Le relazioni pericolose

La rottura transatlantica è temporanea o strutturale? Donald Trump è la causa della frattura o è solo un sintomo di tendenze più profonde? Gli ottimisti si aggrappano alla speranza che la stabilità che abbiamo perso possa essere ripristinata dopo Trump. Ne dubito.

Nemmeno nella storia recente le relazioni transatlantiche sono andate così male. Le tensioni attuali fanno sembrare il primo mandato Trump una passeggiata: allora si ritirava dall’accordo sul nucleare iraniano, ora bombarda l’Iran e dà il via libera a Israele per la sua guerra contro il regime di Teheran; allora minacciava dazi, ora impone il 15%; allora inviava missili anticarro Javelin all’Ucraina, ora, nella migliore delle ipotesi, permetterà ai governi europei di acquistare armi statunitensi per Kyiv.

L’ottimismo può diventare una forma di fede – e alcuni continuano ad aggrapparsi alla convinzione che torneranno i bei vecchi tempi dell’alleanza atlantica, ma è illusorio: anche se Trump scomparisse, è difficile immaginare che le relazioni transatlantiche possano tornare a quel senso di affinità che le ha caratterizzate nei decenni passati. Non si può più dare per scontato che esse si basino su valori e identità condivisi. Gli europei lo capiscono a livello intellettuale, ma fanno fatica ad accettare la realtà a livello emotivo. Questo spiega la tendenza a mantenere un profilo basso ed evitare di irritare Trump, aspettando che il tempo passi nella speranza che il passato possa magicamente tornare.

Questo atteggiamento è pericoloso, perché sembrano molto più probabili degli scenari alternativi, due in particolare, che presuppongono che la deriva transatlantica sia più profonda e strutturale della semplice presenza di Trump.

Il primo scenario vedrebbe l’Europa e gli Stati Uniti negoziare quando i loro interessi convergono. Ciò ridurrebbe il rapporto a transazioni di convenienza, senza alcun legame emotivo o impegno a lungo termine, ma almeno non sarebbe segnato da ostilità e rancore. Se l’Europa fosse in guerra e gli Stati Uniti potessero guadagnare vendendole armi, sarebbero felici di farlo. Ma questo non impedirebbe a Washington di raggiungere un accordo bilaterale con Mosca scavalcando gli ucraini e gli europei. Accettare questa realtà significherebbe per l’Europa cercare cinicamente di ottenere il massimo vantaggio possibile dagli Stati Uniti. Gli europei continuerebbero ad acquistare armi statunitensi per un po’, sviluppando nel frattempo l’autonomia strategica del continente e investendo nell’industria della difesa europea. Accetterebbero i dazi di Trump nel breve termine, ma rafforzerebbero il potere contrattuale dell’UE aumentando la portata, la profondità e il ritmo degli scambi commerciali con altri paesi, dai paesi latinoamericani del blocco Mercosur all’India fino ai 12 paesi del Comprehensive and Progressive Trans-Pacific Partnership. L’Europa dovrebbe anche perseguire la proposta di costruire un sistema commerciale internazionale alternativo all’Organizzazione mondiale del commercio, senza gli Stati Uniti. Non è un risultato ideale per l’Europa, ma è accettabile.

Tuttavia, esiste un altro scenario, molto più minaccioso per l’Europa. È un mondo di imperi in cui gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e forse anche l’India hanno ciascuno la propria sfera d’influenza. Gli imperi potrebbero finire per scontrarsi ma anche sovrapporsi sulla base di accordi effimeri, piuttosto che di regole e leggi condivise. L’istinto di Trump va in questa direzione: considerando l’Europa come una colonia, preferirebbe trattare con essa attraverso l’estorsione piuttosto che attraverso il transazionalismo. Altri aspiranti imperi potrebbero avere idee diverse sul futuro. Il recente incontro tra il presidente cinese Xi Jinping, Putin e Narendra Modi a Pechino punta in una direzione più conflittuale. Nel frattempo, la miope guerra commerciale di Trump ha seriamente intaccato la partnership faticosamente costruita dagli Stati Uniti con l’India, spingendo Delhi tra le braccia di Pechino. Un mondo di imperi sarebbe il peggior risultato possibile per l’Europa, stretta tra le ambizioni della Russia e degli Stati Uniti, con la Cina in attesa sullo sfondo.

Le reazioni dell’Europa a queste realtà emergenti rendono più probabile questo cupo scenario. I leader europei hanno trascorso gli ultimi sei mesi lusingando e cedendo a Trump. Una piccola dose di adulazione diplomatica è certamente necessaria, ma la totale auto-umiliazione attuale fa rabbrividire molti cittadini europei. È inutile: al massimo ottiene i sorrisi volubili di Trump. Peggio ancora, è controproducente, perché dimostra che l’Europa può davvero essere colonizzata e accetta la legge del più forte. Gli europei devono accettare che il passato è tristemente passato. Solo così potranno evitare un futuro che li vedrà relegati a forza in fondo alla catena alimentare.

Direttore dell'Istituto Affari Internazionali, part-time professor alla School of Transnational Governance dell'European University Institute, professore onorario all’Università di Tübingen e amministratore non esecutivo e indipendente di Acea.

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