Un successo inaspettato

Donald Trump sarà il 47° presidente degli Stati Uniti: il 20 gennaio 2025, tornerà alla Casa Bianca per un secondo mandato. Prima di lui, solo il democratico Grover Cleveland era riuscito a essere rieletto dopo essere stato battuto tra un mandato e l’altro dal repubblicano Benjamin Harrison: uomini e storie del XIX Secolo.

Primo presidente “criminale condannato” (è un “convinted felon”) nella storia dell’Unione, Trump ha già messo al lavoro il ‘transition team’, che deve preparare l’avvicendamento della sua squadra con quella di Joe Biden. Il passaggio delle consegne avverrà fra dieci settimane, ma va predisposto per evitare vuoti di potere alla guida dell’Unione.

Biden, che ha fatto le sue congratulazioni al suo successore – cosa che Trump non fece mai con lui nel 2020 – , e Kamala Harris, che ha ammesso la sua sconfitta – altra cosa che Trump non fece nel 2020 – , intendono collaborare e non si metteranno di traverso per rendergli la vita difficile.

Nella prassi Usa, l’avvicendamento tra un’Amministrazione e l’altra comporta un cambio completo del personale politico e di buona parte di quello amministrativo. Trump e il suo team, guidato dal figlio Donald jr, hanno già detto che intendono circondarsi solo di persone la cui fedeltà al capo sia completa e provata.

Il successo di Trump è stato netto, più di quanto ci s’attendeva: il magnate ha largamente superato la soglia dei 270 Grandi Elettori necessari per conquistare la Casa Bianca – a conteggio ultimato, s’attesta a 312, mentre Harris è ferma a 226 – , ha vinto in tutti e sette gli Stati in bilico e s’è imposto nel voto popolare, che aveva sempre perso, sia nel 2016, quando era stato eletto su Hillary Clinton, sia nel 2020, quando era stato battuto da Joe Biden. Trump conquista il voto popolare con il 51% circa dei suffragi, oltre 73 milioni – contro meno del 48% di Harris, sotto i 69 milioni. Non accadeva, per i repubblicani, dal 2004, con George W. Bush.

Nel frattempo, l’Associated Press anticipa quelle che saranno le priorità della nuova Amministrazione: stretta sull’immigrazione e taglio delle tasse, deregulation e contrasto alla ‘woke culture’, protezionismo e un cambio di passo degli Usa sulla scena internazionale.

In un commento, la Cnn osserva che “il popolo americano ha votato per un potere senza controlli”, perché il partito del presidente controllerà l’esecutivo e il legislativo – la maggioranza repubblicana alla Camera non è ancora acquisita, ma è molto probabile –  e ha dalla sua la massima espressione del potere giudiziario, la Corte Suprema. Una prima conseguenza di questa situazione la anticipa il Washington Post: il procuratore speciale Jack Smith, che ha istruito i casi federali contro Donald Trump, per la sommossa del 6 gennaio 2001 e la sottrazione dalla Casa Bianca di documenti riservati, sta pensando di chiudere le inchieste e sta per sottoporre una proposta in merito al segretario alla Giustizia Merrick Garland. Una volta presidente, Trump potrà, infatti, ordinare l’annullamento delle inchieste, che in ogni caso resterebbero congelate per tutto il tempo della sua presidenza – un presidente in esercizio non può essere perseguito, se non con un impeachment da parte del Congresso. Per quanto riguarda i processi non federali, essi resteranno come minimo bloccati per quattro anni: la sentenza del processo di New York, in cui Trump è stato riconosciuto colpevole, a fine maggio, di tutti e 36 i capi di accusa, non sarà pronunciata; e il processo di Atlanta, la cui pm Fani Willis ha rivinto martedì le elezioni, non inizierà.

Una notte elettorale più breve del previsto

Nella notte tra martedì e mercoledì, tutto è accaduto in tempi molto rapidi. Alle sette del mattino italiane, l’una di notte sulla East Coast, la rivale di Trump, la vicepresidente Harris, era già fuori gioco. I seggi non si sono ancora chiusi in Alaska e alle Hawaii, ma l’inerzia della serata è ormai irreversibile: Trump vince gli Stati rossi più nettamente di quanto non aveva fatto in passato; e, negli Stati blu, perde in modo meno netto che in passato e arriva persino a contendere il successo in Virginia e in Minnesota. Eppure, alla vigilia, sondaggisti e guru davano Harris e Trump sul filo di lana e pronosticavano verdetti al rallentatore. E l’ex presidente ripeteva di avere perso nel 2020 per “brogli” mai provati, gettando le basi per ulteriori contestazioni quest’anno (che, ora, non ci saranno).

Gli Stati in bilico –  sette in tutto, North Carolina e Georgia al Sud, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin intorno ai Grandi Laghi, Arizona e Nevada all’Ovest –  virano abbastanza rapidamente al rosso, anche se la certezza arriva solo a tarda notte, la mattina italiana: The Donald fa il discorso della vittoria senza aspettare che Harris riconosca la sconfitta.

Dell’onda trumpiana traggono profitto i repubblicani, che conquistano la maggioranza al Senato, strappando ai democratici almeno tre seggi, in West Virginia, Montana e ‘Ohio, e salendo a 52 su 100; e che sembrano mantenere, se non allargare, la maggioranza alla Camera – a conteggi in corso  hanno 210 seggi contro i 198 dei democratici, con 27 ancora ballerini. Forse per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, viene a mancare il bilanciamento dei poteri voluto dai Padri fondatori: il potere esecutivo e quello legislativo sono nelle mani di un solo partito, anzi di un solo uomo; e il potere giudiziario, rappresentato dalla Corte Suprema, gli è già acquisito e lo ha anzi aiutato in questa sua terza corsa alla Casa Bianca.

