Lo scorso 12 giugno L’Istituto Affari Internazionali (IAI) ha ospitato Enrico Letta per la presentazione del suo rapporto sul rilancio del mercato interno europeo. All’incontro ha preso parte anche Raffaele Fitto, Ministro per gli Affari europei, in una conversazione con il Direttore Nathalie Tocci, aperta da un’introduzione del Presidente Ferdinando Nelli Feroci.
TOCCI: Questo rapporto torna alle origini per rilanciare il progetto europeo grazie a una serie di misure per rendere il mercato unico più integrato, solidale e veloce. Qual è la sua storia? Quali sono le vere priorità?
LETTA: Ho intrapreso questo esercizio in nome di Jacques Delors, fondatore del Mercato unico (MUE), che mi ha detto tre cose:
- Un nuovo mercato interno deve interiorizzare la nuova dimensione geopolitica: all’epoca della creazione del Mercato unico, Cina e India rappresentavano il 4% del Pil globale, oggi il 20%. All’epoca, i grandi paesi europei erano i giganti globali insieme a Stati Uniti e Giappone. Oggi, sono potenze medie dentro un mondo gigantesco.
- Energia, telecomunicazioni e mercati finanziari sono i tre settori che all’epoca non furono integrati perché si pensava che la dimensione nazionale fosse sufficiente. Oggi non è più così. Si stima che ogni anno 300 miliardi di euro di risparmi europei finiscano nel mercato dei servizi finanziari americani: le imprese americane si rafforzano con i nostri soldi per poi acquistare le nostre imprese con i nostri stessi risparmi. La questione dell’integrazione del MUE non è dunque ideologica: non propongo di eliminarele bandiere nazionali o di cambiare i trattati, ma di aumentare la competitività europea.
- Infine, Delors diceva che non esiste il MUE senza coesione, coerenza e politiche di cooperazione efficaci. La proposta per le piccole-medio imprese è un punto chiave del rapporto: l’idea si basa sulla creazione di un 28° Stato virtuale con un suo diritto commerciale per poter dotare ogni impresa europea e non di tale diritto. Questa proposta offre un passe-partout agli investitori, consentendo loro dioperare in qualsiasi diritto commerciale tramite uno solo. Questo è importantissimo per le piccole-medio imprese, che non possono gestire tutti i diversi diritti europei. Infine, nel rapporto propongo una quinta libertà: beni, mercato, persone e servizi sono idee del 20° secolo. Ne manca una: l’intangibile, l’innovazione.
TOCCI: Da questo rapporto si evince che competitività e integrazione sono due facce della stessa medaglia. Reputi corretta quest’interpretazione?
FITTO: Penso che questo rapporto abbia un valore importante: impone di programmare delle soluzioni, evitando di intervenire sull’onda dell’emergenza. Un esempio è stata la crisi energetica: ci siamo svegliati il 22 febbraio 2022 e ci siamo accorti di essere dipendenti dalla Russia. Siamo stati allora non solo costretti ad annullare questa dipendenza sull’onda lunga dell’emergenza, ma abbiamo anche mal utilizzato le risorse a nostra disposizione, sebbene fosse necessario. Penso, ad esempio, alla nostra prima legge finanziaria: 32 miliardi di euro di disponibilità, di cui 21 miliardi spesi per il sostegno alle imprese e alle famiglie per il pagamento delle bollette. Quante altre cose si sarebbero potute fare.
Un altro grande tema è l’autonomia strategica, strettamente legata alle questioni del mercato interno e decisiva per l’Europa. Essa è necessaria per correggere molte scelte passate che hanno causato numerose delocalizzazioni dei sistemi produttivi, senza porsi il problema dell’approvvigionamento. Oggi, il tema dell’autonomia strategica ripropone con forza l’esigenza di riportare in Europa la filiera produttiva. Direttamente collegato a questo, è il tema della coesione, spesso visto con superficialità, persino dal nostro Paese che ne è uno dei principali beneficiari: decine di miliardi di euro per ogni ciclo di programmazione sono fondamentali per immaginare soluzioni non solo in Italia, ma in tutti i paesi beneficiari. La finalizzazione di queste risorse rappresenta una grande opportunità. Come governo, siamo impegnati nella conversione del decreto legge di riforma della politica di coesione, per raccordare l’uso di queste risorse con quelle del PNRR e individuare interventi strategici e strutturali che possano aiutare a raggiungere i nostri obiettivi.
