“Melonomics” e l’enigma della politica economica italiana dopo le elezioni

L’Italia si avvicina alle elezioni politiche del prossimo 25 settembre in un contesto di crescente turbolenza sui mercati finanziari oltre che di incertezza sulla sua capacità di far fronte alle decisioni della Banca Centrale Europea di allentare i programmi di stimolo e di aumentare i tassi di interesse di riferimento, a cui si aggiungono le diffuse tensioni inflazionistiche. Se Giorgia Meloni, leader del partito di estrema destra Fratelli d’Italia, sarà la prima donna presidente del Consiglio, ulteriori incertezze potrebbero emergere sul ruolo del Paese nell’Unione Europea e sulle conseguenti implicazioni economiche per l’intera Eurozona. 

Un’Italia esposta al rischio 

Durante le settimane che hanno portato a queste elezioni anticipate, gli investitori hanno scommesso sempre più contro i titoli di stato italiani, ai più alti livelli dalla crisi finanziaria globale del 2008, e facendo salire lo spread tra i rendimenti dei titoli di Stato decennali italiani e tedeschi del 68,8% dall’inizio del 2022. Il profilo di rischio dell’Italia è attualmente influenzato anche dallo scetticismo circa la capacità del nuovo meccanismo della BCE (il Transmission Protection Instrument – TPI) di contenere i costi dell’indebitamento dei paesi dell’Eurozona fortemente indebitati, considerando il debito pubblico italiano di 2.700 miliardi di euro.

Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), l’Italia è anche tra i paesi dell’Ue più esposti ad un’interruzione delle forniture di gas naturale russo, data la sua forte dipendenza per la produzione di elettricità. Un embargo della Russia, secondo le stime, causerebbe una contrazione del Pil maggiore del 5%, a meno di forti passi in avanti sul fronte dell’integrazione del mercato Ue, che consentirebbe la solidarietà tra gli Stati membri. 

La vittoria annunciata di una coalizione di destra guidata da Fratelli d’Italia, partito tradizionalmente euroscettico, alle elezioni generali di domenica, è motivo di apprensione per l’effettiva attuazione degli impegni di riforma dell’Italia assunti dal governo Draghi nell’ambito del Piano per la ripresa dell’Europa da 200 miliardi di euro. La proposta di Meloni di rivedere il Pnrr per rispondere alle sfide poste dall’invasione russa dell’Ucraina è stata finora interpretata come una minaccia all’accesso dell’Italia ai fondi dell’Ue.

Una controversa identità in politica economica 

Al di là del complesso esercizio di previsione del programma economico del futuro governo, l’identificazione politica economica dei partiti populisti di destra radicale in Europa è ancora controversa. La politica economica nazionalista, comunemente proposta dalle piattaforme politiche populiste, combina generalmente posizioni di laissez-faire di centro-destra su questioni politica interna (riduzione dello stato sociale accompagnata dalla riduzione delle tasse con l’obiettivo di attirare l’elettorato della classe media) con euroscetticismo e posizioni protezionistiche in ambito commerciale ed industriale. In ogni caso, le difficoltà nel definire l’ideologia economica dei partiti populisti, come Fratelli d’Italia e la Lega di Matteo Salvini, due dei principali attori nella coalizione probabilmente vittoriosa, sono parzialmente dovute al loro graduale passaggio dal neoliberalismo dei primi anni ‘90 all’attuale approccio nativista al welfare (welfare chauvinism).

Per quanto concerne le questioni di politica economica, Meloni ha mostrato un volto di centro destra moderato ed al tempo stesso ambiguo durante la campagna elettorale. La revisione delle condizionalità legate all’accesso ai fondi Ue viene promossa invocando il principio della flessibilità e la conformità alle regole di Bruxelles, al fine di rafforzare la necessaria credibilità interna ed esterna, nonché la fiducia dei mercati finanziari. È interessante notare che anche la principale organizzazione imprenditoriale italiana, Confindustria, ha condiviso la richiesta di rinegoziare i fondamenti dell’accordo Ue a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia. 

Proposte non troppo radicali

La coalizione di centro destra guidata da Meloni, che include la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia di Silvio Berlusconi, difficilmente proporrà grandi cambiamenti al piano che Draghi ha concordato con la Commissione. Sembra più plausibile pensare che cercherà piuttosto di modificare aspetti minori del trattato con lo scopo di mantenere l’accesso a fondi UE, cruciali per garantire la stabilità economica e conseguentemente politica dell’Italia e di preservare un’immagine di rottura rispetto alla precedente amministrazione “tecnocratica” nei tradizionali sostenitori dell’estrema destra. La divergenza con l’agenda economica di Draghi potrebbe manifestarsi attraverso il ripristino delle espressioni più tipiche del nazionalismo economico, ovvero la protezione delle imprese nazionali dagli investimenti diretti esteri e l’espansione delle partecipazioni statali in settori critici attraverso la Cassa Depositi e Prestiti.

L’effettiva composizione di posizioni contrastanti all’interno della prossima coalizione di governo su questioni politiche chiave (la revisione della governance economica Ue, la cooperazione Atlantica ed i rapporti con la Russia) sarà presto definita dagli elettori e determinerà il ruolo dell’Italia in Europa in questa fase di nuovo disordine mondiale. 

Foto di copertina ANSA/GIUSEPPE LAMI

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