La pandemia da Covid-19, l’aggressione della Russia contro l’Ucraina e la guerra di Israele a Gaza di questi ultimi mesi hanno rappresentato una costellazione di crisi e cesure in grado di cambiare (o quantomeno di mettere in discussione) i paradigmi politici che conoscevamo e a cui facevamo riferimento fino a poco tempo fa. Sembra che i cambiamenti di oggi abbiano un grado di permeabilità maggiore rispetto agli sconvolgimenti del Novecento, anche a fronte della presenza di tecnologie oggi in grado di accelerare, enfatizzare e rendere visibile anticipatamente le trasformazioni in atto. Con ancora maggiore facilità, i cambiamenti di oggi attraversano i confini: non solo quelli geografici, ma anche quelli immateriali. I confini diventano quindi più porosi, fluidi, in grado di creare zone tra loro interconnesse: se pensiamo a fenomeni quali i cambiamenti climatici o la sicurezza nel mondo cyber, è possibile comprendere in maniera immediata quanto le grandi trasformazioni che stiamo affrontando siano trasversali ai confini, minacciandone al contempo l’integrità, ancor di più in un mondo oltremodo polarizzato, dove le alleanze sono ben più sfilacciate rispetto al contesto bipolare della guerra fredda (anch’esso comunque caratterizzato da variazioni e sfumature, come ci insegna il caso del “confine orientale” italiano).
Nuove sfide, nuovi confini?
La comunità internazionale ha naturalmente risposto alle sfide globali dei nostri giorni, anche a fronte dell’instabilità e dell’incertezza create dalla fine di un mondo diviso in due macro-blocchi ideologicamente contrapposti: è stato così dopo il 24 febbraio 2022, quando l’Unione europea, di concerto con l’alleato atlantico in ambito Nato, ha risposto compattamente all’attacco di Vladimir Putin contro l’Ucraina; ed è stato così anche, seppur con le dovute sfumature, quando l’Organizzazione mondiale della sanità ha promosso un’interlocuzione con i governi nazionali per la definizione delle misure di contenimento della pandemia da Covid-19. Queste sfide hanno comunque creato, o ricreato, dei confini: quello tra l’est e l’ovest, più netto e militarmente concreto, o quello contro una malattia, minaccia impalpabile quanto letale, che ha però imposto fortissime limitazioni agli individui in termini di mobilità e spostamenti, un aspetto che rappresenta invece uno dei pilastri fondamentali dello spazio europeo.
Le esperienze dell’integrazione europea e la costruzione di forme di governo globale hanno promosso una maggiore apertura e fluidità dei confini tradizionali, oltre che un nuovo approccio orientato ad andare oltre e cercare di ricomporre le linee di faglia tra società e popolazioni. L’Europa è sempre stata un continente dai confini politici instabili, frammentata nel corso dei secoli in decine, se non centinaia di entità politiche, ma è anche stata al centro di grandi progetti di unificazione. Il processo di integrazione europea si è per questo sviluppato nel tempo su diversi livelli: politico, doganale e monetario. Questo mosaico rende dunque difficile definire dove si trovino i confini dell’Europa. L’integrazione ha inoltre seguito dinamiche ben diverse dalla semplice necessità di rafforzare o ridefinire i confini tra nazioni o regioni diverse, o di promuovere uno spazio più socialmente e culturalmente inclusivo allentando i confini all’interno di un determinato territorio nazionale o regionale. In modo sorprendente, tutte queste sfide hanno messo in gioco i confini esterni dell’Ue e dimostrano quanto l’integrazione europea sia influenzata non solo dagli sviluppi politici nei suoi Stati membri, ma anche dall’ambiente internazionale, come reso evidente dall’accelerazione nell’apertura a Est dopo il 24 febbraio 2022.
La global governance contro il caos
Come per l’Ue, anche le organizzazioni internazionali rappresentano una cartina tornasole per la comprensione dei confini nel mondo e la loro evoluzione nel tempo: la governance globale può infatti influenzare la gestione delle frontiere attraverso accordi internazionali su immigrazione, commercio, sicurezza e cooperazione transfrontaliera. Analogamente, la definizione e la gestione dei confini possono influenzare l’efficacia della global governance, poiché le questioni transnazionali possono richiedere la cooperazione e la coordinazione tra diverse entità e attraverso confini fisici e concettuali. Ciò porta, in realtà, in alcuni casi alla differenziazione e alla regionalizzazione di alcune aree del globo: si sente di frequente parlare del Global South, operando una demarcazione e un confine netto tra ciò che è il mondo avanzato e i cosiddetti paesi in via di sviluppo.
Tuttavia, la società internazionale odierna, interdipendente, dove individui, comunità, nazioni e sistemi sono fortemente interconnessi e in cui i cambiamenti possono provenire anche da attori non statali, sembra sentirsi sempre più costantemente minacciata da fattori endogeni ed esogeni che possono mettere in pericolo la sicurezza degli individui, spingere verso il caos, la guerra e l’anarchia. In questo contesto, i confini fisici diventano la linea del fronte utile a garantire la sicurezza: le comunità sono spinte a stringersi attorno alla costruzione di nuove barriere, nuove regole, nuove procedure. Eppure, questo non basta a fermare minacce non necessariamente tangibili e che attraversano confini porosi.
Oggi sono le stesse narrazioni dell’integrazione europea e del mondo libero dopo la caduta del muro di Berlino a essere messe a dura prova da nemici e da sfide che noi dichiariamo fuori dai nostri confini: ecco perché è ancora più importante interrogarci su come l’integrazione europea e la governance globale possano offrire delle soluzioni e degli spiragli per una pace mondiale più duratura.