Un boato, applausi e i cori: “Usa,Usa, Usa”. Al centro congressi di Palm Beach dove la campagna di Trump ha organizzato il suo presidio, la festa parte con la vittoria nella North Carolina. Quando anche la Georgia si tinge di rosso, la strada è spianata per il ritorno del magnate alla Casa Bianca. Elon Musk, il generoso sostenitore dell’ex presidente, esulta su X: “Game, set and match”, gioco, partita e incontro.

E quando i grafici di tutti i media mostrano frantumarsi il ‘muro blu’ di Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, la candidata democratica perde ogni via di recupero e successo. Il gelo cala fra i suoi sostenitori riuniti alla Howard University, a Washington DC, lo storico ateneo tradizionalmente

afro-americano e Alma Mater della vicepresidente, dove la sua campagna sperava di festeggiare l’elezione della prima donna presidente degli Stati Uniti. Invece, come per Hillary nel 2016, la festa salta e il soffitto di cristallo ancora non si infrange.

Sono le due del mattino passate, le otto del mattino in Italia, quando Trump, con tutta la famiglia, sale sul palco del Convention Center di Palm Beach: ci sono Melania e tutti i figli, inclusa Ivanka con il marito Jared Kushner. “Questa è una magnifica vittoria che ci consentirà di rendere l’America di nuovo grande… Questo è un movimento mai visto prima, il più grande della storia… Aggiusteremo tutto… Io le guerre le faccio finire, non le inizio…”. E via con i ringraziamenti, alla moglie, al suo vice JD Vance che lo incensa (“Il più grande ritorno politico nella storia americana”), a Musk, che posta un razzo che decolla e assicura “Il futuro sarà fantastico”.

Non solo il presidente e il suo vice

Se gli occhi del mondo erano puntati sulla sfida Harris-Trump, le elezioni di martedì hanno anche rinnovato tutta la Camera (435 seggi) e un terzo del Senato (34 seggi su 100), oltre a 11 governatori, decine di assemblee statali e migliaia di cariche elettive minori.

C’erano pure decine di referendum, una dozzina dei quali riguardano l’aborto, per inserire il diritto all’aborto nelle Costituzioni statali e/o per estenderne la possibilità: sette di questi sono passati, mentre quello che aveva avuto maggiore eco, in Florida, è fallito. Resta dunque in vigore il divieto d’interrompere la gravidanza dopo le sei settimane:  l’emendamento 4, che estendeva il limite a 24 settimane, non raggiunge il quorum richiesto del 60%. Il New York Times nota che l’impatto dei referendum è comunque incerto: molto dipende da quello che sarà l’atteggiamento sull’aborto della nuova Amministrazione (Trump, in merito, ha sempre mantenuto una certa ambiguità).

I democratici devono contentarsi delle conferme di qualche ‘grande vecchio’: l’ultra-ottantenne Nancy Pelosi è rieletta alla Camera in California – come accade ininterrottamente dal 1987 – ; e l’altro ultra-ottantenne, Bernie Sanders, si conferma senatore del Vermont. Seggio confermato anche per la giovane deputata Alexandria Ocasio-Cortez, leader della sinistra, rieletta a New York.

Infine, una nota di costume. Solo 42 milioni di americani, meno di uno su otto, hanno seguito in tv la ‘notte elettorale’: molti meno di quelli che seguono il Super-Bowl, cioè la finale del campionato di football.

Usa 2024: di qui all’insediamento il 20 gennaio

Ecco i principali appuntamenti verso l’insediamento del nuovo presidente:

Il voto dei grandi elettori

Nel primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre – quest’anno, il 17 dicembre –, gli elettori del collegio elettorale votano per il presidente e il vice-presidente, secondo l’esito del voto nei loro singoli Stati, incontrandosi nelle rispettive capitali. I grandi elettori possono votare per chiunque, secondo la Costituzione, ma 32 Stati più il Distretto di Columbia hanno leggi contro i cosiddetti elettori infedeli, ossia quelli che non esprimono il loro voto per chi sono stati delegati a votare.

La Corte Suprema ha stabilito all’unanimità, nel 2020, che la Costituzione non impedisce agli Stati di penalizzare o sostituire gli elettori infedeli. I certificati dei voti sigillati sono inviati al presidente del Senato e all’ archivio statale e devono essere ricevuti prima del quarto mercoledì di dicembre. Poi, il 3 gennaio o prima, l’archivista trasferisce l’insieme dei certificati al Congresso.

La certificazione dei voti

Il 6 gennaio, il Congresso si riunisce in sessione congiunta per contare e certificare i voti elettorali. Il conteggio viene fatto a voce alta dal vicepresidente in carica, che agisce nella sua veste di presidente del Senato. I membri del Congresso possono opporsi a uno o a tutti i conteggi dei voti elettorali di uno Stato, a condizione che l’obiezione sia presentata per iscritto e firmata da almeno un membro di ciascuna Camera del Congresso.

Se viene presentata tale obiezione, entrambe le Camere del Congresso si aggiornano per discutere e votare sull’obiezione. Ci vuole l’approvazione di entrambe le Camere del Congresso per invalidare i voti elettorali contestati.

Inauguration Day

Il 20 gennaio, il presidente e il vicepresidente si insediano prestando giuramento sul Campidoglio, in una cerimonia solenne seguita da decine di migliaia di persone assiepate lungo il National Mall.

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