COP30 tra urgenza climatica e incertezza geopolitica: cosa può cambiare a Belém

Dal 10 al 21 novembre 2025, Belém, capitale dello stato brasiliano del Pará e porta d’accesso all’Amazzonia, ospiterà la trentesima Conferenza delle Parti sul clima (COP30). Leader politici, esperti di cambiamento climatico e rappresentanti della società civile da tutto il mondo si riuniranno in un momento cruciale: mentre le temperature globali continuano a salire e gli impatti climatici si intensificano, la comunità internazionale si trova di fronte alla sfida di tradurre decenni di ambizioni in azione concreta.

COP30 si colloca in un contesto simbolico denso di significato. Ricorrono infatti dieci anni dall’adozione degli Accordi di Parigi alla COP21 e vent’anni dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, pietre miliari della governance climatica globale. Questo allineamento storico genera aspettative contrastanti: da un lato, l’ambizione di rinnovare e rafforzare gli impegni presi a Parigi; dall’altro, un crescente senso di urgenza di fronte al divario persistente tra obiettivi dichiarati e risultati tangibili. Il decennio appena trascorso ha infatti visto i dieci anni più caldi mai registrati, con eventi climatici estremi sempre più frequenti e devastanti.

Mentre l’attenzione si concentra su Belém, resta quindi aperta la domanda fondamentale: cosa possiamo aspettarci realisticamente da questo vertice?

La filosofia alla base di COP30 è racchiusa nel concetto di “mutirão” globale, riprendendo dalla tradizione indigena brasiliana l’idea di impegno collettivo per il bene comune. André Corrêa do Lago, presidente della Conferenza, ha fatto di questa visione il fulcro del vertice, con il Brasile intenzionato a guidare i negoziati attraverso sei obiettivi guida specifici: la transizione di energia, industria e trasporti; la tutela di foreste, oceani e biodiversità; la trasformazione dell’agricoltura e dei sistemi alimentari; la costruzione di resilienza per le città, le infrastrutture e le risorse idriche; lo sviluppo umano e sociale; e infine il rafforzamento e la mobilitazione di strumenti finanziari e tecnologici. Questi pilastri si articolano in oltre trenta obiettivi concreti, con gruppi di lavoro dedicati per accelerare una trasformazione globale e condivisa, traducendo i risultati dei Global Stocktakes, ovvero le valutazioni periodiche sui progressi globali verso gli obiettivi di Parigi, in azioni operative.

Un chiaro esempio di questo approccio pragmatico è il Tropical Forests Forever Facility (TFFF), meccanismo finanziario innovativo progettato per compensare i Paesi che preservano le proprie foreste tropicali. L’iniziativa, proposta dal governo brasiliano, assume particolare rilevanza considerando che l’80% della biodiversità terrestre risiede proprio in questi ecosistemi e che oltre 70 Paesi in via di sviluppo potrebbero beneficiare di tale strumento finanziario. Il TFFF, il cui lancio è previsto proprio durante COP30, definita da molti come “COP della finanza climatica” per il ruolo centrale che questo tema avrà nei negoziati, si configura come uno dei fondi multilaterali più ambiziosi al mondo, rappresentando un ponte concreto tra conservazione ambientale, mitigazione del cambiamento climatico e sviluppo economico sostenibile. Tra gli argomenti di discussione più rilevanti che animeranno il vertice di Belém vi saranno proprio la definizione di nuovi strumenti di finanza climatica, il possibile rafforzamento del Loss and Damage Fund a favore dei Paesi più vulnerabili, e l’aggiornamento degli impegni nazionali, in particolare attraverso i nuovi NDC 3.0, presentati attualmente da 64 Paesi su 194.

Tuttavia, dietro questa architettura di obiettivi e cooperazione si nascondono le complessità della geopolitica climatica contemporanea. Proprio quando l’urgenza richiederebbe unità d’intenti, sono spesso le dinamiche tra i maggiori attori globali a complicare il quadro. In particolare, le tensioni che attraversano internamente ed esternamente Unione Europea, Stati Uniti e Cina costituiscono il fattore più critico nel determinare se la visione brasiliana potrà tradursi in risultati tangibili.

Da un lato gli Stati Uniti, usciti nuovamente dagli Accordi di Parigi attorno ai quali gravita COP30, hanno applicato tagli significativi ai finanziamenti per la tutela ambientale e la lotta al cambiamento climatico, mentre il Presidente Trump continua a definire il riscaldamento globale “una bufala”. Sebbene naturalmente non esprima la totalità della volontà nazionale, il suo atteggiamento mina la credibilità degli sforzi collettivi. Nel tentativo di arginare questo rischio, il presidente Lula ha intensificato il dialogo diplomatico con Washington in attesa del vertice.

Dall’altro lato, la Cina si conferma il maggior emettitore mondiale di CO₂, ma anche il più grande produttore globale di tecnologie pulite. Questo duplice ruolo alimenta contraddizioni nelle sue politiche, ma al contempo offre enormi potenzialità. Dopo anni di incremento delle emissioni iniziano ad esserci segni di una fase di inflessione: la crescita si sta attenuando e, in alcuni settori, comincia a invertire la rotta. Inoltre, con la sua dottrina di “responsabilità climatica legata allo sviluppo”, Pechino ha già siglato oltre 50 accordi di cooperazione climatica con 42 Paesi in via di sviluppo, guadagnandosi la reputazione di leader nella transizione verso un’economia verde.

Infine, l’Unione Europea si è consolidata nel tempo come attore di riferimento nella governance climatica globale, grazie a un quadro normativo tra i più avanzati al mondo, benché spesso attraversato da contraddizioni interne. Lo spostamento dell’attenzione politica verso altre priorità e la crescente semplificazione hanno indebolito la posizione dell’UE, che appare oggi più frammentata che mai. Tuttavia, questa frammentazione non è solo europea, ma riflette una più ampia disgregazione dell’ordine internazionale. In tale contesto, il ruolo dell’Unione rimane centrale e il suo impegno climatico può ancora svolgere una funzione di esempio.

In questo quadro, la finanza climatica è chiamata a diventare motore di un cambiamento concreto: il suo successo sarà la vera misura della svolta attesa a Belém, sotto gli occhi non solo di leader e negoziatori, ma anche di cittadini, comunità indigene e associazioni. Nell’ultimo decennio, l’intensificarsi del cambiamento climatico e dei fenomeni ad esso associati è stato accompagnato da progressi significativi, tra costi delle tecnologie rinnovabili ridotti, investimenti verdi in crescita, e impegni net-zero sottoscritti da sempre più Paesi. A dieci anni dagli Accordi di Parigi, COP30 sarà quindi l’occasione per fare un bilancio degli obiettivi raggiunti, e verificare se la visione di “mutirão globale” saprà affrontare il crescente senso di urgenza, superare le divisioni politiche e tradursi in un’azione collettiva ancora più solida.

Elisa Avoledo è tirocinante di ricerca nel programma Energia, Clima e Risorse presso l’Istituto Affari Internazionali e studentessa di diritto ambientale e sviluppo sostenibile presso l’Università degli Studi di Milano.

Elisa Avoledo

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