La Libia ha di nuovo due premier. Questa volta però non si tratta di due leader espressione dei due volti del Paese, ovvero l’Ovest e l’Est. Questa volta sono entrambi, paradossalmente, espressione della Libia tutta ed entrambi trovano la loro collocazione a Tripoli. Uno è Abdelhamid Dbeibah, capo dell’esecutivo di transizione che doveva traghettare il Paese alle elezioni parlamentari e presidenziali, l’altro è Fathi Bashagha, l’ex ministro dell’Interno e poliedrico (trasformista) politico di riferimento di Misurata con entrature anche in Francia, da sempre sponsor della Cirenaica del rivale Khalifa Haftar. Per capire occorre fare un passo indietro.
Una nuova roadmap per le elezioni
Archiviata l’ipotesi di andare alle urne nel 2022, ventilata dopo il posticipo del voto dal 24 dicembre al 24 gennaio, la Libia ha deciso di abbandonare la roadmap indicata dell’Onu per approdare alle urne e intraprendere una nuova strada con un nuovo governo. La camera dei Rappresentanti di Tobruk, il parlamento con sede nell’est del Paese, ha così nominato all’unanimità, con 147 voti, l’ex ministro Bashagha. Il quale avrà il compito, ancora una volta, di traghettare il Paese attraverso una nuova roadmap elettorale che prevede un referendum costituzionale e il successivo voto per il rinnovo del consiglio presidenziale e del Parlamento stesso. Il consenso plebiscitario per Bashagha, il cui sfidante, l’imprenditore Khaled Biba, si è ritirato prima del voto (sebbene il diretto interessato fornisca una versione differente), è il frutto dell’intreccio di consultazioni avviato a Bengasi all’indomani del posticipo del voto da Ahmed Maetig.
Per capire le dinamiche di questa nuova fase libica occorre tenere presente proprio la figura dell’ex vicepresidente, anche lui punto di riferimento di Misurata, ma apprezzato a Tripoli e, soprattutto, in grado di interloquire con Haftar – ha negoziato con i figli – e con il presidente del Parlamento Aguila Saleh. Maetig è stato l’apripista per intrecciare una rete di intese con il generale, con Aguila e con lo stesso Bashagha agevolando la nomina di quest’ultimo sull’asse di intesa Tripoli-Misurata-Bengasi.
Due scenari per la Libia
A questo punto però si potrebbero verificare due scenari. Il primo, positivo, che vede l’inizio di un vero dialogo in Libia tra est ed ovest, nell’ambito di una dinamica volta al dialogo e a stabilizzare il Paese. Il secondo, meno positivo, è che trattandosi di un accordo di “condivisione del potere”, potrebbe allontanare la prospettiva elettorale e quindi l’ipotesi di un governo scelto dal popolo. Ovvero un esecutivo dotato di forza e che faccia rinascere un nazionalismo libico positivo in grado di ridare sovranità al Paese, mettere alle corde i turchi che hanno interessi anche economici, e i russi che hanno interessi di tipo tattico-strategico.
Il futuro potrebbe svilupparsi nel mezzo e dipende da due passaggi fondamentali. Il primo è la formazione di un governo, entro due settimane, che dovrà ottenere la fiducia, la cui ampiezza sarà determinante per incassare il via libera anche dell’alto consiglio di Stato di Tripoli e il consenso della comunità internazionale. Sebbene per le Nazioni Unite rimanga immutato il sostegno ad Abdelhamid Dbeibah, il cui mandato a capo dell’esecutivo doveva terminare il 24 dicembre, Stephanie Williams, l’inviata del segretario generale Antonio Guterres ha già avuto un incontro costruttivo con Bashagha auspicando un percorso consensuale e per il mantenimento della stabilità.
Il premier in carica non ha nessuna intenzione di lasciare la poltrona, e questo potrebbe creare tensioni dal punto di vista politico e della sicurezza, con l’entrata in azione delle milizie. In caso di fiducia, il governo Bashagha dovrà rimanere in carica per un periodo di 14 mesi durante i quali – ed è questo il secondo passaggio – deve svolgersi il referendum sulla modifica della Costituzione. In caso esso incassi la maggioranza del 50% +1 in ognuno dei tre distretti (ovest, est e sud), si potranno tenere le elezioni presidenziali e parlamentari.
L’uomo forte della Cirenaica
C’è un altro elemento da analizzare per capire se la nuova sortita politica libica abbia chance di successo, ovvero il ruolo di Haftar: perché il generale sarebbe d’accordo a formare un governo con un personaggio che viene peraltro considerato vicino alla Fratellanza musulmana da lui tanto invisa? L’uomo forte della Cirenaica ha un bisogno drammatico di soldi, gli Emirati non hanno più pagato e si sono spostati su Dbeibah, irritando il Qatar (in competizione con gli Emirati in politica estera) che, avendo buoni rapporti con Bashagha, ha tessuto questa azione di raccordo rivolgendosi verso Est e favorendo questa intesa finanziando moltissimo.
Anche i rapporti di Haftar con i russi si sono deteriorati sin da quando si è rifiutato nel gennaio del 2020 di procedere al cessato il fuoco in piena guerra civile. In ultimo anche i mercenari di Wagner ce l’hanno col generale perché prima era il garante dei finanziamenti attraverso gli emiratini e ora non è più così. In questo modo il generale non solo tornerebbe a riempire le casse grazie alla generosità del Qatar ma potrebbe avere qualche ministero (per un suo prescelto) di spessore, come la Difesa.
L’Italia da parte sua appare tranquilla perché non sembra ci possano essere scontri tra milizie e ha inoltre buoni rapporti sia con Dbeiba che con Bashagha. “La priorità è però che si avvii un processo unitario e non ci si trovi davanti ai due governi e in questo senso si deve essere cauti perché accordi di ‘power sharing’ durano poco – spiegano fonti autorevoli. Inoltre Bashagha non è al momento in grado di operare oltre Sirte, dove ci sono i russi che non hanno interesse a un dove ci sono i russi che non hanno interesse a un governo libico forte e tutto sommato preferiscono utilizzare Haftar per esercitare il potere funzionale ai loro interessi”.
Foto di copertina EPA/STRz