di Francesca Metsovitis e Leo Goretti
Nel mutevole e complesso panorama delle relazioni internazionali contemporanee, l’Unione Europea si trova ad affrontare una varietà di sfide sul piano della politica estera e di sicurezza, che rappresentano un banco di prova fondamentale per le ambizioni europee ad ergersi ad attore globale. Tre fattori rendono particolarmente problematica la formulazione di una politica estera efficace a livello europeo: la contestazione interna derivante dalla mancanza di unità di vedute tra gli stati membri, la frammentazione a livello regionale e statuale nelle aree caratterizzate da conflitto e gli elevati livelli di competizione multipolare. Questi ostacoli sono al centro della nuova special issue di The International Spectator – la rivista referata in lingua inglese dello IAI – intitolata Re-imagining EU Foreign and Security Policy in a Complex and Contested World, a cura di Riccardo Alcaro e Hylke Dijkstra.
Contrariamente alla narrazione dominante che vede in queste sfide contestuali un freno determinante all’azione Ue, come precisano i curatori nell’articolo introduttivo, lo special issue invita i lettori ad approfondire gli spazi di agency a disposizione di stati e istituzioni comunitarie, testando caso per caso l’effettiva capacità degli attori europei nel mitigare la contestazione interna e le pressioni sistemiche. L’issue comprende infatti otto case-studies, che spaziano geograficamente dal Sudamerica al Mare Meridionale Cinese, soffermandosi sulle politiche europee di fronte ad alcuni dei principali conflitti e crisi degli ultimi quindici anni.
In questo modo, il fascicolo tratteggia un quadro vivido del panorama della politica estera e di sicurezza europea, riconoscendo le situazioni in cui le strategie di adattamento e mitigazione hanno avuto successo e, al contrario, quelle in cui hanno incontrato ostacoli. Nell’analizzare le risposte di governance dell’Ue e dei suoi Stati membri di fronte a contestazione, frammentazione e competizione multipolare, gli articoli nella special issue si soffermano su tre tipologie principali di misure di mitigazione – istituzionali, funzionali e diplomatiche – e sulla loro efficacia nei diversi casi presi in esame.
Superare la contestazione intra-Ue
Pol Bargués, Assem Dandashly, Hylke Dijkstra and Gergana Noutcheva analizzano la posizione europea rispetto alla complessa questione della statualità del Kosovo. In questo caso, è stato cruciale individuare strategie per aggirare l’ostacolo della contestazione intra-UE, in particolare di paesi poco propensi a riconoscere l’indipendenza kosovara per ragioni di politica interna come Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna, delegando il compito di supportare il nascente stato balcanico direttamente alle istituzioni comunitarie.
Quello del Kosovo non è l’unico esempio di successo: nel suo articolo, Riccardo Alcaro analizza il caso delle lunghe negoziazioni sul programma nucleare dell’Iran dai primi anni Duemila fino all’accordo raggiunto nel 2015, in cui le divisioni interne sono state superate grazie alla guida di tre attori fondamentali, ovvero la Francia, la Germania ed il Regno Unito, successivamente affiancati anche dall’Alto rappresentante Ue per la Politica estera e di sicurezza comune.
Risvolti positivi sono stati ottenuti anche nel caso del Venezuela dove, come spiega l’articolo di Anna Ayuso, Tiziano Breda, Elsa Lilja Gunnarsdottir e Marianne Riddervold, le divisioni interne sono state oltrepassate delegando alle istituzioni comunitarie il compito di fornire aiuti umanitari e di svolgere funzioni di monitoraggio elettorale, anche se non si è riusciti a definire una strategia comune di lungo periodo per risolvere la crisi.
La contestazione interna si è invece rivelata estremamente dannosa nel caso di Israele e del conflitto in Palestina. Come spiegano Sinem Akgül-Açıkmeşe e Soli Özel, gli sforzi europei per la risoluzione del conflitto ne sono stati compromessi, in quanto l’Unione, nel tentativo di difendere la propria unità, ha continuato – almeno a livello di facciata – a legare il proprio impegno a soluzioni che risultano datate, come quella dei “due popoli, due Stati”.
La frammentazione regionale e i fallimenti dell’Unione
La seconda sfida per la politica estera e di sicurezza europea, quella della frammentazione regionale, è il focus di altri due articoli inclusi nel fascicolo. Caterina Bedin, Tiffany Guendouz e Agnès Levallois presentano il caso della Siria: a fronte di un iniziale tentativo di mitigare il conflitto, gli accresciuti flussi di rifugiati provenienti dalla regione hanno spinto l’Unione europea a concentrarsi su strategie mirate strettamente all’obiettivo di contenere gli arrivi.
Francesca Caruso e Jesutimilehin O. Akamo si concentrano invece sul conflitto nella regione del Tigrai in Etiopia, evidenziando le difficoltà europee nel cogliere appieno le complesse dinamiche di un conflitto intrastatuale che ha visto il coinvolgimento di una grande varietà di attori interni ed esterni. In entrambi i casi, limitare gli effetti negativi degli elevati livelli di frammentazione regionale è risultato complicato e l’UE ha nel complesso fallito nel tentativo di mitigarne le conseguenze.
La competizione multipolare: storie di coesistenza e trasformazione
La terza sfida contestuale discussa nel fascicolo è quella della competizione multipolare, analizzata attraverso diversi casi di studio. Soffermandosi sulle tensioni nella regione del Mare Cinese Meridionale, Zachary Paikin osserva come l’approccio europeo – centrato sul multilateralismo e sull’ingaggio selettivo di partner locali, l’ASEAN su tutti – possa coesistere con la forte competizione che attraversa oggi la regione.
Kristi Raik, Steven Blockmans, Anna Osypchuk and Anton Suslov analizzano come l’Unione Europea abbia dovuto far fronte a un’accresciuta competizione geopolitica in conseguenza dello scoppio del conflitto in Ucraina. Se prima del febbraio 2022 le risposte europee alle iniziative geopolitiche russe erano apparse insufficienti, l’invasione russa ha spinto l’Unione e gli stati membri a un’azione ferma a tutela dell’integrità ucraina, che ha spaziato dalla dimensione politica a quella finanziaria e militare, portando l’Ue a trasformarsi essa stessa in un attore geopolitico.