In Spagna piccoli passi verso un nuovo governo Sánchez

Nel mezzo di una torrida estate, qualcosa si sta muovendo in Spagna per risolvere il rebus della formazione del nuovo governo. Le elezioni generali dello scorso 23 luglio hanno lasciato il paese in una situazione complessa perché, seppur le destre non hanno raggiunto la maggioranza assoluta, le sinistre sono altrettanto lontane dalla cifra magica dei 176 seggi nel Congreso di Madrid. È pur vero che anche nella scorsa legislatura il governo di coalizione presieduto dal socialista Pedro Sánchez ha governato in minoranza con l’appoggio esterno di diversi partiti nazionalisti e regionalisti. Ora, però, ha bisogno anche dei voti di Junts per Catalunya (JxCAT), il partito indipendentista catalano guidato dall’autoesilio belga da Carles Puigdemont che ha sempre votato contro l’esecutivo progressista.

Quali possibili soluzioni?

Trovare la quadra non è facile, ma un importante passo in avanti è avvenuto lo scorso 17 agosto quando è stata eletta come presidentessa della Camera la socialista Francina Armengol, con una maggioranza assoluta di 178 voti. Si tratta degli stessi voti utili alla possibile maggioranza di governo rappresentata dal Partido Socialista Obrero Español (121 seggi), Sumar, la coalizione di sinistra guidata dalla ministra del lavoro Yolanda Díaz (31 seggi), e da tutti i rappresentati della cosiddetta Spagna “periferica”, ovvero i nazionalisti baschi, galiziani e catalani, incluso JxCAT. Per di più, le sinistre si sono assicurate anche il controllo dell’ufficio di presidenza della Camera, una questione affatto secondaria per gli sviluppi della legislatura.

Gli indipendentisti catalani hanno votato Armengol in cambio di un riconoscimento del catalano come lingua ufficiale nelle istituzioni dello Stato e nell’Unione Europea, l’apertura di due commissioni parlamentari – sulle intercettazioni con lo spyware Pegasus di diversi leader separatisti e sugli attentati di matrice islamica di Barcellona e Cambrils dell’agosto del 2017 – e una generica volontà di mettere fine alla “repressione” dello Stato contro l’indipendentismo per i fatti dell’autunno del 2017 “attraverso le vie legali necessarie”.

Se fino a poche settimane le rivendicazioni di Puigdemont erano unicamente l’amnistia e un referendum di autodeterminazione, non permesso dalla Costituzione, l’accordo siglato mostra che ci sono margini di manovra e, soprattutto, volontà politica da entrambe le parti. Certo, bisognerà vedere se JxCAT vorrà continuare a fare politica in modo costruttivo o se, come in passato, cederà alle pressioni dei settori più radicali dell’indipendentismo che, secondo la logica del “tanto peggio, tanto meglio”, preferirebbero un governo di destra con Vox nella stanza dei bottoni con l’obiettivo di rianimare un movimento indipendentista in fase di declino.

La possibile rielezione di Sánchez

Se non proprio spianata, la strada per Sánchez sembrerebbe dunque almeno segnata. Nonostante ciò, i tempi per la possibile rielezione del leader socialista saranno più lunghi del previsto perché, dopo le consultazioni con i partiti, il re Felipe VI ha deciso di affidare l’incarico per formare governo al candidato del Partido Popular (PP), Alberto Núñez Feijóo, come leader della formazione più votata. Feijóo non dispone però di una maggioranza assoluta: il sostegno dei regionalisti di destra di Unión del Pueblo Navarro e Coalición Canaria, con un solo deputato a testa, e dei 33 rappresentati di Vox, sommati ai 137 del PP, garantiscono a Feijóo solo 172 seggi. La presenza del partito guidato da Santiago Abascal nella maggioranza di governo rende impossibile il voto a favore o l’astensione di altri soci.

In sintesi, la giocata di Feijóo è da leggersi come un tentativo di guadagnare tempo, sperando che il leader del PSOE fallisca nel suo tentativo di arrivare a un accordo con Puigdemont e che si vada a nuove elezioni. Ma la chiave di lettura principale è soprattutto interna: il leader del PP vuole evitare che dentro il partito gli facciano le scarpe.

I prossimi passi sono scanditi ora dalla decisione della presidentessa della Camera e dalla Costituzione. Il 26 settembre Feijóo esporrà in Parlamento il suo programma di governo e il giorno successivo sarà votata la fiducia. Al non disporre di una maggioranza assoluta dei voti, il 29 settembre, può sperare di ottenere perlomeno una maggioranza relativa, ossia più voti a favore che voti contrari. Praticamente impossibile, a meno di sorprese. A quel punto, sarà Sánchez a ricevere l’incarico dal re. Avrà tempo solo fino a fine novembre perché se nessun candidato ottiene la fiducia entro 60 giorni dalla prima votazione, si sciolgono automaticamente le Camere. La ripetizione elettorale si terrebbe dunque il 14 gennaio.

La strada è in salita ma è l’unica percorribile

Il prossimo mese sarà dunque cruciale. Mentre Feijóo cercherà di intorbidire le acque, sostenuto dai media conservatori della capitale che tacciano Sánchez di traditore della patria per arrivare ad accordi con Puigdemont, i socialisti dovranno sedersi attorno a un tavolo con i nazionalisti baschi e soprattutto con gli indipendentisti catalani. Le condizioni ci sono, la strada è stata aperta dall’elezione di Armengol alla presidenza del Congreso, i canali di comunicazione sono stati attivati. Come ha dimostrato il voto del 23 luglio, la Spagna può solo essere rappresentata da un governo di coalizione progressista ampia e plurale che dia voce a quella Spagna “periferica” che in un Parlamento frammentato e in un paese fortemente polarizzato si è convertita molto più che in passato nell’ago della bilancia per la stabilità dell’esecutivo.

Detto ciò, se Sánchez riuscirà nell’impresa, il nuovo governo progressista avrà davanti un cammino impervio. Non solo perché ogni votazione sarà una battaglia con il rischio di andare sotto in Parlamento, ma anche perché la destra ha la maggioranza assoluta in Senato e controlla la maggior parte delle regioni. Senza contare, poi, il sostegno che dispone a livello mediatico e in settori della magistratura che potrebbe, come fatto in passato, mettere i bastoni tra le ruote ai tentativi di risolvere i problemi con la giustizia di Puigdemont e altri dirigenti indipendentisti. Perché questo è, in realtà, il nodo gordiano da sciogliere. In ogni caso, la prossima tappa ora è il 26 settembre. Solo dopo quel giorno potremo capire i possibili sviluppi.

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