È stato un dramma in due atti, ciascuno con un epilogo diverso, pieno di tensioni, incertezze e paure. Alla fine, dopo un dibattito estenuante protrattosi sul palco e dietro le quinte con tanti colpi di scena, il sipario è calato su una conclusione chiara e densa di significato. Delusi gli uni, felici gli altri. E se il Bundestag potesse parlare, anche lui esprimerebbe soddisfazione per aver superato una difficile prova di vitalità della democrazia.
Quello che si è svolto nel Parlamento di Berlino, sotto la cupola trasparente di Norman Foster, tra mercoledì e venerdì, è uno scontro senza precedenti per intensità e partecipazione. In discussione c’era il tema dell’immigrazione, prima sotto forma di orientamenti non vincolanti illustrati in una mozione, poi sulla base di un articolato disegno di legge sottoposto all’esame dei deputati tedeschi: linee guida e norme più restrittive della normativa vigente su controlli alle frontiere nazionali, poteri delle forze dell’ordine e respingimenti degli immigrati illegali. In entrambi i casi, l’iniziativa parlamentare era stata della Cdu/Csu, il cui presidente Friedrich Merz, impegnato nella campagna elettorale per il voto del 23 febbraio, è nettamente in testa in tutti i sondaggi e accreditato come assai probabile prossimo Cancelliere federale. Materia controversa e gravida di implicazioni di vario genere, specie per la Germania con la sua consistente presenza di cittadini stranieri o di origine straniera.
In Parlamento, dopo vari rinvii, si arriva così al nodo politico più rischioso e difficile da sciogliere. Le proposte di Merz sono osteggiate da Spd, Verdi e Linke e invece appoggiate dalla AfD, oltre che dai liberali e dai rosso-bruni di Sahra Wagenknecht (nati da una costola dell’estrema sinistra, ma a loro agio accanto alla destra radicale in tema di controllo dei migranti). Per la Cdu/Csu, il cordone sanitario – che sinora ha protetto i partiti democratici da un’estrema destra con venature neo-naziste e ha evitato rigorosamente ogni ipotesi di convergenza parlamentare con l’AfD –, non può paralizzare il varo di una legge più severa, ritenuta essenziale e apparentemente reclamata dalla maggioranza dell’opinione pubblica tedesca. “Non guardo né a destra né a sinistra, ma solo dritto davanti a me”, proclama con tono di sfida Friedrich Merz, aggiungendo che una legge non può essere sbagliata solo perché condivisa da “persone sbagliate”, ma le cose non sono così semplici.
Il dibattito sull’immigrazione e le ombre dell’AfD
È vero che in questi mesi l’intera Germania ha assistito sgomenta a una serie di attentati letali da parte di immigrati irregolari, a Mannheim, Solingen, Magdeburg e, da ultimo, a Aschaffenburg, dove ha perso la vita anche un bambino di due anni, ucciso a coltellate. L’esigenza di un controllo dell’immigrazione irregolare è diffusa e riconosciuta da tutte le forze politiche, a prescindere dalla campagna elettorale in corso. Il problema è con quali strumenti assicurarlo, in conformità con il diritto nazionale e europeo. Certamente la campagna elettorale e la congiuntura negativa dell’economia alimentano altre tensioni. La questione dei migranti, connessa agli aspetti di integrazione, occupazione e sicurezza è prioritaria per molti, la politica ne deve tener conto. Lo spettacolo offerto dal Bundestag in queste due giornate di fuoco dimostra però che il dibattito sulla regolamentazione dell’ingresso dei migranti ha ceduto il passo allo scontro sull’agibilità politica dell’estrema destra. Su questo, all’atto dell’esame della mozione di mercoledì, si è formata una maggioranza a favore, che comprendeva per la prima volta i voti determinanti dell’AfD. Non è cosa da poco, al di là degli imbarazzati distinguo di Merz nei confronti dei nuovi compagni di strada.
La maggioranza è mancata sul testo di legge. La proposta, nonostante il supporto di Cdu/Csu, liberali e AfD, è stata respinta (350 voti contro 338). Pessimo risultato per Merz; ne escono confortati Spd, Verdi e Linke, fortemente contrari ad accomodamenti con la destra radicale, così come a una stretta di dubbia costituzionalità sull’immigrazione irregolare. Ogni tentativo di comporre un’intesa tra i partiti al di qua del cordone sanitario è stato vano, tra recriminazioni incrociate. Nella concitazione dell’aula e della piazza, il voto di venerdì dice che a Berlino non c’è preoccupazione che giustifichi una normalizzazione dei rapporti con l’AfD. Le ombre del passato restano pesanti. Di migranti si dovrà parlare ancora, ma senza concessioni ai nemici della democrazia.
Presidente dell'Istituto Affari Internazionali e presidente del Centro italo-tedesco per il dialogo europeo Villa Vigoni su proposta congiunta dei governi italiano e tedesco. Diplomatico di carriera, ha lavorato alla Direzione degli Affari Economici (1975), all’Ambasciata d’Italia a Brasilia (1978) e all’Ambasciata d’Italia a Bonn (1981). Dal 1984 al 1987 è stato consigliere a Beirut. Nel 1991 è nominato Primo consigliere a Bruxelles, presso la Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea. Nel 1997 diventa ambasciatore a Sarajevo. Nel 1999 assume la direzione dei Rapporti con il Parlamento e poi del Servizio Stampa alla Farnesina. È Ambasciatore a Brasilia dal 2004, a Berlino dal 2009 e Segretario Generale della Farnesina dal 2012 al 2016.