Il 12 novembre, il German Council of Economic Experts (GCEE) — organo indipendente chiamato a valutare le politiche economiche implementate dal governo di Berlino — ha presentato il suo report 2025/2026, offrendo un’analisi della traiettoria di evoluzione delle finanze pubbliche tedesche. La disamina firmata dai cinque accademici che compongono il GCEE mette in evidenza un’economia in affanno che, nel 2025, dovrebbe crescere dello 0,2% e, nel 2026, dello 0,9%.
Nel loro rapporto, gli economisti pongono grande attenzione sui potenziali effetti dati dalla riforma del freno al debito approvata alcuni mesi fa, segnalando delle criticità che hanno attratto l’attenzione di diversi analisti. Criticità da cui possono conseguire effetti negativi in termini di crescita del Pil e di sostenibilità delle finanze pubbliche teutoniche.
La riforma del freno al debito
Il freno al debito (Schuldenbremse) venne introdotto nella Costituzione tedesca nel 2009, durante una fase storica in cui il contenimento della spesa pubblica era percepito dalla maggioranza dei politici di Berlino come un elemento di fondamentale importanza. Con tale norma, la Germania veniva sostanzialmente vincolata a perseguire il pareggio di bilancio, con la possibilità di aumentare l’indebitamento che veniva limitata unicamente a situazioni di emergenza al di là del controllo dello Stato.
I problemi dati dall’aver introdotto un rigido vincolo alla spesa all’interno del Grundgesetz sono divenuti evidenti con l’inizio del decennio, quando il modello economico tedesco — trainato dall’export — è andato in crisi e la minaccia portata dalla Russia alla sicurezza del vecchio continente si è fatta tangibile. In tal senso, negli ultimi anni, sono andate via via moltiplicandosi le richieste di riforma dello strumento; sollecitazioni che sono state avanzate anche dalla Bundesbank e dallo stesso German Council of Economic Experts.
Ecco quindi che, nei giorni immediatamente successivi alle elezioni legislative di quest’anno, il governo del cancelliere Merz — impiegando i voti del parlamento uscente — ha portato a una drastica revisione dello Schuldenbremse. Con tale modifica, la Germania ha istituito un fondo speciale (dall’importo complessivo di 500 miliardi di euro) indirizzato agli investimenti infrastrutturali e verdi e, al contempo, ha scorporato le spese in difesa superiori all’1% del Pil dal calcolo del deficit: due previsioni normative che danno la possibilità all’attuale esecutivo di aumentare la spesa pubblica come mai fatto negli ultimi decenni.
Spesa o investimenti?
L’approvazione della riforma dello Schuldenbremse ha fatto inevitabilmente sorgere un quesito: sarà la Germania capace di impiegare questo maggior debito per investimenti strategici o, invece, finirà anch’essa, come molti altri Paesi, per “sprecare” risorse finanziando spese improduttive?
Stando all’analisi formulata dal German Council of Economic Experts, ad ora, la risposta a tale quesito non è pienamente incoraggiante.
Nel report redatto dai cinque economisti è infatti scritto in maniera esplicita come una non trascurabile parte delle risorse del fondo speciale sia indirizzata verso spese non classificabili come investimenti (come l’aumento delle pensioni per le madri non lavoratrici). Da tale allocazione — mette in guardia il report — rischia di derivare un impatto sulla crescita più contenuto rispetto a quello preventivato, oltre che un aumento dell’indebitamento più difficile da assorbire negli anni a venire. Il GCEE sottolinea in tal senso come sarebbe opportuno ripensare la programmazione del fondo speciale verso investimenti capaci di sostenere l’innovazione, nella consapevolezza che maggior spazio fiscale può essere creato solo «attraverso riforme che favoriscono la crescita e aumentano la base imponibile» («additional fiscal space should be created through reforms that generate growth and broaden the tax base»).
La pressione dell’AfD
Nel ricevere il report dalle mani della chair del GCEE, Merz ha lasciato intendere in modo piuttosto chiaro come non prevedesse particolari variazioni ai programmi di spesa fino a quel momento elaborati. Tali dichiarazioni non risultano sorprendenti per due ragioni in particolare.
La prima è che il cancelliere guida un governo di grosse-koalition in cui rimettere mano al bilancio, una volta che su di esso si è trovato un accordo, può risultare politicamente molto complicato. La seconda è che varie spese sociali messe in campo da CDU ed SPD servono a rispondere a un’opinione pubblica scontenta e sfiduciata che, in maniera sempre maggiore, guarda ad Alternative für Deutschland come soluzione ai propri problemi. A tal riguardo, non è da escludersi che, per assistere a un riorientamento della spesa che segua le indicazioni dei cinque economisti, sia necessario aspettare che la Germania esca dall’attuale stagnazione economica e che il consenso verso i partiti di governo torni — almeno un poco — a crescere.
Le speranze dell’Europa
Dal versante europeo, non si può che guardare con grande attenzione quanto accade a Berlino: la Germania è d’altronde la principale economia del vecchio continente e dal modo in cui essa spenderà la rilevante quantità di fondi presa a debito dipenderà la crescita dell’Unione nel suo insieme.
Un grado di dipendenza accresciuto negli ultimi anni dalle decisioni assunte in materia di governance economica, posta la scelta di tornare a limitare la spesa dei Paesi a debito elevato — attraverso la definizione del nuovo Patto di Stabilità e Crescita — senza procedere a ulteriori emissioni di bond comuni, sul modello del Next Generation EU.
Emissioni di debito comune che avrebbero probabilmente rappresentato la migliore opzione per sostenere la produttività del vecchio continente — così come il ruolo internazionale dell’euro — ma che la politica e l’opinione pubblica tedesca, evidentemente, continuano a vedere con (eccessivo) scetticismo.
L’articolo è stato elaborato nell’ambito di “Focus Geofinanza. Osservatorio IAI-Intesa Sanpaolo sulla geofinanza”
Ricercatore nel programma “Multilateralismo e governance globale” dell’Istituto Affari Internazionali. La sua attività di ricerca ha primariamente riguardato il quadro di governance economica dell’Unione Europea, il tema delle criptovalute e quello delle monete digitali delle banche centrali.






