La guerra di Mr. Dazi

È ormai del tutto evidente che i dazi rappresentano la punta di un iceberg assai vasto e profondo. Dal punto di vista economico la guerra di “Mr. Dazi” mette la parola fine a decenni di prosperità globale costruita proprio sullo sforzo di smantellare le barriere tariffarie e tecniche che impedivano il fluire delle merci e dei servizi. A dettare l’agenda del commercio internazionale è ormai il ritorno prepotente del protezionismo e del nazionalismo, fattori che alla luce della storia passata si sono trasformati in guerre ben più dannose.

L’Impatto Economico: Un Confronto con le Crisi Passate

In effetti, se ci fermassimo ai soli effetti dei dazi le conseguenze sull’economia mondiale potrebbero in qualche modo essere fronteggiate. Se si prende la sola Ue, i contraccolpi vengono calcolati in uno 0.5% di contrazione del PIL comunitario. Molto meno delle due principali crisi economiche degli ultimi decenni. Si calcola che l’attacco all’euro del 2009 abbia portato a una diminuzione del PIL del 4,3% e bastò un whatever it takes di Mario Draghi per bloccare la speculazione. Parimenti, a seguito della pandemia Covid-19, il calo fu del 5,6% e fu l’occasione per l’Ue di mostrare la propria capacità di reazione con il ricorso, mai tentato prima, agli eurobond.

Ma che cosa potrà succedere oggi, sul piano finanziario, se le cose a Trump dovessero sfuggire di mano e negli Usa si riaffacciassero inflazione e recessione? Malgrado il crescente protezionismo, le economie del mondo rimangono profondamente interconnesse ed è difficile credere che il “ribilanciamento” predicato da Trump non finisca per saltare e portare a una crisi finanziaria globale di inimmaginabile entità. Anche perché quella dei dazi è un’arma che il Tycoon di Washington utilizza in modo spregiudicatamente politico. Basti vedere i casi di aumento dei dazi nei confronti del Canada per evitare il riconoscimento della Palestina o il 50% applicato al Brasile per il processo al precedente presidente, Jair Bolsonaro.

L’Umiliazione Diplomatica di von der Leyen

Se non sarà quindi necessariamente una catastrofe economica, è da mettere nel conto la possibilità che prima o poi la selvaggia azione di Trump si trasformi in una catastrofe politica. A proposito di catastrofi, a rimetterci immagine e credibilità è stata anche la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Appena raggiunto un quasi-accordo con il boss d’oltreatlantico, quasi tutti i governi dell’Ue e la stampa europea hanno accusato von der Leyen di subordinazione ai voleri di Trump.

Va però precisato che, nella guerra scatenata contro l’Ue dal presiedente americano, ci siamo fin da subito trovati nella condizione di doverci difendere da un attacco, per di più da quello che in teoria doveva essere un nostro alleato. È stato, inoltre, abbastanza ironico che l’incontro si sia svolto in Scozia, parte di quel Regno Unito che ha abbandonato l’Ue alcuni anni fa. Umiliante, come minimo, anche in considerazione del fatto che l’Inghilterra ha strappato fin da subito una concessione più vantaggiosa della nostra: il 10% di dazi contro il 15% dell’Ue. Il tutto per dimostrare che il padrone di casa era lui.

In effetti, l’incontro si è tenuto nel lussuoso resort del golf di sua proprietà in Scozia. Una località per nulla istituzionale, a sottolineare il dispregio del Tycoon per le normali regole diplomatiche. Con un Trump chiaramente soddisfatto, nel suo narcisismo, per i risultati vantaggiosi ottenuti nel breve periodo dalla sua guerra non contro i nemici (anzi con loro è molto più prudente e rispettoso), ma contro gli alleati degli ultimi 80 anni. Un giornale europeo ha definito l’atteggiamento di Trump come “mafia style shakedown”, un’estorsione mafiosa.

Le Mani Legate dell’Europa nelle Trattative

A rimetterci alla fine è stata Ursula von der Leyen arrivata con le mani legate al tavolo della trattativa finale con Trump. Malgrado il mandato ottenuto con grande difficoltà dai 27, la posizione europea non poteva altro che essere difensiva. Minacciare dazi di ritorsione da parte nostra o utilizzare il famoso bazooka, cioè gli strumenti per colpire le grandi aziende tech americane essenziali per fare funzionare l’insieme informatico dell’Ue, sarebbe stato probabilmente controproducente, portandoci in un territorio in cui la supremazia americana (e la nostra dipendenza) non lascia spazi di mediazione.

Va anche precisato che von der Leyen ha dovuto barcamenarsi fra due posizioni contrastanti nei 27. La Francia, da una parte, capeggiava il gruppo di paesi deciso allo scontro frontale con Trump, mentre la Germania di Merz, assieme all’Italia e ad altri membri dell’Ue, spingeva per abbassare i toni dello scontro con l’amministrazione americana.

I Costi Nascosti dell’Accordo con Trump

Nei calcoli su ciò che abbiamo perso, il vero guaio è che ai dazi al 15% vanno aggiunti altri elementi che finiranno per aggravare l’intero costo dell’operazione von der Leyen-Trump. Il primo elemento è, come noto, la progressiva perdita di valore del dollaro rispetto all’euro. Il secondo elemento di peggioramento della situazione è “l’intenzione” europea di spendere nei prossimi 3 anni l’enorme e irrealistica cifra di 750 miliardi di dollari in acquisti di energia sul mercato statunitense (ma dove sta l’Ue green?). Ad esso è stata aggiunta un’ulteriore promessa di investire altri 600 miliardi negli Usa, chiedendo alle aziende e alle istituzioni finanziarie europee di spendere i propri soldi sul mercato americano. Un impegno, in realtà, poco realistico poiché le previsioni di crescita dell’inflazione negli Usa rendono gli investimenti particolarmente rischiosi.

Il terzo elemento di aggravio del contributo europeo al “ribilanciamento” fra le due economie voluto da Trump è l’impegno preso dai 27 poco più di un mese fa di portare in ambito Nato le spese per la difesa dal 2% al 5% nel giro di pochi anni.

Sicurezza vs Autonomia

C’è quindi nuovamente da chiedersi la ragione di questo cedimento europeo. Lo ha confessato il commissario europeo per il commercio, Maros Sefcovic, affermando che il negoziato con Trump non si è limitato ai dazi, ma che ha riguardato la sicurezza dell’Ue contro la Russia, il sostegno militare ed economico all’Ucraina, il desiderio di assicurare un po’ di stabilità in un contesto geopolitico estremamente volatile. Insomma, l’Ue ha dovuto riconoscere che non può fare ancora a meno del sostegno dell’alleato (si fa per dire) americano, non avendo gli strumenti istituzionali e politici per essere maggiormente autonoma.

Non è solo Ursula ad avere perso, ma l’Ue come soggetto politico, anche in un settore dove ha “competenza esclusiva”. L’Ue continua quindi ad essere un gigante economico, ma purtroppo sempre di più un nano politico in un mondo che cambia tumultuosamente.

Esperto di questioni europee e di politica estera, è Presidente del Comitato dei Garanti e Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali. È pubblicista e editorialista per Vita trentina (dal 2019) e Corriere del Trentino – Gruppo Cds (dal 2020).

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