La politica estera dell’Italia tra 2022 e 2023

Com’è cambiata la politica estera italiana nel passaggio dal governo Draghi a quello Meloni? Quali sono stati gli elementi di continuità o invece di rottura nella gestione dei principali dossier, come l’aggressione russa all’Ucraina e la crisi energetica? E quali sono le prospettive per la politica estera italiana nel 2023? Sono queste le domande al centro del Rapporto sulla Politica estera italiana 2022 redatto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Affari Internazionali nel quadro della partnership strategica con la Fondazione Compagnia di San Paolo.

Le emergenze del 2022

Rispetto alla guerra contro l’Ucraina, l’approccio italiano non è cambiato nel passaggio tra i due governi: ferma condanna dell’aggressione russa, sostegno politico, umanitario e finanziario a Kyiv, forniture di armamenti all’esercito ucraino, sanzioni nei confronti dell’establishment russo definite di concerto con le istituzioni europee. La solidità della posizione di condanna italiana ha colto di sorpresa Mosca, come ha ammesso più volte lo stesso ministro degli esteri russo Lavrov.

Se il governo Draghi aveva da subito preso posizione a difesa della sovranità ucraina e aveva svolto un ruolo proattivo nel rilanciare la candidatura di Kyiv all’ammissione nell’Unione europea, i dubbi emersi in campagna elettorale riguardo alla presenza di formazioni filorusse nella coalizione di centrodestra sono stati prontamente fugati dalle parole e dalle decisioni prese da Giorgia Meloni dopo l’insediamento del nuovo governo. Ulteriore riprova della fermezza della posizione italiana è la recente proroga dell’autorizzazione al governo a fornire aiuti militari all’Ucraina per tutto il 2023.

Anche l’altro dossier caratterizzante il 2022 della politica estera italiana, quello energetico, ha visto i due governi muoversi in sostanziale continuità. Nella prima metà dell’anno, Draghi e i suoi ministri sono stati particolarmente attivi nel cercare forniture di gas alternative che consentissero di ridurre sostanzialmente la dipendenza da Mosca: gli accordi sottoscritti tra gli altri con Algeria, Congo e Angola hanno definito una roadmap verso l’indipendenza dalla Russia incentrata in particolar modo sul rafforzamento dei rapporti con i partner africani, recentemente rilanciata da Giorgia Meloni nel corso della sua visita ufficiale ad Algeri. Meno centrali nell’agenda dei due governi sono state le iniziative volte a incrementare la produzione di energia rinnovabile in Italia e a contenere la domanda, e il governo italiano non ha svolto un ruolo particolarmente attivo in occasione della Cop27 di Sharm-el-Sheik a novembre.

Le alleanze tradizionali

Sul piano dei rapporti con l’Europa, il governo Draghi poteva contare sul capitale di autorevolezza del presidente del Consiglio, che ha consentito all’Italia di svolgere un ruolo da protagonista sui principali dossier. Particolarmente centrale nell’azione dell’esecutivo è stata l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e le riforme a esso connesse. All’indomani delle elezioni, per rispondere alle perplessità legate alla presenza di posizioni populiste ed euroscettiche nella nuova coalizione di governo, la presidente Meloni ha da subito cercato di stabilire un dialogo con le istituzioni europee, scegliendo Bruxelles come destinazione della sua prima missione all’estero. Nel complesso, la premier sembra aver fatto propria una narrativa centrata sull’affermazione dell’interesse nazionale all’interno della cornice europea, alla ricerca di un difficile equilibrio tra pragmatismo e toni identitari. Se nelle scelte di politica economica – a partire dalla legge di bilancio – è sembrato prevalere il primo aspetto, andrà verificata la capacità di mantenere uno spirito di collaborazione con Bruxelles a fronte di probabili malumori interni alla maggioranza su temi quali la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità e la gestione dei flussi migratori.

Per quel che riguarda i rapporti transatlantici, le relazioni con Washington si sono rivelate solide sotto entrambi i governi. Significative sono state le prese di posizione dell’esecutivo Meloni contro il rinnovo del Memorandum d’intesa con la Cina sulla Nuova via della seta e il voto contrario in sede Onu dell’Italia al coinvolgimento della Corte internazionale di giustizia sulla gestione da parte di Israele delle terre occupate in Palestina – oltre naturalmente al costante sostegno italiano a Kyiv.

