Il governo ha riportato al centro dell’agenda politica nazionale le relazioni dell’Italia con l’Africa, promuovendo un ampio programma: sostenere lo sviluppo sostenibile, rafforzare relazioni commerciali e di sicurezza, creare opportunità per le imprese italiane, supportare sicurezza e transizione energetica. Sebbene l’Italia non abbia ancora maturato un’esperienza di cooperazione internazionale all’altezza di un paese del G7. Le risorse effettivamente distribuite annualmente dall’Italia nel 2023 arrivavano a 5 miliardi di dollari, contro i 16 della Francia e i 17 del Regno Unito e 36 della Germania. Per l’Italia nel 2022 circa un quarto di queste risorse era spese per assistenza ai rifugiati già nel nostro paese.. Oggi vi è un concreto interesse politico, accompagnato da un’apertura di credito da parte dei partner africani, e di questo va dato atto al governo Meloni.
Negli ultimi dieci anni, tuttavia, i risultati concreti sono stati limitati, anche a causa di una struttura di governance complessa. La cooperazione in Italia è regolata da una legge del 2014 che ha istituto un’agenzia dedicata (AICS) all’interno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, e ha affidato a Cassa Depositi e Prestiti (CDP) il ruolo di istituzione finanziaria per lo sviluppo. Negli anni successivi sono stati lanciate o rifinanziati vari strumenti finanziari che non hanno però portato al salto di qualità sperato. Per affrontare il problema della governance , il governo ha deciso di centralizzare le decisioni in un’unità di missione per il Piano Mattei presso Palazzo Chigi.
Gli strumenti finanziari per la cooperazione e la loro governance
La politica di cooperazione utilizza vari strumenti, tra cui prestiti e assistenza tecnica ai governi, supporto (finanziario e tecnico) alle imprese che operano nei mercati esteri o a imprese italiane esportatrici, finanziamenti destinati a istituzioni finanziarie internazionali e progetti a dono con comunità locali. L’esperienza internazionale suggerisce che la governance degli strumenti deve essere progettata in base al tipo di beneficiario:
Enti pubblici o no-profit che possono ricevere prestiti concessionali, risorse a dono o assistenza tecnica. Questi strumenti sono generalmente gestiti da un’agenzia dedicata (AFD in Francia, BMZ e KFW Development Bank in Germania, US AID negli Stati Uniti), che ha la competenza tecnica per seguire l’implementazione dei progetti con pubbliche amministrazioni e ONG. I progetti originati vengono elaborati dalle agenzie congiuntamente con la rete diplomatica e vengono approvati dell’autorità politica nel paese donatore (preferibilmente a livello di macro-programma e non di singolo intervento).
Aziende private con obiettivi di sviluppo locale che possono ricevere prestiti, equità e garanzie. Questi strumenti sono generalmente gestiti da istituzioni finanziarie per lo sviluppo (DFI) indipendenti, con balance sheet autonomo capitalizzato dal governo promotore, e che tendono a finanziarsi sul mercato. Queste istituzioni operano seguendo priorità strategiche definite dal governo, che stabilisce i target di impatto sociale e ambientale, il ritorno finanziario minimo e il perimetro di intervento. Le decisioni di investimento sono però prese in effettiva autonomia dal governo. I criteri per l’erogazione dei finanziamenti sono esigenti: le operazioni vengono valutate con rigore commerciale (lo scopo è provare la fattibilità di un modello di business e renderlo indipendente nel tempo) e di impatto, e viene valutata l’addizionalità del capitale pubblico rispetto a quello privato. L’obiettivo è “creare mercati”, dimostrando concretamente che è possibile fare impatto sociale e ambientale senza perdere soldi. Le strutture ministeriali non hanno le competenze per selezionare questo tipo di progetti ed è per questo che tutte le principali istituzioni finanziarie di sviluppo europee, il Gruppo Banca Mondiale e le principali banche pubbliche multilaterali, hanno un ente separato (o almeno un team separato) dedicato alle operazioni con privati.
Supporto all’internazionalizzazione delle imprese nazionali del paese donatore mediante garanzie e prestiti agevolati dallo Stato. Questi prodotti sono solitamente gestiti da un’agenzia separata rispetto all’istituzione finanziaria di sviluppo. Il mandato consiste nell’aiutare le aziende nazionali, tipicamente ma non esclusivamente PMI, a espandersi all’estero. Il criterio d’intervento non è l’impatto locale ma si basa sulla solidità del piano di business dell’impresa, senza la necessità che queste risorse siano addizionali rispetto ad altre fonti di finanziamenti commerciali. Gli importi concessi sono tipicamente limitati e soggetti ai limiti sugli aiuti di Stato. Le autorità politiche e i ministeri definiscono i criteri di intervento, ma l’approvazione degli interventi su singole imprese non dipende da essi.
