Lo shutdown negli USA: una battaglia nella campagna verso le elezioni di mid-term

Si è chiuso finalmente lo shutdown più lungo della storia americana: 44 giorni di paralisi a partire dal 1° ottobre scorso. Imposto dai Democratici, contestato dai Repubblicani e il presidente Donald Trump, lo shutdown ha creato problemi al governo federale e la popolazione in generale ma anche creato vantaggi per entrambe le forze politiche.

Cos’è uno shutdown?

I Democratici hanno bloccato il rifinanziamento del governo sfruttando la regola dell’ostruzionismo (filibuster) in Senato, che consente di interrompere l’iter legislativo a meno che una supermaggioranza di sessanta senatori (su cento) non decida altrimenti. È l’unica leva procedurale di cui dispongono oggi per opporsi in Congresso all’Amministrazione Trump, essendo in minoranza in entrambe le camere e non potendo quindi agire con leggi, audizioni o inchieste parlamentari.

Per lungo tempo, nel corso del Novecento, lo shutdown è stato politicamente un tabù, poiché comporta la chiusura del governo federale – eccetto alcune funzioni essenziali – e costringe decine di migliaia di funzionari a restare a casa o a lavorare senza stipendio. Negli ultimi decenni, però, è diventato una pratica ricorrente, via via che il dibattito politico si è polarizzato e la cooperazione bipartisan ha perso appeal elettorale: prima a destra, con i Repubblicani che ne hanno fatto uso per primi e con grande spregiudicatezza, e poi anche a sinistra.

La salute prima di tutto

I Democratici hanno giustificato la loro scelta con la necessità di difendere i sussidi alla copertura assicurativa sanitaria introdotti dall’Affordable Care Act, la grande riforma varata da Barack Obama nel 2010, e poi estesi da Joe Biden nel 2022. In base Big Beautiful Bill Act, il massiccio taglio a tasse e spesa pubblica approvato lo scorso luglio dal Congresso a maggioranza repubblicana grazie a una scappatoia procedurale che ha consentito l’approvazione a maggioranza semplice, i sussidi si estingueranno entro l’anno. In assenza di proroga, i premi assicurativi potrebbero raddoppiare o anche più, con il risultato che 10-12 milioni di persone potrebbero non essere più in grado di pagarsi l’assicurazione sanitaria.

La sanità è uno dei temi su cui i Democratici sanno di godere di un vantaggio netto nell’opinione pubblica. Ma dietro la decisione di forzare lo shutdown si nascondeva anche la frustrazione di un partito e di un elettorato che si sentono impotenti di fronte a un’Amministrazione Trump che non solo ha drasticamente ridotto la spesa sociale e preso a picconate agenzie federali considerate essenziali dai progressisti – dallo sviluppo all’istruzione fino agli organismi di vigilanza indipendente – ma ha anche lanciato una campagna repressiva e intimidatoria contro oppositori politici, media, università, studi legali e organizzazioni non governative. I rastrellamenti dell’agenzia per l’immigrazione (Ice) e l’invio di truppe federali in città governate dai Democratici devono aver convinto la riluttante leadership congressuale – Chuck Schumer al Senato e Hakeem Jeffries alla Camera – che fosse giunto il momento di una controffensiva.

Controffensiva e ritirata

Forzare uno shutdown, per di più così lungo, è stato un azzardo. Storicamente, l’opinione pubblica tende ad attribuire la responsabilità di una chiusura del governo al partito che la provoca, non al presidente. Eppure, per settimane la dinamica è sembrata rovesciata: i sondaggi indicavano che gran parte degli americani imputava lo shutdown a Trump e ai Repubblicani, e le prime consultazioni elettorali – per i sindaci di New York, i governatori di New Jersey e Virginia e per varie cariche in Pennsylvania, Georgia e Mississippi – hanno visto i Democratici trionfare ovunque. Lo stesso Trump avrebbe ammesso in privato che lo shutdown era stato una delle cause principali della sconfitta.

Eppure, a pochi giorni dalla vittoria, otto senatori democratici hanno raggiunto un accordo con i Repubblicani per porre fine alla crisi. La decisione ha scosso i Democratici, frenandone lo slancio politico e restituendone l’immagine di un partito diviso e incapace di tenere la linea quando il gioco si fa duro. I senatori “ribelli” – la leadership infatti era contraria all’accordo – hanno ottenuto soltanto concessioni minime: la riassunzione dei funzionari governativi sospesi, il pagamento integrale dei salari anche per il periodo di chiusura e la salvaguardia del Government Accountability Office (GAO), l’ufficio federale indipendente che verifica la sostenibilità delle spese pubbliche. Sul nodo centrale dei sussidi sanitari, l’unico risultato concreto è stato l’impegno a un voto in Senato a dicembre.

Né vinti né vincitori

Trump e i Repubblicani hanno immediatamente rivendicato la vittoria, sostenendo di aver piegato i Democratici senza concedere nulla di sostanziale. Ma la realtà è più sfumata. La speranza che lo shutdown costringesse i Repubblicani a rivedere i tagli alla sanità era illusoria, e i Democratici ne erano consapevoli. Tuttavia, sono riusciti a guadagnare attenzione – la risorsa più preziosa nella politica contemporanea – su un tema a loro favorevole come la sanità e il voto di dicembre obbligherà i Repubblicani a prendersi la responsabilità dei tagli, finora nascosti dentro il più ampio Big Beautiful Bill Act. Ciò potrebbe alimentare divisioni interne al partito di Trump.

Non è un caso che nessuno degli otto senatori democratici che hanno votato per la riapertura del governo sarà in corsa nelle elezioni di mid-term del 2026 (il Senato si rinnova solo per un terzo ogni due anni). Questo li mette al riparo dalle ricadute elettorali, mentre i colleghi che si presenteranno alle urne – insieme ai deputati e ai potenziali candidati alle primarie presidenziali del 2028 – hanno potuto marcare le distanze, mantenendo intatta la connessione con la rabbia anti-Trump che serpeggia nell’elettorato progressista.

Il ragionamento è complicato, ma il punto è semplice: è incerto che i Democratici avrebbero potuto ottenere di più, peraltro al prezzo di infliggere un danno crescente alla popolazione, già colpita dalla sospensione di programmi come lo SNAP, il principale schema di assistenza alimentare federale. Questa potrebbe essere stata la via d’uscita meno dolorosa da una situazione in cui non c’erano soluzioni senza costi.

Non è un caso che, subito dopo la riapertura del governo, i Democratici alla Camera abbiano spinto per la pubblicazione di nuovi documenti sul caso Epstein che coinvolgono direttamente Trump – un modo per spostare rapidamente l’attenzione pubblica dallo shutdown e da chi ne sarebbe uscito vincitore o sconfitto. In definitiva, quella dello shutdown non è stata mai pensata come battaglia decisiva, ma uno scontro di posizionamento nella lunga campagna verso le midterm del 2026, e oltre.

 

Coordinatore delle ricerche e responsabile del programma Attori globali dell’Istituto Affari Internazionali. I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle relazioni transatlantiche, in particolare sulle politiche di Stati Uniti ed Europa nel vicinato europeo. Di recente ha pubblicato un libro sul ruolo dell’Europa nella crisi nucleare iraniana,“Europe and Iran’s Nuclear Crisis. Lead Groups and EU Foreign Policy-Making” (Palgrave Macmillan, 2018).

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