Negli ambiti della difesa e della sicurezza, l’Italia ha partecipato al potenziamento della presenza Nato sul fianco est dell’Alleanza, confermando inoltre il proprio impegno al comando di missioni di peacekeeping e capacity building di alto profilo, come Kfor in Kosovo, Nato Training Mission in Iraq o Unifil in Libano. Di fronte alla rinnovata centralità per la Nato del fianco est e – in un’ottica di medio-lungo termine – dell’Indo-Pacifico, sarà però fondamentale per Roma mantenere viva l’attenzione anche sul fianco sud, di primaria importanza strategica per il paese.

Il Mediterraneo e le migrazioni

Il tratto caratterizzante dell’approccio dei due governi verso il Mediterraneo allargato – da sempre uno degli assi primari della politica estera italiana – è stato un focus marcato sulla questione degli approvvigionamenti energetici e, più in generale, sui rapporti commerciali. Sono rimaste invece in secondo piano le tematiche relative alla stabilità e agli assetti politici regionali.

La presenza italiana nell’Africa sub-sahariana ha trovato un nuovo slancio, che si è concretizzato negli accordi per le forniture di gas sottoscritti dal governo Draghi e, più di recente, nel progetto di un “Piano Mattei per l’Africa” rilanciato a più riprese da Giorgia Meloni: negli intenti del governo, il piano dovrebbe rafforzare i legami di cooperazione con i paesi del continente su un piano paritario, consentendo all’Italia di proporsi come porta d’accesso per le forniture energetiche africane verso l’Europa e rafforzando al contempo la cooperazione nella lotta al terrorismo e nella gestione dei flussi migratori.

Quest’ultimo aspetto ha ripreso centralità nella narrazione del governo dopo l’insediamento di Giorgia Meloni. Da un lato, è stato confermato l’impegno italiano a favore dei profughi ucraini attraverso il dispositivo della protezione temporanea; dall’altro, non si è registrata un’analoga apertura verso i migranti provenienti da altri paesi. Al contrario, a novembre, il divieto di sbarco nei confronti di navi di ong battenti bandiera straniera impegnate in operazione di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo ha creato tensioni con alcuni partner europei, poi mitigate dall’introduzione da parte della Commissione europea di un Piano per la rotta del Mediterraneo centrale. Per il 2023, il governo sarà chiamato a cercare di conciliare la richiesta di una maggiore solidarietà europea sul tema con le preoccupazioni di paesi come la Francia e la Germania relativamente ai movimenti secondari, evitando al contempo possibili derive identitarie sul tema da parte di forze interne alla maggioranza.

Cina e multilateralismo

Nei confronti della Cina, il governo Draghi aveva adottato una linea dura ma pragmatica, nel cui solco sembra inserirsi anche l’operato del governo Meloni. Oltre alla questione di Taiwan, resta centrale il tema delle possibili operazioni di fusione e acquisizione di aziende italiane da parte di investitori cinesi: a riguardo, il governo ha manifestato l’intenzione di rafforzare i meccanismi di scrutinio sugli investimenti diretti esteri, in continuità con quanto fatto dai propri predecessori. In generale, l’orientamento fortemente atlantista del nuovo governo potrebbe portare in futuro a una maggiore assertività italiana verso Pechino, come sembrano indicare anche le recenti misure volte a monitorare l’epidemia di Covid-19 tra i viaggiatori in arrivo dalla Cina.

Infine, sul piano del contributo italiano alle organizzazioni multilaterali, oltre alla significativa partecipazione a missioni di peacekeeping e alle iniziative a tutela della sicurezza alimentare globale, va segnalato l’impegno italiano per una riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu nella direzione di un ampliamento del numero di membri non permanenti e di una limitazione del diritto di veto. In un contesto di “policrisi” come quello attuale, l’approccio alla cooperazione allo sviluppo del nuovo governo sembra andare verso un’accentuazione della logica dell’utile, ponendo l’accento sui benefici della cooperazione soprattutto in termini di prevenzione dell’immigrazione e sviluppo delle imprese italiane.

Foto di copertina ANSA/GIUSEPPE LAMI

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