Venti di guerra da Pyongyang

L’11 gennaio 2024 Robert Carlin e Siegfried Hecker, due esperti sulla Repubblica Popolare Democratica di Corea (“Corea nel Nord”) presso il Middlebury Institute of International Studies, hanno pubblicato un articolo per il sito dello Stimson Center 38 North dal titolo Is Kim Jong Un Preparing for War? Nell’articolo, che ha avuto una notevole risonanza sui media internazionali e italiani, i due autori scrivono che “La situazione nella penisola coreana è la più pericolosa dal giugno del 1950 [data di inizio della Guerra di Corea]. Ciò può sembrare eccessivamente allarmistico, ma crediamo che, come suo nonno nel 1950, Kim Jong-un abbia preso la decisione strategica di andare in guerra”.

Carlin e Hecker identificano due tappe dietro questa decisione. La prima sarebbe stata il fallimento del summit di Hanoi tra Kim e l’allora Presidente americano Trump nel 2019, per il quale Kim mise in gioco il proprio prestigio di suryong (“leader”) del paese. La seconda sarebbe stata il convincimento, maturato tra l’estate e l’autunno del 2021, del rapido sgretolarsi della posizione egemonica americana a livello globale dopo il ritiro dall’Afghanistan. L’invasione russa dell’Ucraina avrebbe rafforzato questa convinzione, essendo stata interpretata come prova della possibilità di dominare un’escalation con gli Stati Uniti ed evitare un intervento militare diretto delle forze armate americane tramite la minaccia delle armi nucleari. È importante considerare che questa lettura si posiziona in contrasto con il consenso accademico degli ultimi decenni, che vede nel build-up nucleare di Pyongyang uno strumento volto a garantire la sopravvivenza del regime, a ottenere la cancellazione delle sanzioni internazionali e a vedersi riconosciuto lo status di potenza regionale, piuttosto che un mezzo da usare per imporre la riunificazione (secondo il quadro “un paese, due sistemi” già presente in Cina) a Seoul.

La Repubblica di Corea è “lo stato ostile numero uno”

Il segnale decisivo della decisione di Kim di entrare in guerra, secondo Carlin e Hecker, sarebbe il cambiamento avvenuto nella comunicazione politica del regime durante il 2023. I due esperti sottolineano come già lo scorso agosto Kim abbia menzionato “le preparazioni per la guerra rivoluzionaria”, ma, soprattutto, si concentrano in particolare su una serie di articoli, pubblicati a partire da marzo 2023, dalla fonte più autorevole tra i media locali, il Rodong Sinmun (“Quotidiano dei Lavoratori”), quotidiano del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori della Corea (PLC). Questi articoli hanno introdotto una nuova concettualizzazione della Repubblica di Corea (la “Corea del Sud”), non più come parte integrante della nazione coreana, ma come entità aliena – e quindi come obiettivo legittimo della potenza militare di Pyongyang. Questi articoli hanno a loro volta preparato il terreno per il discorso tenuto da Kim Jong-un durante lo scorso plenum del PLC, lo scorso dicembre. Kim ha dichiarato che la Repubblica di Corea e le sue autorità non devono essere più considerati partner per la riunificazione della nazione coreana, aggiungendo che i rapporti tra Pyongyang e Seoul sono adesso da considerare relazioni “tra due stati belligeranti, non più tra [stati] consanguinei o omogenei”.

Gli sviluppi delle tre settimane successive all’articolo sono degni di nota. Il monumentale Arco della Riunificazione situato all’ingresso di Pyongyang è stato demolito. Soprattutto, Kim ha rilasciato un nuovo discorso durante la decima sessione plenaria della quattordicesima Suprema Assemblea del Popolo il 16 gennaio, durante il quale ha ordinato un emendamento della costituzione, per indicare la Repubblica di Corea come “lo stato ostile numero uno” e lo smantellamento di tutte le istituzioni volte alla riunificazione. Il nuovo discorso ha anche posto le linee rosse del regime in questa nuova era, che si possono estrapolare da due passaggi in particolare. La prima: “Noi non vogliamo la guerra, ma non faremo nulla per evitarla”. La seconda: “occuperemo, soggiogheremo, e reclameremo la Repubblica di Corea, annettendola come territorio della nostra Repubblica, nel caso in cui una guerra scoppiasse nella penisola coreana.”

La natura più aggressiva delle mosse di Pyongyang

Funzionari del governo americano intervistati dal New York Times hanno però affermato di non aver colto segnali di preparazione di un prossimo conflitto a larga scala da parte nordcoreana, inquadrando i recenti sviluppi all’interno del pattern di provocazioni del paese, sebbene riconoscano la natura più aggressiva delle mosse di Pyongyang rispetto al passato. Per un altro esperto di affari nordcoreani, Fyodor Tertitskiy, le recenti dichiarazioni di Kim e della propaganda domestica, ammontano a mosse di natura tattica in riposta all’amministrazione conservatrice di Yoon Suk-yeol, la quale, nei mesi scorsi, ha risposto in maniera estremamente aggressiva ai lanci di satelliti spia nordcoreani.

Quali conclusioni trarre? Carlin e Hecker sostengono che la nuova posizione di Pyongyang sullo status della Corea del Sud e sulla riunificazione siano da interpretare come operazioni volte a creare una coerente motivazione per una nuova guerra volta al pubblico domestico, in contrasto con un coro di voci che vede una continuità con il playbook del recente passato, pur tenendo in considerazione la possibilità di un’azione circoscritta ma particolarmente violenta da parte del regime di Kim. Questa divergenza di interpretazioni tra esperti dimostra l’irrisolvibile difficoltà nel leggere le intenzioni di “scatole nere” quali i regimi autocratici contemporanei, in particolare nel caso di un regime parossisticamente secretivo quale quello nordcoreano. In questi contesti, e in particolare nell’impossibilità di ricerca sul campo, relazioni interpersonali, accesso a dati e fonti, la propaganda e il military signalling diventano gli unici, seppur limitati strumenti, per leggere i movimenti delle “scatole nere”, lasciando molto a desiderare.

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