Infine, un altro tema del rapporto che considero fondamentale è quello del mercato del lavoro. È essenziale affrontare la questione di alcune uniformità di sistema a livello europeo per essere competitivi con gli altri giganti economici e utilizzare bene le risorse disponibili. Spesso ci preoccupiamo di come recuperare le risorse, ma non ci chiediamo come spendiamo quelle già disponibili.
Tutti questi aspetti entrano a far parte di una riflessione più ampia: in questo anno e mezzo, non solo in Parlamento Europeo ma anche come Ministro degli Affari Europei, ho partecipato a diversi consigli europei sul tema dell’allargamento. Al di là della giusta accelerazione geopolitica, l’allargamento pone temi fondamentali come la coesione e l’agricoltura, due delle voci più rilevanti del bilancio europeo, aumentando la complessità delle sfide e ponendo il tema delle risorse. Per fare tutto ciò, è necessario mettere in campo molte risorse. In questo caso, cito come esempio di buona pratica il nostro PNRR: la riuscita dei piani nazionali di ripresa e resilienza più importanti, come il nostro, è una partita rilevante, utilizzabile come base per le politiche emergenti dal rapporto, che necessitano di investimenti importanti. La dimensione europea è fondamentale, ma senza perdere di vista le peculiarità dei singoli Stati membri. I punti di convergenza per agevolare gli Stati membri verso quel 28° Stato virtuale che propone il rapporto devono essere realizzati con un’azione mirata, tenendo conto dei diversi sistemi produttivi di ciascun Stato membro.
Nel caso specifico dell’Italia, la sua azione nel Mediterraneo e il suo rapporto con l’Africa possono rappresentare una grande opportunità per l’Europa.La drammaticità degli eventi in Ucraina rendono questo tema ancora più rilevante, evidenziando la necessità di recuperare una presenza europea nel contesto africano e valorizzare la centralità del ruolo del Mediterraneo.Questo è un elemento fondamentale e una visione esterna dell’approccio europeo, decisivo anche rispetto alle proiezioni collegate al tema del mercato interno.Tra tutti gli elementi, uno dal mio punto di vista rappresenta la cornice dentro cui si sviluppa questa discussione: la demografia. Questo è un tema sul quale l’Europa deve fare i conti per la definizione delle strategie future nei singoli ambiti di intervento. Sono convinto che il governo italiano potrà dare un contributo molto importante nell’attuazione di questi obiettivi.
TOCCI: La crescente competizione geo-economica tra Stati Uniti e Cina – che si concentra su tecnologie verdi e digitali, elementi cruciali per l’Europa – può essere affrontata in due modi: con un bieco protezionismo o con misure per rilanciare la produzione interna dell’Europa. In che modo le tue proposte si collocano in questo contesto? Una seconda riflessione riguarda invece la guerra nel nostro continente, che ha rimesso al centro dell’agenda l’allargamento dell’Ue. Quest’ultimo può essere affrontato con uno spirito esclusivamente geopolitico e securitario o come stimolo per approfondire riforme interne. Come questi fattori e dinamiche rendono più o meno fattibili le tue proposte?
LETTA: In Italia, Spagna, Francia, Portogallo e Grecia c’è una forte spinta per un nuovo Next Generation EU (NextGenEU), mentre in altri paesi come Finlandia, Paesi Bassi e Germania il dibattito è focalizzato su come non fare altro debito comune.Abbiamo deciso di fare la transizione verde, giusta e digitale, che richiede ingenti risorse finanziarie. Draghi ha stimato che saranno necessari 500 miliardi di euro all’anno per il prossimo decennio. C’è una divergenza di opinioni su come reperire queste risorse: il sud Europa pensa a un nuovo Next Generation EU, mentre altri pensano a metodi privati. 500 miliardi di euro sono la distanza tra l’ambizione dell’Europa, le attese dei cittadini e il potenziale backlash di questa vicenda. Questo rappresenta il cuore del rapporto: come riuscire a far funzionare un compromesso tra l’utilizzo di risorse private e pubbliche – che è il vero problema di NextGenEU, tutto basato su risorse pubbliche e domestiche. Abbiamo bisogno di operazioni transfrontaliere e di fare leverage con risorse private. L’integrazione dei mercati finanziari europei è fondamentale per contrastare la frammentazione attuale, che penalizza il flusso di capitali e favorisce la loro migrazione verso mercati esterni, come quello statunitense. Fino ad oggi si è pensato all’integrazione come legata unicamente alla finanza. Il tema è come collegare l’integrazione finanziaria a obiettivi di interesse pubblico, come il finanziamento della transizione ecologica. Attraverso gli incentivi mirati si può essere più attrattivi e spostare risorse private verso la transizione. Propongo questo perché è l’unico modo di convincere scandinavi, tedeschi, olandesi ad aprire alle risorse pubbliche.
