Difesa europea: tempi stretti?

Di difesa europea parliamo sin dagli anni ‘50 del secolo scorso, ma dal rinvio sine die della ratifica del Trattato della Comunità Europea di Difesa, deciso dal Parlamento francese nel 1954, ad oggi, pochissimo è stato fatto, mentre la difesa dell’Europa è divenuta responsabilità pressoché esclusiva della Nato, con un ruolo crescente degli Stati Uniti, sia economico che militare.

Oggi si è aperta una nuova fase, perché gli americani ci fanno sapere, con modi piuttosto bruschi, di non voler più assumersi tanta parte delle spese per assicurare la nostra difesa. Erano partiti dal chiedere che gli alleati europei spendessero almeno il 2% del loro PIL per la difesa, ma ora parlano anche di un mirabolante 5,5%. 

Comunque la si rigiri, il punto è che il determinante contributo americano alla difesa e sicurezza dell’Europa non è più garantito: dipenderà da come ci comporteremo alla corte del nuovo re. 

I primi a scoprire quanto scomoda sia questa situazione sono stati gli ucraini che hanno visto improvvisamente bloccarsi sia l’arrivo di nuovi armamenti che, soprattutto, il vitale flusso di Intelligence che permette loro di resistere efficacemente agli attacchi russi. L’aiuto americano è stato riattivato non appena gli ucraini si sono piegati al diktat di Donald Trump, che ha imposto loro di accettare l’avvio di negoziati indiretti, in cui gli americani parlano con i russi e con gli ucraini separatamente e decidono sui compromessi possibili. Il fatto che finora non si sia arrivati a nulla è il segnale della durezza di Mosca più che della solidarietà americana con Kyiv. I russi sembrano aspettarsi di raccogliere al tavolo negoziale quella vittoria totale che non hanno guadagnato sul campo di battaglia. Il tutto puntando sul desiderio di Washington di chiudere quanto prima questa partita.

Gli USA incrementano le insicurezze dell’Europa

Non sappiamo come andrà a finire, ma nel frattempo la diffidenza europea nei confronti dell’alleato americano cresce. Così si rafforza la percezione che bisogna rapidamente fare qualcosa di concreto. Ciò sta in parte avvenendo sul piano finanziario (dai piani di spesa tedeschi alle proposte di Rearm Europe della Commissione), ma è ancora embrionale sul piano operativo, che è invece quello essenziale se si vuole recuperare credibilità nei confronti sia della Russia che degli Usa.

Ma questa situazione di attesa non può durare troppo a lungo. Il passare dei giorni accresce il rischio di divaricazioni importanti tra le scelte dei singoli governi nazionali, sotto la spinta di evoluzioni specifiche dei vari elettorati, o per adattarsi ad altre sfide. È chiaro, ad esempio, che un aggravarsi della “guerra dei dazi” verrà vissuta in modo diverso dai singoli paesi e che questo potrà influire sulla loro solidarietà reciproca. Altre divisioni potrebbero insorgere se si dovesse porre mano alle politiche sanzionatorie nei confronti della Russia e di altri paesi. È insomma urgente cominciare a prendere decisioni significative.

Sul piano operativo l’iniziativa europea deve partire dall’ambito Nato, più che dall’Ue, perché è la Nato che assicura la difesa delle frontiere orientali e la deterrenza nei confronti della Russia. Dovrà quindi essere un gruppo di paesi membri della Nato a dare il via a una missione specifica comune europea per la difesa a Oriente, dal Circolo polare artico al Mar Nero. Il programma deve essere quello di assicurare una capacità difensiva credibile anche in assenza del contributo americano, senza naturalmente in alcun modo voler scusare gli americani per una loro eventuale mancanza.

Per far questo nel modo migliore sarebbe bene passare anche attraverso quella integrazione e razionalizzazione del mercato interno europeo della difesa di cui si parla nella Lettera di intenti firmata trent’anni or sono dai maggiori paesi europei. Ma in primo luogo sarà necessario individuare lo Stato Maggiore in grado di pianificare sia gli aspetti operativi che quelli tecnologici e industriali necessari a una difesa credibile.

Oggi il grosso di queste competenze è nel Comando Supremo alleato in Europa (Shape) guidato da un americano e con la presenza di numerosi funzionari a stelle e strisce. Il loro contributo sarà prezioso, se disponibile, altrimenti si dovrà procedere tra i volenterosi, magari anche coinvolgendo l’embrione di Stato Maggiore esistente nell’Ue. Ma deve essere chiaro che una difesa credibile europea della frontiera orientale è un’operazione militare di enorme impegno, che non può né deve fare a meno delle conoscenze e degli asset comuni dipendenti da Shape.

Non sono decisioni facili, né politicamente né tecnicamente, ma solo cominciando da subito ad esaminarle e discuterle potremo sperare di affrontare con successo l’immenso e gravoso compito che ci aspetta, se vogliamo mantenere l’Europa libera e unita.

Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali e direttore editoriale di AffarInternazionali. È stato presidente dello IAI dal 2001 al 2013. È editorialista de Il Sole 24 Ore dal 1985. È stato sottosegretario di Stato alla Difesa (gennaio 1995-maggio 1996), consigliere del sottosegretario agli Esteri incaricato per gli Affari europei (1975), e consulente della Presidenza del Consiglio sotto diversi governi. Ha svolto e svolge lavoro di consulenza sia per il Ministero degli Esteri che per quelli della Difesa e dell'Industria.

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