I nodi irrisolti e le novità della Cop27

In un contesto politico aggravato da una moltitudine di crisi intrecciate tra loro, la posta in gioco a Sharm-el-Sheikh era decisamente alta. Si temeva uno stallo dell’azione per il clima anche per via di negoziati, questa volta, a guida egiziana (Il Cairo è notoriamente dipendente dallo sfruttamento delle proprie risorse fossili).

Nonostante la Cop si sia conclusa con l’amaro in bocca per la poca ambizione sul piano della mitigazione del cambiamento climatico, si è d’altra parte raggiunto un risultato importante su un capitolo dell’azione climatica – il cosiddetto loss and damage – bistrattato per molti anni. Questo meccanismo è al centro delle rivendicazioni di molti paesi in via di sviluppo, per cui compensare le comunità duramente afflitte dagli effetti irreversibili del cambiamento climatico (effetti che nella maggior parte dei casi queste comunità non hanno contribuito a creare) è una questione chiave di giustizia climatica.

Il fondo per il loss and damage è sul tavolo

Per la prima volta è stato trovato un accordo su un fondo per le perdite e i danni del cambiamento climatico, che sarà istituito da un comitato di transizione che sarà anche incaricato di individuare nuove fonti di finanziamento. C’è appunto molto lavoro da fare sui dettagli – in primis capire chi paga per queste compensazioni, chi le riceve, come precisamente si misurano gli impatti – ma il cambio di mentalità sui tavoli negoziali è stato significativo e sul loss and damage si sono visti grandi sforzi diplomatici soprattutto negli ultimi giorni.

La forza distruttrice del cambiamento climatico non ha certo mancato di farsi sentire nel 2022. Si calcola che, finora, si sono verificati 29 disastri estremi che sono costati più di 1 miliardo di dollari ciascuno. La Cina ha vissuto l’estate più secca degli ultimi 60 anni, il Pakistan ha subito inondazioni che hanno sommerso un terzo del paese e sfollato più di 30 milioni di persone. Parte della costa del Golfo della Florida è stata devastata da un uragano; decine di milioni di africani affrontano una grave insicurezza alimentare nel Corno d’Africa che è devastato dalla siccità – e la lista potrebbe continuare a lungo.

In alcuni casi questi impatti si stanno verificando ancor più velocemente di quanto gli scienziati abbiano previsto ed è evidente la necessità di una collaborazione internazionale (e di un supporto finanziario) rispetto ai danni irreversibili che il cambiamento climatico si porta dietro.

Una mitigazione “a più velocità”

È altrettanto evidente però che è necessario affrontare con quanta più determinazione possibile le cause alla base del problema, lavorando senza sosta per ridurre il divario tra ambizione e realtà sul calo delle emissioni in modo da limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi.

Alla Cop27 l’obiettivo era in teoria quello di dare seguito al Glasgow pact dell’anno scorso, che puntava a fare del decennio 2020-2030 quello trasformativo per l’azione climatica. Tuttavia, non ci sono stati passi in avanti sulla riduzione graduale dell’uso del carbone né sulla diminuzione dei sussidi alle fonti fossili. Una nota positiva sul capitolo della mitigazione riguarda almeno la definizione di accordi tra economie ricche ed emergenti conclusi o rafforzati in parallelo ai negoziati ufficiali, nel solco di quanto già avvenuto lo scorso anno. Facendo seguito agli accordi presi con Unione Europea e altri paesi alla COP26, il Sudafrica ha per esempio pubblicato i dettagli di un piano di investimenti da 84 miliardi di dollari per la transizione dal carbone all’energia pulita e ha delineato i dettagli dell’accordo da 8,5 miliardi di dollari con questi paesi. A margine del vertice G20 a Bali si è annunciato un accordo simile da 20 miliardi di dollari con l’Indonesia. I fondi comprendono contributi finanziari sia pubblici che privati. Questo tipo di iniziative bilaterali o plurilaterali aiutano ad accelerare al massimo l’azione climatica laddove il processo multilaterale dei negoziati COP è più lento: una sorta di azione climatica a più velocità.

Il nodo finanza verde

Sugli obiettivi di finanza climatica che non sono mai stati raggiunti, come il tristemente noto obiettivo dei 100 miliardi di dollari, le nazioni ricche ora si trovano a dover ricostruire la fiducia con le altre parti. Il testo della Cop27 contiene diversi riferimenti al divario tra i flussi attuali e le esigenze dei Paesi in via di sviluppo. Si stima che i flussi di finanza climatica nel 2019-2020 sarebbero stati circa un terzo di quelli necessari per raggiungere l’obiettivo di 1,5 C dell’Accordo di Parigi.

Sullo slancio della cosiddetta Iniziativa di Bridgetown di Mia Mottley, premier delle Barbados, si è riconosciuta a livello politico la necessità di trasformare il sistema finanziario per supportare la transizione e la resilienza dei Paesi in via di sviluppo.

L’iniziativa delle Barbados è stata appoggiata in Egitto anche da Macron e alla Cop27 si è domandato alle Banche Multilaterali di Sviluppo e alle istituzioni finanziarie di contribuire con approcci nuovi e innovativi alle prossime riunioni di primavera del 2023 della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. In varie occasioni si è inoltre sottolineato il ruolo del settore privato nel percorso verso il net zero. In generale infatti i fondi messi sul tavolo rimangono pochissimi e quello della finanza verde – per mitigazione e adattamento – rimane il vero tema da sviscerare per sbloccare una sostenuta e giusta transizione energetica a livello globale.

Cop27 chiama Europa

Di fronte alla crisi energetica i paesi europei hanno fatto della sicurezza delle forniture la loro priorità assoluta, pagando un alto prezzo economico e ambientale, con l’utilizzo di fonti fossili alternative o l’uso del carbone. L’Europa e vari stati membri alla Cop hanno saputo però chiarire la natura temporanea di queste scelte e la loro visione per un cambiamento strutturale verde nel solco del Green Deal.

D’altronde le argomentazioni europee a favore di tecnologie pulite competitive anche dal punto di vista securitario – oltre che ambientale – sono oggi più che mai evidenti. La delegazione italiana, guidata dall’Inviato speciale per il clima Alessandro Modiano, si è posta sostanzialmente in linea di continuità col passato e con la via europea, ma non sono mancati nuovi annunci incoraggianti, in primis il Fondo italiano per il clima gestito da Cdp.

Foto di copertina EPA/SEDAT SUNA

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