Un altro punto cruciale è la difesa europea. I paesi più riluttanti a contribuire all’European Fiscal capacity sono quelli più vicini alla frontiera con la Russia. Questi paesi stanno chiedendo una difesa comune europea, consapevoli che ciò richiede risorse condivise. Nel rapporto ho evidenziato due cifre principali: l’80% dei materiali inviati in Ucraina è acquistato con fondi dei taxpayer europei prodotti fuori dall’Europa, creando posti di lavoro altrove. Negli Stati Uniti, solo il 12% delle spese per la difesa va a creare posti di lavoro fuori dal paese. Questo evidenzia il perché la partita della difesa è così importante.
Un tema che affronto alla fine nel rapporto è la futura apertura di un transatlantic single market. Siamo troppo lontani con gli Usa, e Cina e Russia sono esempi di come la distanza transatlantica sia negativa. Il mercato unico europeo ha, inoltre, una dimensione sociale significativa. La mobilità interna europea è asimmetrica e senza biglietto di ritorno né circolarità: da est a ovest e da sud a nord, causando lo spopolamento di alcune regioni e Paesi. Questo squilibrio demografico rischia di creare aree desertificate e prive di servizi essenziali, minando la coesione sociale dell’Europa.
Chiudo con l’allargamento dell’Ue: anche nei paesi più a favore dell’Ucraina si hanno dubbi sull’adesione del Paese all’Ue. L’Ucraina nell’agricoltura gioca in un campionato a parte e nel rapporto parlo di un “enlargement solidarity facility“, volto a sostenere le regioni degli attuali Stati membri che potrebbero perdere risorse a causa dell’ingresso di nuovi paesi più poveri. Il meccanismo del futuro allargamento dovrà basarsi su un accompagnamento della transizione senza far perdere troppo ad altri stati, un processo che dà grande forza ma che va gestito con grande attenzione. La logica del 2004 va abbandonata: l’allargamento del futuro sarà gestito sul “chi è pronto entra”, anche se si trattasse di un nuovo paese ogni due o tre anni.
TOCCI: Il mercato unico del capitale e l’integrazione in materia di difesa sono due temi fondamentali. Sappiamo infatti che la difesa è l’area in assoluto in cui la sovranità tradizionalmente è mantenuta più gelosamente.
FITTO: Penso che l’approccio dei prossimi mesi non possa che essere quello di provare ad avere un’Europa che faccia un po’ meno cose, ma fatte bene e meglio. Il tema della difesa è un tema centrale: è evidente che su questo bisogna costruire una politica europea.
La guerra è un dato di fatto al quale assistiamo. Poi ci sono le conseguenzesul fronte della stabilità economica e sociale. L’investimento sulla difesa non è quindi un investimento per la guerra, come spesso sentiamo dire, perché siamo tutti per la pace. È chiaro che però, per realizzare la pace, per avere tranquillità e stabilità, devi investire sulla difesa, che ti consente di avere quella sicurezza fondamentale rispetto a tutti gli elementi necessari.Quindi è chiaro che la strategia della difesa è anche, e soprattutto, una strategia industriale, perché il tema è cosa noi investiamo in Europa, con quali modalità e soprattutto come realizziamo gli investimenti. Se noi decidiamo a livello europeo una strategia e poi non abbiamo assicurato la filiera produttiva all’interno del contesto europeo, cioè l’autonomia strategica, facciamo un autogol. Questo vale per la difesa, ma vale, per esempio, anche per tutto il tema del Green Deal e delle rinnovabili, perché noi facciamo una grande quantità di investimenti e poi andiamo ad acquistare quasi tutto all’estero. È dunque necessario individuare quelli che sono i pochi grandi obiettivi e capire come ricostruire la filiera produttiva interna in un equilibrio europeo tra gli Stati membri: è chiaro che ognuno porta un suo know-how, bisogna perciò essere bravi ad evitare che ci siano sovrapposizioni o contrasti, elementi senza rinunciare a innovazione e competitività. L’Italia può giocare su questi temi un ruolo fondamentale e importante perché ha delle competenze e delle risorse notevolissime in questo contesto.
