I simboli possono essere anche più importanti delle azioni, ma è difficile che i soli gesti simbolici riescano a risolvere problemi storici o conflitti incancreniti. Alla vigilia della conferenza internazionale convocata nei giorni scorsi a New York, su iniziativa della Francia e dell’Arabia Saudita, per rilanciare la soluzione dei due Stati israeliano e palestinese, il presidente Emmanuel Macron ha preannunciato la decisione di Parigi di riconoscere a settembre lo Stato di Palestina. L’Autorità nazionale palestinese ha accolto l’annuncio con soddisfazione, Hamas ha brindato, il governo israeliano l’ha condannato senza mezzi termini. Hanno reagito duramente anche gli Stati Uniti, mentre altri, come Regno Unito e Canada, stanno seguendo di fatto la Francia.
La realtà del conflitto oltre il riconoscimento simbolico
Il riconoscimento non modifica la realtà del conflitto sanguinoso che da ventidue mesi il governo israeliano conduce a Gaza condannando a morte, con la feroce complicità di Hamas, migliaia di civili innocenti, anche per fame. Per Benjamin Netanyahu, il passo di Macron è un premio assurdo, inaccettabile, al terrorismo di Hamas. Ma per un numero crescente di Stati potrebbe essere una risposta, a questo punto inevitabile anche se solo emotiva, alla situazione disperata della Striscia. D’altra parte, il riconoscimento di uno Stato inesistente purtroppo non ha impatto sulla guerra.
Di questa guerra oggi non si vedono altre ragioni se non, da un lato, la sopravvivenza politica di Netanyahu e degli estremisti suoi alleati di governo; e, dall’altro, il terribile cinismo di Hamas, che dopo il massacro perpetrato il 7 ottobre ha tutto l’interesse a continuare a tenere prigionieri gli ostaggi israeliani (un’assicurazione sulla vita, per i terroristi) insieme alla stessa popolazione palestinese, anch’essa immobilizzata in una trappola mortale. Interessi opposti convergono quindi per la prosecuzione del conflitto, le vittime non contano e la tregua, già troppe volte annunciata, sembra un miraggio.
Dubbi sull’efficacia della strategia francese
Se bastasse il colpo di frusta di Macron per uscire dall’incubo, non si dovrebbe discutere. Eppure non mancano i dubbi. Di fronte a uno stallo ogni giorno più insopportabile, può apparire obbligata la scelta del riconoscimento come strumento di pressione politica e ben motivata l’insofferenza per i tanti distinguo. Tuttavia, resta da verificare se a questo stadio il passo francese sia il più efficace o se non rischi di avere addirittura effetti perversi quali, ad esempio, un maggior consenso interno a favore di Netanyahu e soci e della loro nefasta intransigenza.
Il vuoto di leadership internazionale
Poi, certo, alla base dello scatto francese c’è stata l’ignavia dell’Europa paralizzata dalle sue divisioni. E la riluttanza, anzi l’incapacità, degli Stati Uniti a far valere la propria influenza in una regione cruciale anche per gli interessi Usa. Washington non prende neanche in considerazione l’opzione di premere su Israele, se mai possibile, attraverso una riduzione degli aiuti militari. L’Ue esita a usare la leva dell’accordo di cooperazione con Israele, la cui sospensione costituirebbe un concreto segnale di censura al governo di Netanyahu.
La conferenza di New York e le responsabilità mancate
Ora, nel disastro epocale di Gaza, si riparla di due Stati, nonostante l’opposizione dei due principali attori, Israele e Hamas, e lo scetticismo di molti, rassegnati al peggio. Da New York, con la condanna da parte di Lega araba e europei per il massacro del 7 ottobre è giunto un chiaro appello al disarmo di Hamas, alla liberazione degli ostaggi e all’avvio di un negoziato per i due Stati.
Sinora in questa tragedia ci sono stati troppi latitanti. È mancata una linea americana di contrasto dell’estremismo messianico del governo israeliano, che alimenta odiose ondate di antisemitismo. Né si è vista una decisa assunzione di responsabilità dei Paesi arabi, per debellare Hamas e programmare la gestione della Striscia, da ricostruire nell’interesse dei palestinesi e con l’obiettivo di una loro entità statale.
Le chiavi della soluzione: Washington e Riad
Sicché le chiavi per l’avvio di una soluzione realistica del dramma in atto stanno ancora soprattutto a Washington e Riad. Se la decisione di Macron e altri sul riconoscimento della Palestina potrà essere un pesante sasso nello stagno di americani e Paesi del Golfo e scuoterli dal loro immobilismo, sarà un passo positivo. Se invece, come al momento è anche lecito temere, resterà circoscritta alla simbologia e alla retorica – o se finisse persino per accreditare i nemici di qualsiasi idea di convivenza bi-nazionale – la mossa di Parigi mostrerà purtroppo tutti i suoi limiti.
Presidente dell'Istituto Affari Internazionali e presidente del Centro italo-tedesco per il dialogo europeo Villa Vigoni su proposta congiunta dei governi italiano e tedesco. Diplomatico di carriera, ha lavorato alla Direzione degli Affari Economici (1975), all’Ambasciata d’Italia a Brasilia (1978) e all’Ambasciata d’Italia a Bonn (1981). Dal 1984 al 1987 è stato consigliere a Beirut. Nel 1991 è nominato Primo consigliere a Bruxelles, presso la Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea. Nel 1997 diventa ambasciatore a Sarajevo. Nel 1999 assume la direzione dei Rapporti con il Parlamento e poi del Servizio Stampa alla Farnesina. È Ambasciatore a Brasilia dal 2004, a Berlino dal 2009 e Segretario Generale della Farnesina dal 2012 al 2016.