Qatar 2022: il calcio dei diritti e il ‘doppio standard’ occidentale

La prima edizione ospitata da un paese mediorientale; la prima volta che si gioca non a inizio estate, bensì in autunno inoltrato; ma anche l’edizione che ha sollevato le maggiori perplessità e critiche prima del calcio d’inizio ufficiale, almeno nei paesi occidentali: sono molti i punti di vista da cui si può affermare che il campionato mondiale di calcio maschile Qatar 2022 non abbia precedenti.

Corruzione e diritti

Negli ultimi mesi, il racconto di Qatar 2022 sui media occidentali si è concentrato principalmente su tre temi: la corruzione, i diritti dei lavoratori e i diritti LGBT+. Per quel che riguarda il primo aspetto, nel corso degli anni la doppia assegnazione dell’edizione 2018 alla Russia e di quella 2022 al Qatar è stata oggetto di numerose voci e accuse, anche da parte di fonti del Dipartimento della Giustizia statunitense – accuse sempre fermamente smentite da Doha. 

Sul piano dei diritti dei lavoratori, particolare scalpore ha suscitato un articolo del Guardian del febbraio 2021 in cui si riportava la cifra di 6500 morti tra i lavoratori migranti dell’Asia meridionale impiegati nel piccolo paese del Golfo tra il 2010 e il 2020. Anche se le cifre ufficiali fornite dal comitato organizzatore riguardo alle morti tra i lavoratori direttamente impiegati nella costruzione degli stadi sono infinitamente più basse (sarebbero state 38 in totale, di cui solo tre legate alle attività di lavoro), le denunce di abusi perpetrati verso i lavoratori coinvolti nei progetti infrastrutturali in preparazione dei campionati del mondo si sono susseguite negli anni.

Un passo in avanti positivo, ma a detta di molti non sufficiente, è stata in ogni caso l’abolizione nel 2020 del sistema kafala, che prevedeva l’obbligo di chiedere il permesso al datore di lavoro per cambiare impiego, e un contestuale incremento del salario minimo. Le recenti notizie riguardo all’espulsione di migliaia di migranti da alcuni complessi residenziali nel centro di Doha hanno rilanciato le perplessità rispetto alla situazione dei diritti dei lavoratori nel paese.

Sul piano dei diritti LGBT+, numerose preoccupazioni sono state sollevate sia riguardo alle violenze e detenzioni arbitrarie perpetrate dalla polizia qatariota nei confronti di persone di orientamento LGBT anche negli ultimi mesi, sia in merito alla sicurezza personale dei tifosi occidentali che dovessero recarsi nel paese. Di fronte a queste accuse, alcune rappresentative europee – in testa quella olandese – hanno promosso iniziative ad hoc: dall’organizzazione di incontri tra giocatori e lavoratori migranti prima delle partite alla decisione (non limitata ai mondiali) di far indossare ai capitani delle squadre una fascia arcobaleno  “contro tutte le forme di discriminazione”.

Le reazioni della FIFA e in Qatar

La risposta delle istituzioni sportive a queste iniziative è stata per l’ennesima volta centrata sul principio di (presunta) neutralità dello sport. La FIFA, in particolare, ha scritto alle 32 rappresentative coinvolte nella manifestazione invitandole a “concentrarsi sul calcio” anziché farsi “trascinare” in battaglie politiche o ideologiche o impartire “lezioni morali” di alcun genere, evitando di affermare la superiorità di alcuni paesi, culture o nazioni rispetto ad altri. Questa posizione è coerente con la retorica da sempre adottata (con vario successo) dalle grandi organizzazioni sportive internazionali, finalizzata a preservare l’unità dello sport internazionale a fronte di conflitti e tensioni geopolitiche.

In modo più sottile, dal Qatar, alcuni studiosi hanno messo invece in luce la tendenza da parte dei media occidentali a costruire una narrazione “orientalista” dei mondiali in Qatar, in cui il paese del Golfo viene rappresentato in maniera stereotipata e caricaturale, riducendone il complesso panorama sociale e politico alla sola questione dei mondiali. Di pari passo, esponenti di primo piano del governo di Doha hanno avanzato accuse di “doppio standard” da parte dei media occidentali. 

L’intreccio tra sport e politica

Nel complesso, è difficile negare che l’organizzazione di un megaevento come i mondiali di calcio abbia avuto un impatto sul tessuto economico e sociale del Qatar più profondo rispetto ad altri paesi: basti pensare che i mondiali porteranno oltre un milione di visitatori in un paese che normalmente ospita meno di tre milioni di residenti. Di questi ultimi, si stima che appena 380 mila abbiano cittadinanza qatariota: gli altri sono lavoratori migranti, moltissimi dei quali hanno lavorato negli ultimi anni ai grandi progetti infrastrutturali (per un valore complessivo di oltre 200 miliardi di dollari) varati in preparazione dell’evento.

Se l’attenzione internazionale al tema dei diritti porterà effettivamente a un miglioramento della loro condizione – come sostengono i più ottimisti, inclusa la FIFA, sottolineando il potenziale trasformativo degli eventi sportivi – o se si tratterà di una mera illusione, solo il tempo potrà dirlo.

Su un altro piano, i mondiali in Qatar si inseriscono in una fase di crescente attenzione ai diritti da parte del mondo dello sport occidentale, sull’onda lunga del movimento Black lives matter e anti-discriminazioni negli Stati Uniti.

Che il mondo dello sport professionistico, a partire dagli atleti, prenda consapevolezza del più ampio contesto politico e sociale in cui si colloca, e di come questo finisca inevitabilmente per impattare sullo sport stesso (dalle decisioni delle grandi organizzazioni internazionali riguardo all’assegnazione dei megaeventi sino alle tante forme di discriminazione ancora in essere sui campi di gioco e di allenamento) non può che essere visto come uno sviluppo positivo – che deve essere portato avanti coerentemente e in maniera costruttiva in vista dei prossimi mondiali, e oltre.

Foto di copertina EPA/NOUSHAD THEKKAYIL

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