzato il cosiddettopacto de corruptos(patto dei corrotti). Vedendo il loro status minacciato, questi gruppi di potere hanno iniziato a cooptare tutte le istituzioni dello Stato per preservare i propri privilegi.

Parte integrante del pacto è l’ormai impopolare presidente uscente Alejandro Giammattei. Il suo mandato è stato molto controverso, segnato da numerosi scandali, da reiterati attacchi alla stampa e all’opposizione e da un peggioramento generale delle condizioni di vita nel Paese.

Una contesa segnata dall’esclusione

Per le prossime elezioni, sembra che il Tribunale Supremo Elettorale sia stato il primo e principale elettore, escludendo tre tra i candidati favoriti. Nonostante le decisioni siano avvenute per vie legali, sono sorte molte critiche riguardo all’arbitrarietà di escludere alcuni candidati e non altri, che presentano anch’essi condizioni imputabili.

A uscire dalla contesa per primi sono stati due candidati che avevano ottenuto una percentuale importante alle scorse elezioni: Roberto Arzú e Thelma Cabrera. Cabrera, unica candidata indigena di rilievo, proponeva un modello di Stato plurinazionale e poteva vantare un’elevata popolarità nelle zone rurali. In Guatemala, la popolazione indigena rappresenta il 43.75 % degli abitanti del Paese e meno del 15% tra deputati e alti carichi dello Stato, che anche a questo tornata elettorale sono stati esclusi.

Ad essere escluso dalle elezioni più recentemente è stato anche Carlos Piñeda, che a inizio maggio era dato vincitore dai sondaggi. Imprenditore conservatore estraneo al panorama politico guatemalteco, è diventato popolare tramite i suoi canali social, da dove ha denunciato la corruzione delle vecchie oligarchie al potere. 

Lo status quo in testa ai sondaggi

A rimanere in gara, anche se attualmente al terzo posto secondo i sondaggi, è Zury Ríos. Figlia dell’ex dittatore degli anni Ottanta accusato di genocidio Efraín Ríos Montt, era stata esclusa quattro anni fa proprio in quanto la costituzione vieta ai famigliari di golpisti di candidarsi. 

Con la sua coalizione di estrema destra, si presenta per la quarta volta alle elezioni con un programma incentrato sulla sicurezza e ispirato all’operato controverso del presidente de El Salvador Nayib Bukele. Mantiene forte la sua linea anti diritti civili e promette posti di lavoro ai guatemaltechi, benefici per le forze dell’ordine e militari e una lotta ferrea alla corruzione, mentre si allea con personaggi accusati di corruzione per poter vincere.

Come nel 2019, Sandra Torres potrebbe arrivare seconda. Reduce da un processo per finanziamenti elettorali illeciti, vuole adottare anche lei il modello salvadoregno per la sicurezza, mentre promette un gabinetto al femminile e una lotta alla corruzione come prima tappa di una lotta più ampia alla povertà.

In cima alle proiezioni c’è il diplomatico Edmond Mulet di 72 anni, arrivato terzo alle scorse elezioni. Con un piano generico e poco concreto, i cui pilastri sono la modernizzazione economica, sociale, della sicurezza e dello Stato, ha cambiato posizione a più riprese durante la campagna. La sua promessa di cambiamento si contrappone alle alleanze che stringe e rimane neutro sui temi che generano divisione all’interno del panorama politico guatemalteco, come quello dell’estrazione mineraria. È famoso sia per la sua carriera alle Nazioni Unite e come ambasciatore, che per essere stato protagonista negli anni Ottanta di un processo per presunta partecipazione a una rete di adozione illegali di bambini guatemaltechi con il Canada.

La vittoria della sfiducia

A pochi giorni dal voto, sono tanti i punti interrogativi che aleggiano sul destino del Guatemala. 

Quel che è certo è che si vorrà provare ad applicare un modello analogo a quello di Bukele sulla sicurezza, visto l’enorme consenso che ha generato nella regione, grazie a una diminuzione drastica e rapida degli indici di criminalità. Tuttavia, questo processo, che ha calpestato i diritti umani di molti criminali e innocenti, ha applicato una formula non replicabile in Guatemala a causa delle differenze nel contesto criminale, carcerario e geografico dei due Paesi.

Violenza e corruzione rappresentano e rappresenteranno l’impalcatura traballante della ormai terminale democrazia guatemalteca. In questo clima, non deve sorprendere se saranno in pochi a voler scommettere su un reale cambiamento, recandosi alle urne sempre più svuotate del Paese.

Articolo a cura di Antilla Fürst, della redazione America Latina de Lo Spiegone

Foto di copertina EPA/Esteban Biba

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