Cosa prevede l’accordo sul Nuovo patto sulle migrazioni e l’asilo

Il Consiglio Giustizia e Affari Interni dell’Unione europea ha approvato un pacchetto di misure che modifica il funzionamento del sistema comune di asilo per la prima volta dopo molti anni di tensioni e negoziati fra gli Stati membri. La decisione è stata salutata da più parti come un passo storico per l’Unione europea e un momento fondamentale nel percorso verso la riforma delle politiche migratorie lanciato dal Nuovo Patto sulle Migrazioni e l’Asilo. In effetti, si tratta di un accordo su materie politicamente molto controverse che a lungo è sembrato impossibile da raggiungere. Dal 2015 che l’Ue tenta senza successo di modificare le regole sulla dimensione interna delle proprie politiche in materia di migrazioni.

Allo stesso tempo, l’accordo raggiunto in Consiglio lascia ancora molte questioni aperte: l’intesa non è stata unanime, dato che è stata raggiunta a maggioranza qualificata e dopo una giornata convulsa. Ungheria e Polonia hanno votato contro la proposta di compromesso della presidenza di turno svedese, non una sorpresa. Altri quattro paesi (Bulgaria, Malta, Lituania and Slovacchiasi sono astenuti. Questo lascia aperta la discussione sull’effettiva implementazione delle regole stabilite dall’accordo, un problema già riscontrato con l’attuale sistema europeo dell’asilo.

L’intesa è stata conclusa solo nel momento in cui un paese chiave come l’Italia ha dato il proprio consenso, dopo aver estratto delle concessioni durante l’ultimo giorno di negoziati. Senza l’Italia – e il suo ruolo chiave dato che riceve una quota consistente degli arrivi irregolari – l’intesa sarebbe risultata inapplicabile. Infine, non bisogna dimenticare che l’accordo si inserisce nella cornice più ampia del Nuovo Patto, che copre anche altre dimensioni delle politiche migratorie, e che inizierà adesso il percorso di negoziato con il Parlamento europeo.

I nuovi obblighi per l’Italia

Si è votato su due pacchetti di misure molto tecniche, ma politicamente sensibili, che riguardano il binomio fra responsabilità e solidarietà. I negoziati si sono concentrati sulle responsabilità dei paesi di primo ingresso come l’Italia per la gestione delle procedure di asilo e il contrasto ai movimenti secondari, e su meccanismi di solidarietà per alleviare la pressione su questi paesi.

Dal primo punto di vista, una delle novità più importanti è l’estensione obbligatoria dell’utilizzo delle cosiddette ‘procedure di confine’ a quelle categorie di migranti la cui richiesta di protezione internazionale sia ritenuta da subito ragionevolmente infondata. Queste procedure – ora usate solo saltuariamente – richiedono ai paesi di primo ingresso di gestire rapidamente le pratiche della richiesta di asilo e dell’eventuale rimpatrio entro un termine di sei mesi, durante il quale i richiedenti possono anche essere detenuti in appositi centri ai confini dell’Ue. Le procedure di confine si applicheranno automaticamente ai migranti con nazionalità con un tasso di riconoscimento dell’asilo inferiore al 20% e che siano entrati irregolarmente in Europa oppure a seguito di un’operazione di ricerca e salvataggio in mare. È evidente che queste previsioni aumenteranno le responsabilità obbligatorie in carico all’Italia e agli altri paesi mediterranei.

Sono state poi introdotte delle modifiche anche per quanto riguarda il funzionamento del sistema di Dublino, che regola la responsabilità degli Stati membri per la gestione delle richieste d’asilo. La riforma richiesta da anni dall’Italia – che avrebbe dovuto sgravare Roma delle responsabilità in quanto paese di primo ingresso – non è mai stata alla portata. Al contrario, le modifiche inoltrate dal Consiglio vanno nella direzione opposta, cercando di rassicurare paesi come la Francia che da sempre lamentano gli scarsi controlli sui movimenti secondari: è stata ad esempio estesa da 12 a 24 mesi la responsabilità dei paesi di primo ingresso sulle richieste d’asilo. L’Italia – secondo fonti giornalistiche – pare aver ottenuto che questa estensione non si applichi ai richiedenti salvati in mare: il termine in questo caso dovrebbe rimanere a 12 mesi, entro i quali l’Italia dovrà comunque accettarne il trasferimento da altri paesi.