L’Italia ha scelto strumenti finanziari ibridi pubblico-privati e centralizzato le decisioni presso i ministeri
In Italia, gli stessi strumenti e plafond di risorse (Fondo Italiano per il Clima, Fondo rotativo per la cooperazione) vengono utilizzati sia per interventi pubblici che privati, nonostante le logiche d’intervento siano diverse. Per il supporto alle imprese esistono una varietà strumenti (Fondo Italiano per il Clima, Fondo rotativo per la cooperazione, fondo SIMEST per il Venture Capital e l’annunciato “plafond Africa” del Piano Mattei). Per ciascuno di questi strumenti sono fissati per legge differenti comitati ministeriali (e talvolta anche politici) che decidono se l’operazione si fa e con che tempi. La cultura politica italiana preferisce il controllo diretto sulle risorse pubbliche, anche quando devono andare ad imprese. In altri paesi si è scelta una strada diversa: dare autonomia alle istituzioni finanziare di sviluppo esigendo accountability per i risultati finanziari e sociali.
Il risultato è che l’Italia ha effettivamente realizzato poche operazioni e alcuni strumenti sono rimasti quasi inutilizzati: se tutti gli strumenti possono essere impiegati per qualsiasi tipo di intervento e ogni decisione richiede l’approvazione ministeriale, il processo decisionale diventa lento e inefficace.. Per superare questa impasse, il governo, con un decreto-legge approvato nell’agosto 2024, ha centralizzato l’approvazione di tutte queste operazioni, istituendo un nuovo comitato tecnico presso l’unità di missione del Piano Mattei, sotto la Presidenza del Consiglio.
Considerate le difficoltà finora affrontate è facile capire il motivo di questa scelta. Il governo ha ereditato un accavallamento di leggi e decreti, ma pochi risultati concreti. Una riforma complessiva della governance richiederebbe leggi nuove e tempi allungati. Tuttavia, la governance attuale lascia questioni aperte da risolvere con nuovi decreti nei prossimi mesi. A tendere, l’Italia dovrebbe seguire il modello che internazionalmente funziona:
Le risorse verso enti pubblici e no-profit dovrebbero essere gestite direttamente dal ministero di competenza (MAECI, MASE, MEF da valutare se con il coordinamento della Presidenza del consiglio o del MAECI), con CDP nel ruolo di advisor non decisionale e amministratore nel caso di strumenti non a dono, come peraltro già oggi avviene.
Le risorse verso aziende private con obiettivi di sviluppo locale dovrebbero essere gestite da un’istituzione finanziaria per lo sviluppo legalmente distinta con capitalizzazione e capacità decisionale autonoma dai ministeri, come negli altri paesi europei. L’istituzione potrebbe essere strutturata come sussidiaria di CDP, capitalizzata dallo Stato e con un proprio balance sheet come CDP Venture Capital.
Il supporto all’internazionalizzazione delle imprese italiane dovrebbe essere separato dalla cooperazione allo sviluppo e gestito da CDP/Simest, secondo i criteri già in vigore, senza necessità di approvazione ministeriale delle singole operazioni.
La messa a terra del Piano Mattei: provare una cultura di governance più snella
Nell’immediato, le decisioni su questi strumenti saranno accentrate all’unità di missione del Piano Mattei. Questa può essere l’occasione di un cambio di cultura, se non già di governance.
Innanzitutto, le decisioni sui progetti verso aziende private devono essere soggette a una istruttoria commerciale e di impatto realmente indipendente e le relazioni commerciali gestite in autonomia da CDP. Le nuove norme appena approvate parrebbero fare qualche passo avanti in questa direzione. In particolare occorrono cautela e rigore commerciale in operazioni che si presentano di importanza istituzionale (es. in corridoio di Lobito o i gasdotti per l’idrogeno) ma che sono ancora commercialmente o tecnicamente deboli. Spesso queste iniziative tendono a non arrivare in porto se non si affrontano le criticità di fondo e hanno bisogno di supporto tecnico più che di capitale di investimento.
Infine, i progetti pubblici sono per loro natura politica e per questi il governo ha bisogno di partner credibili sul terreno. La tentazione dei governi partner sarà sempre ritirare fuori dai cassetti progetti rimasti bloccati da tempo. Spetta ai ministeri chiedersi per quale ragione questi progetti siano fermi e farne una valutazione realistica.
Umberto Marengo, è visiting fellow al Robert Schuman Centre for Advanced Studies dell’Istituto Universitario Europeo. Le opinioni sono espresse a titolo personale.