Sono sempre più evidenti i segnali di frammentazione degli scambi commerciali e finanziari: la contrapposizione politica e commerciale tra Stati Uniti e Cina si è inasprita, mentre tensioni e conflitti dilagano in più aree. Quale può essere il contributo di un’organizzazione come il G7?
Temo che su questi argomenti il G7 possa avere un ruolo molto limitato e circoscritto a enunciazioni di principio, come l’importanza del libero scambio, la lotta al protezionismo o impegni a sostenere proposte di mediazione dei conflitti in corso. I summit del G7 molto raramente hanno impresso significativi passi in avanti per quanto riguarda le politiche commerciali o la fine dei conflitti. Questi ultimi sono temi che normalmente seguono trattative bilaterali o, nel caso delle guerre, con uno o più mediatori relativamente vicini ai paesi in conflitto.
Nel sistema monetario internazionale, le diverse valute e le infrastrutture di pagamento e di mercato hanno acquisito, soprattutto dopo l’imposizione di sanzioni finanziarie alla Russia, una valenza strategica che va oltre la sfera economica. Cosa dobbiamo aspettarci?
Ci sono diversi driver fondamentali che determinano l’uso internazionale delle valute: stabilità macroeconomica (bassa inflazione, deficit fiscali contenuti, politiche monetarie prudenti), profondità e liquidità dei mercati finanziari così come dimensione e forza economica del paese emittente, rete di accettazione globale di una valuta, infrastrutture di pagamento, fiducia nella politica monetaria e nelle sue istituzioni finanziarie, dinamiche geopolitiche e potere economico del paese che emette una determinata valuta.
Sulla base di questi requisiti, ci si può attendere che le valute di economie stabili e influenti, come il dollaro statunitense e l’euro, mantengano ancora per molti anni un ruolo preminente, mentre altre valute potrebbero emergere gradualmente in risposta a cambiamenti geopolitici e alla diversificazione delle riserve valutarie, ma soltanto se ci sarà un parallelo sviluppo dei mercati finanziari.
L’innovazione tecnologica nelle infrastrutture di pagamento, come le valute digitali delle banche centrali (CBDC), potrebbe rimodellare ulteriormente il panorama monetario internazionale.
Cosa può fare il G7 per affrontare il problema dell’indebitamento dei paesi in via di sviluppo che, secondo molti analisti, rischia di rivelarsi uno dei maggiori fattori di instabilità per il sistema finanziario internazionale?
Il forte debito dei paesi in via di sviluppo (PVS) non è uno dei principali rischi per il sistema finanziario. I membri del G7 possono però fare molto per i PVS, ad esempio, promuovendo e facilitando la ristrutturazione del debito, negoziando termini più favorevoli che migliorino le condizioni di rimborso.
Un’altra strada può essere quella di aumentare il sostegno finanziario attraverso prestiti agevolati e sovvenzioni, canalizzando risorse attraverso istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. A tal scopo sarebbe anche utile rafforzare le risorse dei programmi di assistenza tecnica per aiutare i paesi in via di sviluppo a gestire le crisi economiche.
In quest’ambito, molto importante è aiutare i PVS nella gestione delle finanze pubbliche, la trasparenza fiscale e la capacità di attrarre investimenti, supportando anche la costruzione di capacità istituzionali per migliorare la governance economica.
E infine è importante il principio di incentivare investimenti in infrastrutture sostenibili e progetti di sviluppo che possano stimolare la crescita economica e aumentare le entrate fiscali. Anche la promozione di partenariati pubblico-privati per mobilitare risorse aggiuntive e garantire il trasferimento di conoscenze e tecnologie sarebbe di grande aiuto.
Uno dei compiti principali dei paesi del G7 è di trovare un accordo sulle priorità della governance economica in grado di rassicurare gli operatori e i mercati globali. Dopo il Vertice tenutosi in Puglia che prospettive si aprono in merito?
Indipendentemente dall’esito del vertice a Borgo Egnatia, la situazione geopolitica è andata complicandosi. I due più grandi paesi dell’Unione europea (Francia e Germania) hanno visto sconfitte le coalizioni di governo in quelle che più che elezioni europee si sono dimostrate referendum nazionali a favore o contro i governi di 27 Stati membri.
La debolezza politica dei due maggiori leader del Consiglio europeo suscita dubbi sulla possibilità di forti progressi sulla strada dell’integrazione europea e sulla risposta alle grandi sfide che l’Unione si trova oggi ad affrontare, come il gap tecnologico nei confronti di Stati Uniti e Cina, gli investimenti necessari per la transizione ecologica o la sicurezza e la difesa comune.
A ciò vanno aggiunte le incertezze sull’esito delle elezioni anticipate nel Regno Unito e, ovviamente, le elezioni presidenziali americane del 5 novembre. Quindi uno scenario complesso in cui prevalgono i punti di domanda e che certamente non favorisce accordi multilaterali.