Solidarietà obbligatoria

In cambio di queste concessioni, l’Italia e altri Stati mediterranei hanno ricevuto alcune aperture sul fronte della solidarietà, che però appaiono meno strutturali e più flessibili rispetto alle misure in materia di responsabilità. Lo stesso ministro Piantedosi ha recentemente riconosciuto come l’atavica richiesta italiana di ricollocamenti obbligatori fosse irraggiungibile. Si parla invece di forme di solidarietà obbligatoria che potranno assumere varie forme: ricollocamenti (l’obiettivo è 30 mila all’anno a livello europeo); contributi finanziari a un fondo europeo che dovrebbe finanziare azioni nella dimensione esterna non ancora specificate (20 mila euro per ogni ricollocamento rifiutato); oppure sostegno in termini di personale e capacity-bulding agli Stati più esposti

Per accettare un compromesso che sulla carta pare ancora squilibrato, l’Italia scommette sulla possibilità di rimpatriare facilmente i migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale. Per questo motivo, il governo non ha dato il via libera alla proposta fino a quando non sono state allentate le regole per l’identificazione dei “paesi terzi sicuri” verso cui possono essere eseguiti i rimpatri, superando l’opposizione della Germania. Si tratterà non più solo dei paesi di origine, ma anche di quelli di transito. Per completare il rimpatrio, sarà necessario verificare che esista una connessione fra il migrante e quel paese (ad esempio un periodo di residenza o un legame famigliare), ma questo criterio sarà stabilito autonomamente da ogni Stato membro. Questa concessione è cruciale per l’Italia, che così acquisisce maggiore flessibilità nell’identificazione dei paesi sicuri. Un caso che presto sarà affrontato è certamente quello della Tunisia, probabilmente già durante la visita di Meloni, Rutte e Von der Leyen in programma l’11 giugno.

Asilo e dimensione esterna

Il sistema che scaturisce dall’accordo comporta una serie di meccanismi tecnicamente complicati che dovranno superare la prova della loro attuazione pratica. A questo proposito, al momento, paiono mancare significativi strumenti di controllo per l’adozione dei nuovi oneri sia a carico dei paesi di primo ingresso che degli altri Stati membri. Inoltre, bisognerà valutare con attenzione l’impatto delle nuove norme sul diritto fondamentale dell’accesso all’asilo: l’aumento dei tempi di detenzione al confine, lo snellimento delle procedure di asilo e la possibilità di sostituire i ricollocamenti con misure di sostegno ai paesi alla frontiera esterna Ue possono portare a un’ulteriore restrizione degli spazi di protezione.

L’accordo sottolinea infine in maniera molto chiara la direzione in cui si stanno muovendo le politiche migratorie europee. Viene infatti rilanciato il ricorso alla dimensione esterna e alla cooperazione con i paesi terzi extra-europei. L’intera impalcatura si fonda sull’assunto che paesi come l’Italia saranno in grado di rimpatriare più facilmente i migranti irregolari. Ma se l’accordo disciplina i criteri interni del sistema dei rimpatri, la loro effettiva esecuzione si basa sul consenso dei paesi terzi, che non è affatto scontato. Se i rimpatri non dovessero aumentare, cosa accadrà al resto delle misure? Il rischio che paesi come l’Italia si trovino stretti fra la mancata cooperazione dei paesi terzi e gli obblighi delle procedure di confine è concreto.

Foto di copertina ANSA/US MEDICI SENZA FRONTIERE

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