L’Europa asso nella manica di Macron

Un evento cataclismatico. Uno spartiacque della storia europea. È diffusa la percezione che se Marine Le Pen vincesse al secondo turno delle presidenziali francesi, una rottura tra Parigi e Bruxelles sarebbe difficilmente evitabile. Il processo di integrazione, quanto meno, subirebbe un duro colpo. L’Unione potrebbe essere ridotta all’impotenza. E la coesione che le ha consentito finora di opporsi efficacemente all’aggressione di Putin contro l’Ucraina potrebbe rapidamente sgretolarsi.

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L’incognita del ballottaggio

I risultati del primo turno delle presidenziali francesi rendono indubbiamente più remota la prospettiva di un’ascesa all’Eliseo della leader del Rassemblement National. Il distacco inflittole da Emmanuel Macron – poco meno del 5% – è più ampio di quanto si prevedesse alla vigilia. Ma che cosa accadrà al ballottaggio? I sondaggi danno in vantaggio Macron, che però, con più della metà dei suffragi andati al primo turno alle formazioni estremiste di destra e di sinistra, avrà verosimilmente più difficoltà a ricreare il “fronte repubblicano” di cinque anni fa, quando ottenne il doppio dei voti di Le Pen.

L’asso della manica di Macron sta proprio nel rilancio dei temi europei. Resta da vedere se e come saprà usarlo. È probabile, in ogni caso, che assisteremo a un cambio di passo nella sua campagna, finora stagnante, con l’obiettivo di rimettere in primo piano il ruolo della Francia nell’Ue.

Macron verso un cambio di passo

Nella campagna per il primo turno si è parlato poco, in effetti, di Europa, molto meno di cinque anni fa. Altri temi si sono imposti, a partire dall’erosione del “potere di acquisto”, abilmente promosso e sfruttato, meglio di tutti gli altri candidati da Le Pen, che è riuscita ad accreditarsi come la più sensibile alle preoccupazioni quotidiane dei ceti popolari.

Macron è d’altronde entrato nell’agone elettorale solo a pochi giorni dal voto. Anche nella lettera con cui il 4 marzo aveva annunciato la sua candidatura era rimasto molto nel vago. Quando però è sceso in lizza, ha nuovamente sfoderato il suo essere “appassionatamente francese e risolutamente europeo”, ribadendo che vede soluzioni efficaci a problemi come la gestione dei flussi migratori e l’indipendenza energetica solo in una dimensione europea. Ha anche denunciato i “progetti mortiferi” anti-Ue di Le Pen. Ci si può aspettare che insisterà sempre più, d’ora innanzi, su questi tasti.

In Francia, come in altri Paesi, i sentimenti antieuropei sono meno diffusi di cinque anni fa e ciò contribuisce indubbiamente a spiegare la relativamente minore rilevanza che hanno avuto finora nella campagna presidenziale. Le Pen ha assunto toni un po’ più moderati nella sua polemica verso Bruxelles, rinunciando ad alcuni suoi tradizionali cavalli di battaglia, come l’uscita dall’euro. Anche il ritiro dalla Corte europea dei diritti dell’uomo non figura più nella sua piattaforma politica. Queste correzioni fanno parte del tentativo di proiettare un’immagine più rassicurante, in linea con la presa di distanza dalle più violente escandescenze xenofobe e reazionarie di Éric Zemmour, l’altro candidato dell’estrema destra.

Rotta di collisione con l’Ue

Tuttavia, il programma di Le Pen è intessuto di proposte e rivendicazioni che porterebbero inevitabilmente, se perseguite dall’Eliseo, a un duro confronto con Bruxelles, fino a una possibile rottura traumatica. Una delle idee cardine è di indire un referendum su una riforma della costituzione che prefigura una rotta di collisione con l’Ue. Prevede una modifica dello status degli stranieri, con l’abolizione dello ius soli, principio fondamentale della Francia repubblicana; la “priorità nazionale” a favore dei francesi in materia di alloggi, impieghi e prestazioni sociali (con una parte di quest’ultime riservate solo a loro); e la supremazia del diritto francese su quello internazionale, compreso quello dell’Ue.

