L’accordo siglato nei mesi scorsi tra Stati Uniti e Ucraina sulle terre rare rappresenta un passaggio cruciale nella nuova geopolitica delle risorse globali. Concluso a fine aprile 2025, questo partenariato va ben oltre la cooperazione economica: abbraccia sicurezza nazionale, sviluppo tecnologico e competizione globale per il controllo di materie prime essenziali.
Il patto è il risultato di settimane di tensioni e prevede lo sfruttamento congiunto delle risorse naturali ucraine, oltre alla creazione del Fondo di Investimento per la Ricostruzione USA-Ucraina, destinato alla ricostruzione del Paese dopo il conflitto.
Al centro dell’accordo vi sono le cosiddette “terre rare”. La loro crescente importanza geopolitica, insieme ai minerali critici, sta trasformando sempre di più gli equilibri di potere a livello globale e la competizione economica. Con questa espressione si identifica una categoria di 17 metalli che include i quindici lantanidi della tavola periodica, insieme allo scandio e all’ittrio. Il termine “rare” è fuorviante: si tratta in realtà di elementi relativamente comuni nella crosta terrestre. Ciò che risulta problematico è trovare questi elementi in alta concentrazione nei giacimenti, poiché risultano essere diluiti nel terreno. Il processo di estrazione è quindi complesso e dispendioso, dovuto al fatto che nella maggior parte dei casi non si trovano in forma pura, ma quasi sempre legati ad altri elementi.
Le terre rare sono fondamentali in numerosi settori strategici: tecnologia hi-tech ( ad esempio per il funzionamento dei display dei dispositivi elettronici), green technology (es. per la realizzazione di pale eoliche e auto elettriche), industria della difesa (in primis per sistemi radar e sonar), catalizzatori delle auto a benzina, lampade fluorescenti, apparecchiature mediche ed elettronica dei semiconduttori. Un singolo caccia F-35, ad esempio, contiene all’incirca 417 kg di leghe a base di terre rare. Tuttavia, l’uso di questi materiali, pur essendo cruciale per la transizione ecologica, non è esente da impatti ambientali: la raffinazione comporta l’uso di acidi e tecnologie poco sostenibili, con produzione significativa di rifiuti tossici e radioattivi.
USA: dipendenza dalla Cina e urgenza di diversificazione
Per gli Stati Uniti, l’accordo con l’Ucraina è un tentativo di ridurre la dipendenza dalla Cina, dalla quale attualmente proviene il 70% delle importazioni statunitensi di terre rare. La Cina, con riserve stimate in 44 milioni di tonnellate metriche, controlla anche circa il 70% della raffinazione globale. Da cui la celebre affermazione nel 1992 di Deng Xiaoping: “Il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare”. Tale dominio si è consolidato grazie a costi di manodopera più bassi, normative ambientali meno restrittive e una forte domanda interna di materie prime durante la rapida crescita economica di Pechino. Riprodurre altrove l’efficienza cinese in questo settore è difficile: costruire impianti analoghi, ad esempio negli Stati Uniti, può costare fino a tre volte di più. Proprio per superare questa dipendenza Donald Trump ha inserito le terre rare e i minerali critici tra le priorità della propria agenda politica, aprendo dialoghi con Ucraina, Groenlandia e Arabia Saudita. Accordi simili a quello con Kiev sono in corso con la Repubblica Democratica del Congo (in cambio di supporto militare, sebbene restino dubbi sul luogo di lavorazione dei minerali) e con il Brasile, secondo mercato globale dopo la Cina.
L’Ucraina: potenziale miniera strategica d’Europa
Secondo stime delle Nazioni Unite, l’Ucraina possiede circa il 5% delle riserve mondiali di terre rare. Non solo, secondo il Ministero dell’Economia ucraino, il Paese dispone di 22 dei 34 minerali considerati critici dall’Unione Europea, tra i quali ferroleghe e minerali come litio, grafite, zirconio e titanio. Detiene anche il 7% della produzione globale di titanio e, con riserve di litio stimate in circa 500.000 tonnellate, è il primo in Europa per disponibilità di tale materiale.
L’Ucraina possiede anche circa il 20% delle disponibilità mondiali di grafite (essenziale per la produzione delle batterie elettriche), oltre a notevoli quantità di berillio, manganese, gallio, uranio, apatite e fluorite — tutti elementi chiave per i settori della difesa e dell’elettronica. Il territorio ucraino contiene infine 117 dei 120 metalli e minerali più usati al mondo.
Nonostante queste potenzialità, le informazioni disponibili sulla reale estensione delle risorse di terre rare in Ucraina sono limitate. La mappatura geologica attuale risale all’epoca sovietica (30-60 anni fa) e necessita di una revisione approfondita. Inoltre, l’estrazione su larga scala richiederà ingenti investimenti nelle infrastrutture energetiche, gravemente danneggiate dal conflitto: si stima che il Paese abbia perso circa due terzi della propria capacità di produzione elettrica.
A ciò si aggiunge un ulteriore ostacolo: intorno al 20% del territorio ucraino è attualmente sotto occupazione russa. Le principali risorse minerarie si trovano nelle regioni di Luhansk, Donetsk, Zaporzhizhia, Dnipropetrovsk, Kirovohrad, Poltava e Kharkiv — aree oggi in larga parte controllate da Mosca. Secondo i think tank ucraini We Build Ukraine e l’Istituto Nazionale di Studi Strategici, la Russia controllerebbe circa il 40% delle risorse minerarie ucraine, incluso il più grande giacimento di litio del Paese, situato nel Donetsk.
Per attrarre investimenti sostenibili nel lungo periodo, sono quindi fondamentali condizioni di sicurezza e stabilità, che attualmente non sono presenti nel paese.
Una partnership carica di implicazioni politiche
L’accordo concluso tra Kiev e Washington è carico di rilevanza politica. Adottando un linguaggio esplicitamente critico nei confronti della Russia, identificandola come aggressore nel conflitto, afferma “un’allineamento strategico su lungo termine” tra i due stati. Inoltre, gli Stati Uniti “supportano la sicurezza dell’Ucraina, la sua prosperità, ricostruzione e integrazione nel quadro economico globale”. L’accordo lega quindi la stabilità territoriale ucraina agli interessi delle grandi imprese americane.
In conclusione, l’accordo impegna le aziende americane a sviluppare nuovi giacimenti fuori dalle zone occupate, offrendo potenzialmente un’opportunità di crescita economica sostenibile per l’Ucraina, grazie al reinvestimento dei profitti e alla creazione di un solido indotto industriale. Tuttavia, nel testo dell’accordo non vi è alcuna menzione di garanzie di sicurezza — elemento centrale delle richieste di Kyiv. Questa omissione riflette la strategia con cui Washington punta a garantirsi l’accesso alle risorse ucraine senza però farsi carico del peso della difesa dell’Ucraina rispetto all’invasore russo, creando così potenziali tensioni sia con l’Ucraina che con gli alleati europei.
