Gli evangelici sceglieranno il prossimo presidente brasiliano

Nell’arco di poco più di cinquant’anni, i cattolici finiranno per non essere più la comunità religiosa maggioritaria del Brasile. Un passaggio storico, che dal 1970 al 2032, secondo gli studi dell’Instituto Brasileiro de Geografia Estatística, porterà il cattolicesimo da essere la fede di oltre il 91% della popolazione a quella di circa il 40%, dovendo spartire il primato con la variopinta galassia degli evangelici, ovvero protestanti, pentecostali e neopentecostali. Che, al contrario, a partire dagli anni Settanta hanno aumentato esponenzialmente il proprio bacino di fedeli, arrivando oggi a contarne fino a un terzo della popolazione.

Motivi banalmente demografici ed elettorali, dunque. Ma anche profondamente politici e culturali, perché cattolicesimo ed evangelicalismo elaborano visioni diverse della società, dell’economia e del mondo. Per questo, al cuore della corsa elettorale tra il presidente uscente Jair Bolsonaro e lo sfidante Luiz Inácio Lula da Silva, già in carica tra il 2003 e il 2011, vi è anche la questione religiosa. Che, come nella tornata del 2018, potrebbe risultare decisiva. 

Chi sono gli evangelici brasiliani

Spesso si fa riferimento agli evangelici brasiliani – e, più in generale, dell’America latina – come una sorta di quinta colonna della comunità evangelica statunitense. Ovvero: la diffusione del credo e della liturgia evangelica a queste latitudini starebbe avvenendo con il beneplacito di Washington che, proprio grazie all’impennata pentecostale e protestante, si garantirebbe un’adesione più convinta al modello socioeconomico e politico proprio degli evangelici a stelle e strisce, improntato al capitalismo e al neoliberalismo.

È senz’altro vero che i Paesi dell’America latina hanno dimostrato di essere storicamente ed elettoralmente restii ad adeguarsi al Washington consensus, ma alle radici del rapido cambiamento religioso del Brasile vi sono cause perlopiù interne. Come, per esempio, la fredda reazione della Chiesa cattolica di fronte alle istanze della teologia della liberazione, corrente teologica a forte connotazione sociale che in America Latina e in Brasile, negli anni Settanta e Ottanta, ha prodotto una commistione innovativa tra cristianesimo e marxismo.

Gli spazi lasciati vuoti dai vertici cattolici, in questo senso, sono stati rapidamente occupati da movimenti e movimentisti che hanno saputo coinvolgere fette sempre più ampie della popolazione, mobilitandole con messaggi fortemente comunitari.

Inoltre, come evidenziato dalla studiosa Amy Erica Smith, negli Stati Uniti il termine evangelical inquadra un gruppo piuttosto definito: cittadini bianchi tendenzialmente conservatori e, quindi, spesso elettori del Partito Repubblicano. Al contrario, in Brasile, evangelico è un fedele cristiano non cattolico, comprendendo così anche protestanti di orientamento spesso progressista. In più, soltanto un evangelico brasiliano su tre s’identifica come bianco, contro i due su tre negli Stati Uniti.

Bolsonaro e l’alleanza evangelica

Una comunità ampia e più frammentata, rispetto a quella statunitense, dunque. Anche se, per quanto riguarda le convinzioni politiche ed economiche, molto spesso le traiettorie si incrociano. E, proprio per questo, gli evangelici sono risultati decisivi nell’elezione di Bolsonaro nel 2018.

Il presidente in carica, cattolico ma ribattezzato nelle acque del Giordano come cristiano rinato – cosiddetto new born Christian per gli evangelici statunitensi, come l’ex vicepresidente Mike Pence – dal pastore Everaldo Dias Pereir, ha ottenuto oltre il 70% dei consensi nella popolazione evangelica del Brasile. A premiarlo, in particolare, le sue posizioni intransigenti per quanto riguarda i temi della morale sessuale e della bioetica.

L’elezione e la prima fase della presidenza Bolsonaro, in seguito, non hanno fatto altro che rafforzare questo connubio. Da un lato, il presidente ha affermato più volte di voler spostare l’ambasciata brasiliana in Israele a Gerusalemme, conquistandosi le simpatie dei conservatori e del sionismo cristiano, e ha nominato per la prima volta nella storia del Paese un giudice evangelico Andre Mendonca alla Corte Suprema.

Dall’altro, invece, Edir Macedo, leader di una tra le chiese più influente nel mondo evangelico, la Igreja Universal do Reino de Deus, ha sostenuto con forza Bolsonaro durante gli ultimi mesi, spesso concedendo il suo network televisivo come megafono del presidente.

La sfida (sembra) aperta

L’ultimo periodo, però, pare aver fatto scricchiolare il rapporto idilliaco tra evangelici e Bolsonaro. La gestione dell’emergenza sanitaria in Brasile, dove per settimane si sono registrati contagi giornalieri da record, e la performance economica nazionale sembrano aver messo alle corde il presidente.

In più, la candidatura di Lula ha completamente cambiato lo scenario. Nonostante i sondaggi indichino ancora come la maggior parte degli evangelici sia più propensa a sostenere ancora Bolsonaro, la figura dell’esponente del Partido dos Trabalhadores può mettere in discussione una buona fetta di questo elettorato. Ciò a causa, appunto, delle peculiarità della comunità evangelica brasiliana.

Se, infatti, sul versante dei temi di morale sessuale e bioetica anche in Brasile questi fedeli tendono a essere più conservatori, lo stesso non avviene in ambito sociale e per la tutela dell’ambiente, questioni non nella prima pagina dell’agenda dell’attuale presidente ma cari soprattutto a quella parte protestante e progressista della galassia evangelica. Che se non virerà interamente su Lula, sicuramente potrebbe far venir meno a Bolsonaro un sostegno decisivo.

Foto di copertina EPA/Antonio Lacerda

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