La rimonta inattesa del peronismo verso il ballottaggio

A prima vista, le elezioni in Argentina del 22 ottobre sembrano aver dissipato i timori verso una deriva populista e autoritaria del paese. Contro ogni pronostico, infatti, il peronista filogovernativo, l’ex ministro dell’Economia Sergio Massa, si è affermato come candidato di punta con il 36,6% dei voti, circa 6 punti in più rispetto ai sondaggi, gli stessi punti che lo separano dal suo concorrente nel ballottaggio del 19 novembre: il candidato libertario di estrema destra, Javier Milei, che si è invece fermato appena sotto la soglia del 30%, quasi 5 punti in meno di quelli previsti dagli stessi sondaggi. L’altra candidata dell’opposizione conservatrice di Juntos por el Cambio, Patricia Bullrich, si è fermata a un magro 23,83%, seguita da candidati minori come Juan Schiaretti (6,78%) e Myriam Bregman (2,7%). L’affluenza è stata del 77,65%, in calo rispetto al 2019.

Tuttavia, il ballottaggio potrebbe in ultima istanza favorire Milei, che ha promesso di rifondare lo stato distruggendo il sistema di partiti che ha governato il paese negli ultimi decenni, ma ha teso una mano alle forze di centrodestra per formare un fronte anti-peronista.

Il peronismo ha dato una prova di solidità inaspettata, viste le condizioni in cui l’Argentina è arrivata alle elezioni, duramente provata da anni di malgoverno del presidente Alberto Fernández, aggravati dall’impatto della pandemia del COVID-19. Secondo un’analisi della Fundación Capital, l’economia è in uno stato di malattia terminale, con un’inflazione attuale del 140% ma che per dicembre potrebbe toccare un picco tra il 154% e il 180%, e una contrazione del PIL del 3,3% nel 2023. Il volume dell’economia argentina sarebbe inoltre del 2,7% inferiore al 2015, con consumi e investimenti allo stesso livello di otto anni fa’. Inoltre, i salari sono calati del 4,1% su base annua, il 18,5% al di sotto dei livelli del 2015. Il 40% della popolazione è ormai sotto la soglia della povertà (oltre il 60% tra i bambini). A questo va aggiunto un preoccupante aumento della criminalità, sia quella comune che quella organizzata, quest’ultima in particolare nella provincia di Rosario, che ha reso l’insicurezza una preoccupazione quasi al pari dell’inflazione per i cittadini argentini. Come naturale conseguenza, l’indice di approvazione dell’attuale presidente Fernández è crollato ad appena il 17%.

Il risultato di Sergio Massa

In questo scenario, il risultato di Massa, che è riuscito a migliorare nettamente il suo risultato alle primarie di agosto (dov’era arrivato terzo con il 27,24% dei voti) non può che essere sorprendente. Almeno due elementi lo spiegano: una strategia elettorale di distanziamento moderato dall’attuale governo e il tracollo della candidata dell’opposizione di centro-destra, Patricia Bullrich. Pur non rinnegando la sua appartenenza politica, Massa ha infatti preso le distanze dal governo Fernández in più occasioni, chiedendo scusa agli argentini per gli errori commessi dall’attuale amministrazione, e promettendo un governo diverso (“un governo di unità nazionale”, ha detto commentando i risultati elettorali).

In effetti, nonostante la sua partecipazione nel governo attuale, nella sua traiettoria politica non sono mancati momenti di tensione con la leadership del peronismo e del cosiddetto kirchnerismo, corrente che fa’ a capo a Cristina Fernández de Kirchner, l’attuale vice-presidente. Ciò può aver rafforzato la credibilità di Massa non solo tra gli elettori di sinistra, ma anche quelli più moderati e di centro, che lo hanno preferito alla candidata di centro-destra Patricia Bullrich. Il passato nei movimenti insurrezionali di sinistra di quest’ultima, infatti, è stato utilizzato dai suoi detrattori per screditarla, mentre la scelta d’incentrare la campagna sul tema della sicurezza, promettendo “mano dura” contro i criminali (è stata ministra di sicurezza nel governo di Mauricio Macri, 2015-2019), accompagnata da una proposta poco chiara nell’ambito economico, hanno contribuito a farla rimanere indietro nei sondaggi ed infine a spostare parte dei possibili elettori verso altri candidati.

Javier Milei: la figura più dirompente nella scena politica argentina

Quella che sembra una dimostrazione di forza dell’ufficialismo, però, potrebbe dimostrarsi in realtà il terreno perfetto di scontro per il vero protagonista di questa elezione: Javier Milei. Formato come economista, contrario all’aborto, Milei è sicuramente la figura più dirompente nella scena politica argentina, e in pochi anni è passato da comparsa negli show televisivi a un fenomeno mediatico di rilevanza nazionale. La sua proposta include idee più o meno sgangherate, dalla dollarizzazione del paese, l’abolizione della Banca Centrale, la legalizzazione del commercio di organi umani e la riduzione della spesa pubblica attraverso la riduzione ai minimi termini dell’amministrazione pubblica – ha infatti promesso di eliminare 10 dei 18 ministeri attualmente esistenti.

I tratti da outsider populista, il discorso anti-sistema, e l’uso massiccio dei social media, hanno fatto tracciare a molti osservatori il naturale paragone con altri leader come Donald Trump negli Stati Uniti e Jair Bolsonaro in Brasile. Sebbene non sia riuscito ad aumentare il suo bacino elettorale al primo round, forse anche perché una parte degli indecisi ha preferito optare per un candidato più moderato, Milei avrà la possibilità di attingere dall’elettorato di Bullrich in misura ampiamente maggiore di quanto possa fare Massa.

Nelle sue prime dichiarazioni da sconfitta, Bullrich ha infatti immediatamente scartato qualsiasi avvicinamento al peronismo. Resta da vedere se Milei opterà per continuare su una linea oltranzista contro tutto e tutti, o se tenterà di farlo attraverso un discorso più accondiscendente verso quelle forze di centro-destra che ha attaccato con tanta veemenza nella campagna elettorale. Per il momento sembra aver optato per questa seconda opzione: “do per concluso il periodo di aggressioni per ricominciare e porre fine al kirchnerismo”, ha detto subito dopo le elezioni.

Massa, forte del supporto della macchina governativa, dovrà invece sperare nell’unione delle forze moderate con partiti minori come Unión Cívica Radical e Cambiemos per forgiare una coalizione democratica anti-populista, sulla falsa riga di quello che è successo negli Stati Uniti nel 2020 e in Brasile nel 2022, che hanno portato alla vittoria di Joe Biden e Lula Inácio da Silva rispettivamente. In questi casi, però, i cittadini avevano già sperimentato sulla loro pelle le conseguenze dell’elezione di candidati anti-sistema in realtà incapaci di gestire la cosa pubblica e le relazioni internazionali. Gli argentini non hanno questo lusso, e l’esasperazione a cui sta portando la situazione attuale potrebbe nutrire la pericolosa curiosità verso la novità. Senza dubbio la partita per il 19 novembre rimane tutt’altro che chiusa, e chiunque ne risulterà vincitore incontrerà serie difficoltà a risollevare un paese in caduta libera, visto che nessuno dei due candidati potrà contare su una maggioranza nel Congresso.

foto di copertina EPA/ENRIQUE GARCIA MEDINA

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