La sicurezza nazionale iraniana: prospettive dal dibattito interno

All’indomani della reintroduzione delle sanzioni internazionali e degli attacchi Usa ai siti nucleari iraniani dello scorso giugno, la situazione in Iran può essere definita come una precaria sospensione, che la Guida Suprema ha descritto come una circostanza profondamente sfavorevole per la nazione.

Trump afferma che il programma nucleare iraniano è stato completamente smantellato grazie agli attacchi americani al termine della guerra durata 12 giorni, eliminando così la necessità di ulteriori interventi militari. Dal punto di vista israeliano, tuttavia, gli attacchi di giugno rappresentano un obiettivo incompleto, lasciando aperta la possibilità di nuove incursioni nel territorio iraniano.

Tuttavia, gli obiettivi finali di Israele rimangono ambigui. Alcuni osservatori suggeriscono che uno di questi sia proprio il cambio di regime in Iran. Altri, invece, ipotizzano che i conflitti regionali del primo ministro Benjamin Netanyahu, compresa la guerra con l’Iran, fungano da meccanismo per “fuggire in avanti”, sostenendo lo slancio necessario per evitare il collasso interno. In periodi di relativa calma, infatti, la disintegrazione del suo governo di coalizione diventa probabile, in particolare dopo l’accordo su Gaza, che potrebbe intensificare le pressioni interne su Netanyahu da parte delle fazioni di destra più radicali.

Un nuovo attacco rimane quindi possibile, anche se non estremamente probabile. Nel frattempo, la maggior parte degli Stati arabi del Medio Oriente, la Turchia e il Pakistan percepiscono Israele come la minaccia principale alla pace e alla sicurezza, posizionando l’Iran come un contrappeso fondamentale.

Anche gli Stati Uniti riconoscono che il crollo della Repubblica Islamica dell’Iran non è né fattibile né auspicabile: qualsiasi caos regionale derivante dal fallimento dello Stato iraniano prolungherebbe l’instabilità, costringendo a un coinvolgimento americano prolungato, incompatibile con le priorità di Washington. Un “Iran debole” emerge quindi come la configurazione ottimale per gli interessi americani.

La guerra dei 12 giorni ha portato tutte le parti a un maggiore realismo, rendendo i calcoli iraniani più pragmatici e concreti rispetto al passato. Questa visione moderata permea il dibattito interno, dove l’ottimismo tempera la cautela, favorendo discussioni sulla sostenibilità a lungo termine piuttosto che su ritorsioni immediate.

Il meccanismo dello snapback: legalità e resistenza

Lo scorso 28 agosto, Francia, Germania e Regno Unito – noti come gruppo E3 – hanno avviato il cosiddetto meccanismo di snapback, volto a reintrodurre le sanzioni internazionali nei confronti dell’Iran. Il meccanismo prevede il ripristino automatico di tutte le sanzioni che l’ONU aveva imposto a Teheran e successivamente revocato in seguito all’accordo sul nucleare iraniano del 2015, noto come “Joint Comprehensive Plan of Action” (JCPOA).

L’Iran afferma l’illegalità di questo meccanismo, basandosi su molteplici argomentazioni presentate al Segretario Generale delle Nazioni Unite. Anche la Russia sostiene ora inequivocabilmente questa posizione, mentre la Cina offre un sostegno qualificato, anche se meno esplicito.

Alcuni segmenti dell’opinione pubblica iraniana ritengono che, nonostante queste sanzioni, la nazione possa resistere e opporre un’efficace resistenza, anche grazie a un contesto internazionale instabile che vede sempre più intensificarsi l’antagonismo tra Stati Uniti e Cina e il confronto tra Federazione Russa e Ue.

In effetti, l’esperienza ventennale iraniana con sanzioni severe gli consente di mitigare le ripercussioni economiche, attingendo a meccanismi di adattamento affinati attraverso una prolungata avversità. La Repubblica Islamica dell’Iran, come sistema politico, è stata forgiata nella turbolenza, abile nel gestire le crisi e nell’uscirne indenne. Per oltre quattro decenni, questo sistema ha resistito a molteplici pressioni, dall’isolamento geopolitico allo strangolamento economico.

Tuttavia, l’essenza di ogni congiuntura trascende la semplice resistenza; ruota attorno alla dignità. La dignità costituisce la parola chiave fondamentale nei rapporti con la Repubblica Islamica. Gli Stati occidentali devono riconoscere che nessuna forma di umiliazione o coercizione potrà prevalere su di essa. In un tale contesto, le analisi costi-benefici vacillano, poiché la resistenza basata sui principi prevale sulle concessioni pragmatiche. Questa filosofia risuona profondamente nell’opinione pubblica interna, dove sondaggi e commenti rivelano una diffusa avversione alla percezione di una capitolazione, inquadrando le sanzioni non come minacce esistenziali ma come prove di sovranità.

Ripensare la sicurezza nazionale: un prospettiva interna

La confluenza delle sanzioni E3 ripristinate e il fragile cessate il fuoco nel conflitto Iran-Israele hanno acceso un vigoroso dibattito all’interno del panorama politico iraniano e tra gli elettori nazionali. Al centro di questo dibattito vi sono le questioni relative alla ricalibrazione della strategia di sicurezza nazionale, tradizionalmente ancorata a una posizione difensiva sotto l’attuale amministrazione, verso una potenziale rinascita di elementi offensivi. I sostenitori della continuità sottolineano i meriti della “difesa avanzata” – un’evoluzione dalla pura deterrenza alla proiezione proattiva – temperata tuttavia dalle severe lezioni impartite dalla guerra dei 12 giorni.  Questo approccio, articolato nei circoli d’élite, cerca di neutralizzare le minacce in modo preventivo senza eccessi, sfruttando i proxy e le capacità asimmetriche per mantenere l’influenza regionale. I critici, tuttavia, sostengono una svolta offensiva più audace, sostenendo che la moderazione difensiva ha provocato un’escalation, come dimostrano le incursioni israeliane e le attivazioni dello snapback. Essi sostengono che il ripristino dello slancio offensivo, attraverso una maggiore deterrenza missilistica e le alleanze con Russia e Cina, potrebbe scoraggiare future aggressioni e recuperare l’iniziativa strategica.

L’opinione pubblica interna, misurata attraverso i social media e i forum pubblici, rispecchia questa polarizzazione: gli intellettuali urbani favoriscono una resilienza diplomatica intrecciata con offensive misurate, mentre le basi rurali e conservatrici danno priorità a una difesa inflessibile radicata nell’ideologia rivoluzionaria. La retorica della Guida Suprema, che denuncia la “sospensione” post-UNGA come insostenibile, segnala sottilmente un’apertura all’adattamento, a condizione che si preservi la dignità. In definitiva, questo ripensamento trascende la tattica; incarna una riflessione esistenziale più ampia sul ruolo dell’Iran come contrappeso all’egemonia israeliana, informata dai timori arabi e turchi di destabilizzazione regionale. Mentre le sanzioni tornano a farsi sentire, il dibattito si cristallizza attorno a una strategia ibrida: la forza d’animo difensiva che cede il passo a offensive selettive, garantendo la sopravvivenza senza resa.

Sasan Karimi

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