Il contrasto alla guerra ibrida, nuova priorità della difesa italiana

A valle del Consiglio Supremo di Difesa dello scorso 17 novembre, il ministro Guido Crosetto ha diffuso un documento sulla minaccia ibrida, definita come una delle più subdole minacce che ogni giorno erode in modo silente la sicurezza delle nostre società, attribuendole una nuova priorità e rilevanza dal punto di vista della difesa.

Il “Non-paper sul contrasto alla guerra ibrida” è un’analisi corposa e dettagliata, che si sviluppa su tre elementi principali: che cosa, dove e come. Il documento si apre con un inquadramento della minaccia ibrida, descritta come l’insieme di azioni coordinate in più domini (diplomatico, informativo/intelligence, militare, economico). Elemento centrale del non-paper è lo spazio cibernetico: nelle parole del ministro, il dominio cyber è “il moltiplicatore che tiene insieme tutto”, è quella dimensione che consente campagne di disinformazione, forme di interferenza elettorale, attacchi alle infrastrutture, rendendo complessa l’attribuzione grazie all’impiego di proxy e alla plausible deniability. L’analisi fornisce anche una chiara lista di attori statali e non, responsabili delle azioni di guerra ibrida: Russia, Cina, Iran, Corea del Nord, ma anche Houthi, Hezbollah, milizie sciite. Attori che si distinguono per le loro modalità di attacco, ma sono accomunati dall’obiettivo di destabilizzare i Paesi bersaglio sfruttando debolezze sistemiche, dipendenze economiche, vulnerabilità infrastrutturali e influenzando l’opinione pubblica.

L’Italia è particolarmente esposta a diversi profili di rischio. La dipendenza dalle importazioni di energia, l’ampia rete di infrastrutture critiche (trasporti e reti elettriche) e il sistema politico-sociale, la rendono vulnerabile a ingerenze straniere, campagne di disinformazione e sfruttamento di divisioni sociali. Inoltre, il documento sottolinea la dipendenza italiana dalle importazioni di materie critiche: circa il 47%, oltre il doppio della media dell’Ue.

Grande attenzione è riservata ai cosiddetti choke points marittimi: il canale di Suez e Bab el-Mandeb, oggi teatri di guerra ibrida e oggetto di attacchi. Particolare rilievo è dato alle nuove vulnerabilità che caratterizzano tutta l’Ue, che dipende quasi totalmente da fornitori extraeuropei per le materie critiche, ed è colpita da attacchi alle infrastrutture come il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 nel settembre 2022.

La conseguenza è che un’azione efficace di fronte alla minaccia ibrida non può prescindere da un approccio integrato e coordinato che combini la sicurezza cyber, la sicurezza fisica e la cooperazione internazionale. Una risposta a compartimenti stagni non può funzionare: serve una visione d’insieme che coinvolga tutti i settori della società in un approccio integrato whole-of-society.

Fra le misure da attuare, il ministro inserisce come primo passo l’identificazione di uno spazio cyber di interesse nazionale, che funzioni da campo operativo per la difesa. Un secondo elemento è la creazione di un’Arma Cyber, composta da personale civile e militare, continuamente operativa e composta da un adeguato numero di esperti in grado di intervenire su tutto lo spettro delle minacce. Un’arma che, come primo obiettivo, dovrebbe puntare a dotarsi di una capacità iniziale di 1.200–1.500 unità, di cui circa il 75% dedicato a compiti operativi, così da garantire continuità d’azione secondo il modello già consolidato in altri settori della difesa.

Seguendo l’esempio di altri Paesi, si prevede la creazione di un centro per il contrasto alla guerra ibrida, che riunisca personale della difesa, intelligence, ministeri, agenzie civili e istituzioni europee. Infine, per rafforzare la resilienza della società, il non-paper propone campagne di alfabetizzazione digitale, programmi di educazione civica contro la disinformazione e strumenti per identificare fake news e deepfake.

L’Italia non può cavarsela da sola di fronte a questa minaccia. Il documento sottolinea la natura transnazionale della guerra ibrida, da cui deriva la necessità di una risposta coordinata con alleati e partner. Il non-paper richiama i numerosi strumenti già messi in atto dalla Nato, dall’Unione europea e dal G7. La Nato sta lavorando a una nuova strategia anti-ibrida. L’Unione Europea dispone di strumenti come le direttive sulla sicurezza delle reti informatiche NIS2 e il Cyber Resilience Act, oltre a gruppi di risposta rapida. Il G7, nelle dichiarazioni ministeriali dello scorso anno, ha riconosciuto la disinformazione e l’ingerenza come minacce globali, condannando le azioni russe in questo senso e impegnandosi a rafforzare l’azione comune per rispondere alla manipolazione informativa, mirando a creare un meccanismo di risposta collettiva con il mandato al contrasto alle forme di coercizione economica, oltre alla disinformazione e alle interferenze straniere nei processi democratici.

La strategia proposta per fare fronte a questa minaccia non è solo di difesa, ma di prevenzione. La chiave della risposta elaborata nel documento è la creazione di una struttura operativa in grado di anticipare e respingere attacchi sotto-soglia, di rafforzare, sebbene indirettamente, la coesione democratica e di dotarsi degli strumenti per contrastare le guerre del futuro. Questa strategia potrebbe rappresentare un passo avanti per rendere l’Italia un attore ancora più credibile e proattivo nella sicurezza europea e transatlantica, capace di proteggere non solo il proprio territorio, ma anche la sua società e le sue istituzioni.

Responsabile di ricerca nel Programma “Difesa, sicurezza e spazio” dell’Istituto Affari Internazionali, dove collabora a progetti nel settore delle minacce non convenzionali (Nbcr). È stata, inoltre, consulente per l’Autorità Nazionale per l’attuazione della Convenzione sulla Proibizione delle Armi Chimiche e il Trattato per la messa al Bando Totale degli Esperimenti Nucleari presso il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (2016-2018).

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