È chiaro che ci sono paesi, i Baltici in particolare, che oggi vivono un momento di forte tensione. Si potrebbe allora iniziare con alcuni investimenti comuni dedicati alle emergenze. Questo non significa associazione con la guerra,ma è il sistema degli investimenti settoriali, un sistema di piccole e medie imprese che ruotano intorno a quel contesto. Significa andare a rivedere e a riformare molte professionalità perché le transizioni, quella verde e quella digitale, hanno bisogno anche di investimenti sul fronte delle competenze. Il grande tema delle competenze è un tema centrale.Per esempio, ci sono situazioni per le quali la domanda che viene dal mondo del lavoro non trova un’offerta adeguata. Quindi c’è bisogno di andare a investire in questo contesto. Tuttavia, il tema delle competenze riguarda non necessariamente, come spesso si banalizza, la pubblica amministrazione – che pure deve fare molti passi in avanti in questo – ma l’intero sistema economico e sociale di un paese.
Quindi l’investimento sulle competenze è fondamentale e questo riporta al mercato del lavoro che ha bisogno di una visione di questo tipo. L’errore che non si deve fare più nel futuro è quello di decidere di avviare un investimento senza porsi il problema di chi, come, quando viene realizzato e che effetti produce.
Certamente, la risposta all’emergenza è essenziale, ma poi sono necessari altri elementi, come per il PNRR o il NexGenEU. In quest’ultimo caso, ci sono paesi che non vogliono nemmeno sentir parlare di un ulteriore Next Generation. Riuscire a mettere in campo elementi che possano convincere tutti gli Stati membri a ripetere meccanismi simili al NextGenEU dipenderà da due fattori.Il primoè quello che dimostra, in modo concreto, che se si scelgono ambiti di intervento che rafforzano la dimensione europea (come la difesa), essi genereranno una risposta in termini di sicurezza per tutto il sistema. Il secondo è quello di dimostrare che le risorse di cui si dispone sulla base di un debito comune – come il Next Generation e il PNRR – riescono a realizzare interventi in grado di dare un impatto positivo. È oltremodo necessario, però, che questi meccanismi si adeguino agli scenari: non si può, come è stato in Europa per molti anni, programmare la coesione sulla base dei dati economici del 2020, chiudere dopo 2 anni l’accordo di partenariato su come spendere le risorse a disposizione e trovarci oggi che ancora dobbiamo iniziare a farlo. Perché quando lo faremo sarà su presupposti che non esistono più: il mondo è cambiato nel frattempo. C’è bisogno di quella flessibilità che consente di intervenire rapidamente sull’evoluzione dello scenario e quindi sulla capacità di intervenire concretamente.
Ecco perché il tema dell’autonomia strategica è fondamentale: se, per esempio, alcune situazioni di grande tensione dovessero degenerare in alcune parti del mondo, quali saranno le conseguenze economiche? In alcuni casi potrebbero essere ancora più gravi e pesanti di quanto non lo siano state con l’invasione dell’Ucraina. Ci sono una serie di temi che hanno bisogno di quella visione e programmazione e, soprattutto, di una rapidità d’azione che l’Europa a 27 così come organizzata non possiede. Dobbiamo realizzare degli strumenti comuni che ci portino in questa direzione, che consentano al sistema economico di poter utilizzare bene e al meglio queste risorse in funzione dei quadri che cambiano. Su questo secondo me il rapporto offre spunti importanti. Dobbiamo cercare però di far sì che parti importanti del rapporto possano già rientrare nell’agenda strategica come indicazioni di partenza per i prossimi anni.