Pochi giorni prima che Vladimir Putin ponesse in atto la sua volontà di aggredire l’Ucraina per cercare di piegarla al suo desiderio di potenza, la Corte di giustizia dell’Unione europea (significativamente in composizione plenaria, stante l’importanza eccezionale della questione sottoposta al suo vaglio) ha pronunciato due sentenze che – anche in ragione dei bollettini di guerra – sono immeritatamente passate pressoché inosservate al grande pubblico.
Le due sentenze gemelle (rese nei casi C-156/21 e C-157/21) segnano infatti il radicale rigetto da parte dei giudici europei del congiunto tentativo di Ungheria e Polonia di far annullare il Regolamento (UE, Euratom) 2020/2092 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2020 relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione. Tali sentenze rappresentano un altro passo avanti nell’affermazione dei fondamentali valori che ispirano il democratico processo di integrazione europea.
Valori europei contro le mosse di Polonia e Ungheria
Con queste pronunce i giudici che siedono a Lussemburgo mostrano ancora una volta che le corti europee sono ferme e costanti nel proteggere i valori scolpiti nell’art. 2 del Trattato sull’Unione europea, fra cui il centrale rispetto dello Stato di diritto, da anni posto in discussione e gravemente pregiudicato dalla classe politica dominante in Polonia ed Ungheria.
In estrema sintesi, la vicenda è parte del “grande baratto” che si è indegnamente consumato sul finire del 2020 nel momento in cui la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha cercato di far adottare uno strumento di reazione più efficace rispetto alle violazioni dei valori fondanti l’UE. Un’iniziativa, questa adottata dalla Commissione, resasi necessaria in ragione della paralisi che da anni colpisce, stante l’attuale configurazione dei Trattati europei (segnatamente l’art. 7 del TUE, che dovrebbe essere lo strumento principe per la protezione dei valori di cui all’art. 2 del TUE), il Consiglio europeo ed il Consiglio rispetto alle conclamate violazioni di Polonia ed Ungheria.
In particolare, a fronte della gravissima compromissione del regime di indipendenza dei giudici da parte dei governi polacco e ungherese, che in questi due paesi vede oramai il potere giudiziario inaccettabilmente sottomesso alle scelte del potere politico (e che ha meritato plurime – ma sostanzialmente inascoltate – sentenze di condanna per questi due Stati membri da parte dei giudici europei), la Commissione aveva proposto di adottare un regolamento che le consentisse di sanzionare gli Stati membri non rispettosi dello Stato di diritto attraverso la sospensione o la cessazione dei finanziamenti europei.
Polonia e Ungheria hanno violato lo Stato di diritto
Timorosi, a buona ragione, di perdere quello che essi considerano il principale valore aggiunto della partecipazione al processo di integrazione europea (attingere ai fondi europei), Polonia ed Ungheria hanno dapprima cercato in tutti i modi di osteggiare l’adozione del futuro Regolamento 2020/2092 ed infine – facendo leva sulla necessità di fornire “risposte europee” alla pandemia di Covid-19 – hanno barattato la loro (ahimè necessaria) approvazione di nuove risorse proprie per l’UE, del Next Generation EU, del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 e del bilancio dell’UE per il 2021 con molteplici paralizzanti ipoteche politiche sul nuovo regolamento.
Fra tali ipoteche politiche, accettate da tutti i Capi di Stato e di Governo e finanche dalla Commissione, v’è stata quella secondo cui quest’ultima avrebbe dovuto attendere il termine di eventuali ricorsi in annullamento del regolamento in corso di approvazione per poter proporre l’applicazione di misure a norma del regolamento medesimo. In buona sostanza, venendo a patti con Polonia ed Ungheria, gli altri Stati membri e la Commissione hanno all’epoca accettato che l’applicazione del futuro Regolamento 2020/2092 fosse sospesa fino al termine dei ricorsi in annullamento che Polonia ed Ungheria avevano già preannunciato.
Così è stato. I ricorsi sono stati presentati. L’applicazione del Regolamento 2020/2092 è stata lungamente sospesa, fra le proteste di molti, anzitutto del Parlamento europeo (in primis nella persona del compianto Presidente David Sassoli, sino a condurre ad un aperto conflitto fra il Parlamento europeo e la Commissione in ragione della mancata applicazione del regolamento che il Parlamento europeo correttamente riteneva ingiustificata). Polonia ed Ungheria hanno continuato a violare indenni il valore dello Stato di diritto (oltre ad altri valori di cui all’art. 2 del TUE), che pure si sono impegnate a rispettare al momento della loro adesione all’UE.
Ha vinto lo Stato di diritto, ma attenzione ai ritardi
Ma le sentenze gemelle confermano ora che il Regolamento 2020/2092 è valido ed efficace e che il valore dello Stato di diritto fa parte – così come tutti i valori elencati dall’art. 2 del TUE – dell’identità stessa dell’UE quale ordinamento giuridico comune. Tali valori, ribadisce la Corte europea, comportano obblighi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri, che sono tenuti a rispettarli in maniera persistente e duratura. Tali valori, quale risultato di un modo di intendere la società civile europea e i rapporti che in essa si instaurano fra cittadini e poteri pubblici e fra le diverse componenti di questi ultimi, non possono soffrire strumentali diversificazioni di interpretazione sulla scorta di pretese differenze di identità nazionale.
Si potrebbe dunque pensare che a breve vedremo la Commissione sanzionare Polonia e Ungheria ai sensi del Regolamento 2020/2092, sì da ricondurle al rispetto del valore dello Stato di diritto.
Non è detto che ciò avvenga.
Fra i diversi impegni assunti dalla Commissione nel contesto del sovversivo Consiglio europeo di dicembre 2020 vi è, infatti, quello di predisporre linee guida concernenti le modalità applicative del Regolamento 2020/2092, previa approfondita consultazione con gli Stati membri. Tale impegno potrebbe evidentemente comportare ulteriori lunghi ritardi.
Eppure, proprio quanto sta accadendo in questi drammatici giorni in Russia dovrebbe rammentarci ancora una volta che i valori di una società democratica, fra cui spicca lo Stato di diritto, ossia la limitazione dei pubblici poteri anzitutto attraverso la separazione degli stessi, vanno difesi in ogni contesto, tempestivamente ed efficacemente. Altrimenti la deriva tirannica e incontrollata potrebbe prendere facilmente il sopravvento e condurre a risultati drammatici e non più evitabili.
Foto di copertina EPA/Pawel Supernak