Attivismo online e solidarietà: il volto politico delle diaspore arabe

A metà del 2020, circa ventisei milioni di cittadini della regione MENA vivevano all’estero. Si tratta del 10 per cento dei migranti su scala mondiale, il 6 per cento della popolazione della regione. Dati consistenti, che rivelano l’importanza delle comunità arabe sparse nel mondo.

Le diaspore vengono spesso considerate come esempi di comunità transnazionali dalle appartenenze ed identità poliformi. Nell’era della globalizzazione, la possibilità di muoversi e comunicare facilmente su scala globale ha favorito il loro coinvolgimento nelle vicende politiche dei paesi d’origine attraverso migrazioni di ritorno, voto per corrispondenza, mobilitazione politica e l’invio di rimesse economiche e sociali.

Con lo scoppio delle cosiddette Primavere arabe (2011), le diaspore – alcune composte perlopiù da esiliati o “auto-esiliati” – hanno conosciuto nuove e cangianti forme di contestazione politica e inediti spazi di attivismo che hanno permesso loro di prendere parte agli avvenimenti politici in corso. A tal proposito, si è perfino parlato di una “Diaspora Spring” a sottolinearne il dinamico protagonismo.

Limiti e pregi dell’attivismo transnazionale

Le rivolte nei Paesi arabi hanno dato la possibilità alle prime e seconde generazioni di affermare il proprio senso di appartenenza al Paese di origine nonché la propria identità nei Paesi di accoglienza. Sebbene le comunità diasporiche si siano prontamente coinvolte nelle vicende politiche in patria,  tale mobilitazione è stata tuttavia soggetta a quelle che Moss e Chaudhary chiamano “triadic political   structures”, riferendosi alle condizioni presenti e nel Paese di origine e in quello ospitante e alla capacità delle comunità diasporiche di farvi fronte attraverso la costruzione di legami transnazionali e geopolitici.

Durante le Primavere Arabe, l’attivismo transnazionale delle diaspore si è tradotto in forme dirette e indirette di coinvolgimento. Tra le prime, in particolare, la concessione del voto alle comunità all’estero – come avvenuto nelle elezioni per l’Assemblea Costituente tunisina del 2011 – per quanto apparentemente foriera di un’avvenuta democratizzazione, è, tuttavia, da osservare con attenzione, laddove l’inclusione delle diaspore nel processo elettorale è talvolta strumentale ad una loro cooptazione o ad un’estetica legittimazione dei regimi al potere. Tra le forme indirette di partecipazione, l’attivismo online è emerso come la tendenza principe da osservare, come dimostrato dal caso della diaspora libanese. Durante le proteste del 2019, innumerevoli iniziative di solidarietà e sensibilizzazione si sono diffuse a partire dall’operato di attivisti sparsi per il mondo (si pensi al sito “The Lebanese Revolution” o a piattaforme di fundraising come Xpatria o Impact Lebanon).

Il “termometro” delle rivoluzioni

Le diaspore sono state tuttavia un termometro del possibile successo delle rivoluzioni e del conseguente avvio di reali processi  di transizione. A tal proposito, l’impatto politico delle diaspore è stato profondamente ridimensionato da alcuni limiti esistenti. Alcune forme di repressione transnazionale sono, infatti, ancora attive (si pensi alle difficoltà riscontrate dalla diaspora egiziana, soprattutto dopo l’affermazione di al-Sisi). I regimi autoritari continuano, perciò, ad esercitare stringenti forme di controllo – fisiche e virtuali – sui propri cittadini all’estero; non è dunque un caso che le diaspore abbiano iniziato la loro mobilitazione politica solo dopo l’indebolimento dei tentacoli delle istituzioni autoritarie.

Inoltre, dopo il 2011, le diaspore sono talvolta divenute specchio fedele delle dinamiche di conflitto presenti nei Paesi di origine, replicandone le fratture interne, come dimostrato dalla diaspora siriana in Europa e in altre parti del Medio Oriente.

Il pensiero diasporico per capire i processi politici

La mobilitazione politica delle diaspore è un fenomeno tutt’oggi in corso e in continuo mutamento, che merita di essere osservato e incluso nelle analisi delle dinamiche regionali. Gli eventi del 2011 hanno catalizzato tale evoluzione, contribuendo a preziosi scambi transnazionali di nuove idee e pratiche politiche. Le diaspore non sono, dunque, spettatori passivi della storia. Esse hanno, piuttosto, riaffermato il loro ruolo di ponte, facendo valere la loro policefala identità in un contesto politico e sociale mutevole come quello della regione MENA.

Attribuire una rilevanza politica – e non solo economica – all’azione di queste forze transnazionali è un primo passo per meglio interpretare le sfide politiche che in questa arena si disegnano. L’Unione europea, in particolare, dovrebbe impegnarsi a garantire spazi sicuri di pensiero – lontani dalle penetranti maglie autoritarie – per i numerosi intellettuali, attivisti, avvocati e giornalisti che costituiscono il nervo pulsante di queste nuove diaspore, nell’ottica di coinvolgerne l’expertise ed esperienza per meglio forgiare le politiche dirette alla regione.

Questo articolo è un estratto in italiano tratto dal Commentary scritto da Silvia Colombo e Giulia Gozzini per l’Istituto Affari Internazionali.

Foto di copertina EPA/MOHAMED MESSARA

Ultime pubblicazioni