Sarebbe un’iniziativa in aperta rottura con l’Ue, anche se presentata nell’ottica di un contenimento dei flussi migratori, un tema forse meno sentito di qualche anno fa, ma che continua a far presa su larghe fasce dell’elettorato. Alcune proposte hanno un’innegabile ispirazione xenofoba. La discriminazione verrebbe di fatto elevata a principio costituzionale.

Questi cambiamenti, peraltro, potrebbero difficilmente essere attuati attraverso la procedura normale di revisione della costituzione che prevede l’approvazione di deputati e senatori. Si dovrebbe ricorrere a un referendum, istituzionalmente destabilizzante, di iniziativa presidenziale.

L’obiettivo di fissare nella costituzione il primato del diritto nazionale su quello europeo è in sintonia con l’analoga posizione assunta dal governo polacco e da quello ungherese – Le Pen ha esultato alla recente vittoria elettorale di Viktor Orbán. La leader del Rassemblement National ha anche promesso di ridurre di cinque miliardi il contributo della Francia al bilancio comunitario e di mettere fine alle nuove forme di cooperazione avviate con la Germania a partire dal 2017, denunciando una “divergenza profonda e irrimediabile” con Berlino.

Che i temi europei tornino in auge nei prossimi giorni, in vista del secondo turno, sembra dunque inevitabile. Nel 2017 Macron si presentò con un forte profilo europeista. Nel famoso discorso alla Sorbona del 26 settembre di quell’anno dettagliò una serie di ardite proposte per la riforma e il rilancio dell’Ue. Che cosa è rimasto di quella piattaforma? Quanto è stato concretamente realizzato?

Macron e il progetto europeo incompiuto

Qualcosa indubbiamente si è fatto, anche se lentamente e fra mille resistenze, alcune, peraltro, anche di marca francese. I progetti di integrazione nel campo della difesa sono andati avanti – con il varo della “cooperazione strutturata permanente” e del fondo europeo della difesa – anche se Parigi li avrebbe voluti in formati più ristretti. L’idea di una “dottrina comune” europea enunciata da Macron alla Sorbona si è di recente concretizzata con la “bussola strategica”. Il progetto macroniano di una politica comune dell’asilo è rimasto sulla carta e c’è da dire che Parigi è stata tutt’altro che all’avanguardia in questo campo.

Anche la “democratizzazione dell’Europa” evocata da Macron alla Sorbona si è alla fine impantanata nella Conferenza sul futuro dell’Europa, i cui sbocchi rimangono oltremodo incerti. Qualche passo avanti è stato fatto in materia di controllo comune dei confini esterni dell’Unione, ma bisognerà aspettare il 2027 perché sia completato il progetto del corpo permanente di frontiera.

Il più grande successo, frutto di un’intesa franco-tedesca, è stato il varo del Recovery Fund (Next Generation EU) da 750 miliardi di euro per far fronte alle conseguenze economiche dell’epidemia. Macron può vantarsi a ragione di aver svolto un ruolo propulsivo in questa innovazione che potrebbe aprire la strada a un più stabile ampliamento della capacità fiscale dell’Ue. Su molti altri temi importanti, sia di politica estera che di politica economica, si sono però manifestate forti divergenze tra Parigi e Berlino, che hanno frenato i progetti di integrazione. In molti casi Macron ha ceduto, soprattutto in politica estera, a tentazioni nazionalistiche o neogolliste – si pensi alle iniziative in Libia, alle relazioni con la Turchia o alle aperture verso Mosca – che hanno complicato non poco i rapporti con partner e alleati, Italia compresa.

La sfida per Macron non è dunque solo quella di riproporre, nella contesa con Le Pen, il suo profilo europeista e i principi fondamentali a cui si ispira la sua agenda politica, ma anche di ritrovare lo slancio innovativo che lo portò allo straordinario successo di cinque anni fa. L’elettorato francese, in preda a mille paure, non può contentarsi degli slanci retorici. Si aspetta, invece, una risposta credibile ai tanti problemi irrisolti dell’Europa.

Foto di copertina EPA/Mohammed Badra

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