È un viaggio affascinante nei grandi cambiamenti dell’Italia e della politica internazionale quello che Cesare Merlini ci ha portato a compiere insieme a lui e attraverso i suoi ricordi, con questo libro denso e originale. L’occasione è unica per chi, come il sottoscritto, della politica estera è appassionato. Ma l’occasione è davvero preziosa per chiunque voglia comprendere meglio l’Italia nella sua dimensione esterna e per chi sia curioso di capire come si sia arrivati fin qui, perché la politica internazionale sia oggi di più in più imprevedibile. L’ultimo capitolo che abbiamo appena letto ci lascia infatti con il profondo dilemma circa gli scenari possibili di ulteriori cadute o possibili nuovi inizi, a cui può portarci l’imprevedibilità e passa la parola a “chi viene dopo”. Pur appartenendo alla generazione seguente a quella di Merlini, non mi sento certo di assumere la responsabilità delle risposte. Però, avendo di recente beneficiato della straordinaria esperienza del Rapporto sul futuro del mercato unico dell’’Unione Europea – esperienza che ho arricchito mediante un viaggio sul territorio, dalle città alle campagne, dalle coste ai confini orientali – voglio sottolineare come le diversità che caratterizzano la nostra Europa possano essere una ricchezza a fronte della fase di difficoltà esistenziale che sta vivendo il suo processo di integrazione, inevitabilmente incastrato nel suddetto imperscrutabile quadro globale. Tanto più in un contesto di grande incertezza è importante avere dei solidi riferimenti. È ciò che Cesare Merlini – una personalità speciale nel panorama italiano – ci aiuta a fare. Con coerenza e determinazione lui ha attraversato tempi caratterizzati da profondi cambiamenti senza mai smettere di farsi accompagnare da una bussola basata su punti cardinali forti e ben visibili, chiari e non negoziabili, non scambiabili. Una bussola Questa bussola si è definita, come ci è qui raccontato tramite analisi, pensieri e tanti gustosi episodi, nel dopoguerra, quando nascono, contemporaneamente, la Repubblica italiana, l’integrazione europea, l’Alleanza Atlantica e il sistema multilaterale. Ecco i quattro punti cardinali di una bussola che ritroviamo in tutti gli snodi di una vita lunga quasi un secolo. È una bella storia quella di questa bussola e di coloro che l’hanno seguita; è la storia dell’Italia migliore, quella che si è assunta la responsabilità di spingerci sulla buona direzione ogni volta che c’è stato un crocevia difficile da affrontare, ogni volta che si sono dovute prendere decisioni non scontate, ogni volta che il Paese ha sbandato e ha rischiato di prendere strade pericolose. Lo affermo con convinzione, anche alla luce della mia esperienza personale alla politica nazionale. Ho sempre avuto un senso di profonda riconoscenza per la generazione di Cesare Merlini, che è poi la generazione di Nino Andreatta, la personalità che più ha marcato la mia formazione e che infatti con Merlini ha sempre incrociato legami di amicizia e condivisione intellettuale. Riconoscenza e ammirazione per una generazione che con un’Italia tutta da ricostruire non ha esitato a rimboccarsi le maniche, scegliere la giusta bussola, appunto, e definire di conseguenza la direzione da cui non sbandare, ispirata da chi nella generazione precedente aveva resistito alla dittatura, al nazionalismo e alla distruzione. Come Altiero Spinelli, che Merlini ci spiega qui essere stato il suo referente politico e culturale, in termini che assomigliano molto a quelli in cui – passando alla dimensione europea – lo è stato poi Jacques Delors per me. Non una cosa scontata. Quante generazioni, prima della mia, ho visto cambiare strada a seconda delle circostanze, rinnegare le scelte fatte e poi magari tornarci di nuovo sopra in seguito. Sempre spiegando agli altri quale fosse la visione giusta delle cose. E quante volte lo stesso vedo in quelli della mia stessa generazione, con addirittura maggiore disinvoltura ideologica rispetto a quelli di prima, usando la facile invocazione della fine delle ideologie per coprire qualunque giravolta. La solidità di quella bussola, l’essenzialità di quei quattro principi cardinali, il senso di sacralità nel rispettarli e incarnarli in ogni situazione e in ogni momento storico, sono per me la chiave migliore, quella che consente di leggere e di apprezzare lo scritto di Merlini come un grande viaggio nella storia che abbiamo vissuto o di cui abbiamo sentito raccontare e che è la base dell’Italia e dell’Europa di oggi. Il libro va letto con la profondità di quella chiave di lettura. Anche nei passaggi più leggeri e personali si riconoscono infatti facilmente l’impronta e l’ispirazione di quella bussola, ed è bello farsi accompagnare dall’immaginazione nel ricreare nella nostra testa di lettori curiosi, quel luogo, quelle persone, quella situazione che l’autore ci racconta. È un lavoro prezioso quello che Cesare Merlini compie e dobbiamo essergli grato per l’idea e l’impegno che ha messo nel portarla avanti in modo originale e tutt’altro che scontato. A partire dal richiamo continuo tra frasi e pensatori famosi da una parte e episodi storici e scene di vita vissuta dall’altra siamo accompagnati lungo un viaggio davvero affascinante, come dicevamo in apertura. Ne apprezziamo le singole parti ma soprattutto ne apprezziamo l’intero e la complessità che ne emerge. È una complessità che nel libro non è mai rinnegata e che anzi è sempre assunta come necessaria conseguenza dei tempi che viviamo e della crescente quantità di scambi che la sempre maggiore mobilità di persone, beni, servizi e capitali comporta nelle nostre vite. La coerenza di vita e di impegno sono alla base del racconto e senza di esse il racconto stesso non esisterebbe.
