Non solo digitale: i cavi sottomarini come strumento geopolitico

I preoccupanti eventi degli ultimi mesi hanno acceso i fari sul dibattito circa la protezione delle infrastrutture critiche. Nonostante siano meno dibattuti rispetto, ad esempio, ad infrastrutture di tipo energetico o sanitario, i cavi sottomarini rappresentano un elemento fondamentale per la sicurezza e il regolare funzionamento della nostra società.

L’attuale situazione politica internazionale ha spinto diversi analisti ad evidenziare le vulnerabilità dei cavi sottomarini ad azioni ostili. Non da ultima, leruzione del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai del 15 gennaio, che ha danneggiato l’unico cavo sottomarino che connetteva la nazione di Tonga con il resto del mondo, ha gettato luce sulla rilevanza di questa infrastruttura.

Sebbene nell’era della gigabit society si possa pensare che la connettività globale si basi su reti immateriali come il cloud o su sistemi satellitari, circa 10 triliardi di transazioni finanziarie e molte informazioni cruciali per la sicurezza nazionale ogni giorno passano attraverso i cavi sottomarini, vale a dire il 95-99% del traffico internet globale.

Gran parte della nostra capacità di connetterci ad internet dipende, quindi, dalla disponibilità ed efficienza di questa infrastruttura – una dipendenza destinata ad aumentare, se si considera la rapida diffusione di servizi che richiedono un’alta intensità di larghezza di banda come cloud, 5G, intelligenza artificiale e Internet of Things.

Minacce all’infrastruttura

L’importanza strategica di questa infrastruttura la rende inevitabilmente esposta a molteplici rischi e vulnerabilità. Infatti, nonostante standard di affidabilità “cinque nove”, vale a dire del 99,999%, le interruzioni e gli incidenti non sono fenomeni rari, a causa dell’estensione complessiva dei cavi.

Circa il 40% di tali interruzioni dipendono da danni non intenzionali a seguito di attività quali la pesca a strascico o la calata di ancore. Generalmente, tali fenomeni vanno tipicamente ad interessare un singolo cavo, senza influenzare la performance complessiva della rete.

Danni all’infrastruttura sottomarina derivanti da fenomeni naturali quali terremoti, eruzioni vulcaniche, tsunami e frane sono invece responsabili per circa il 12% delle interruzioni e possono riguardare più cavi contemporaneamente, presentando quindi la possibilità di influenzare la performance dell’intero network. Oltre al più recente caso di Tonga, basti pensare, ad esempio, al terremoto del 2006 al largo delle coste di Taiwan, che compromise nove cavi e le comunicazioni in tutta la regione.

I cavi sottomarini sono stati inoltre oggetto di azioni ostili in passato, nel contesto di operazioni militari, terrorismo e spionaggio, cui si aggiunge anche il rischio di attacco informatico ai cosiddetti remote network management systems. Queste minacce intenzionali risponderebbero a dinamiche di natura politica, suggerendo la necessità analizzare questa infrastruttura non solo nella sua dimensione puramente tecnica, ma anche geopolitica.

Cavi sottomarini e geopolitica

La nascita e lo sviluppo dei cavi sottomarini sono collegati a specifici contesti geopolitici. Dal 1850, quando i primi cavi sono stati posizionati sul fondale del Canale della Manica, in breve tempo questa infrastruttura è diventata una questione quasi esclusiva del capitalismo politico britannico, con circa il 90% dei cavi costruiti a Londra in stretta connessione con la politica dell’Impero. Lo scheletro della prima globalizzazione si sviluppò dunque in questo contesto, protetta dal controllo degli stretti e dal pattugliamento della Royal Navy.

Dagli anni ‘80 in poi, l’avvento di nuove tecnologie e il dispiegamento della globalizzazione nei paesi orbitanti intorno agli Stati Uniti richiamarono la necessità di nuove “autostrade digitali” per il flusso di dati e informazioni, e il business dei cavi sottomarini fiorì in risposta a tale domanda. Esso si sviluppò tramite imprese e persone di diversa provenienza, ma si estese in luoghi e modi non diversi da come fece la prima infrastruttura dei cavi telegrafici, con la US Navy a fare le veci della flotta di Sua Maestà.

I cavi sottomarini rimangono tuttora un punto focale delle dinamiche internazionali. Ad esempio, le tensioni tra Stati Uniti e Cina, con quest’ultima determinata a mettere in discussione la globalizzazione statunitense tramite il progetto delle Nuove Vie della Seta, passano anche attraverso questa infrastruttura.

Il progetto PEACE, per esempio, è da inquadrarsi in tale iniziativa: una rete di cavi a trazione cinese che già connette il Pakistan all’Africa orientale e che mira ad estendersi fino alle coste francesi. Risulta inoltre interessante come le agenzie governative statunitensi non abbiano autorizzato l’attivazione di una parte di un cavo patrocinato da Google e Facebook che avrebbe connesso la California a Hong Kong, proprio per la minaccia che ciò avrebbe comportato per la sicurezza nazionale.

Questi eventi dimostrano come, nonostante il business dei cavi sottomarini sia svolto da attori e aziende del settore privato, le decisioni a riguardo non avvengono in completa autonomia. Tutt’altro: esse sono profondamente influenzate da tensioni e ambizioni geopolitiche.

Opportunità per l’Italia

Considerata la rilevanza dei cavi sottomarini nel contesto geopolitico moderno e le minacce a cui sono esposti, appare chiara la necessità di uno sguardo più attento al settore. Questa necessità interessa in particolar modo l’Italia dove, nonostante si siano registrati dei passi avanti nel campo della difesa cibernetica, l’importanza dell’infrastruttura dei cavi sottomarini rimane ancora poco discussa.

Per il sistema-Paese Italia, adottare una strategia a riguardo è fondamentale. Tale strategia deve essere mirata sia alla minimizzazione delle vulnerabilità sopracitate, sia alla valorizzazione della posizione strategica dell’Italia nell’hub del Mediterraneo, dove il Paese occupa un ruolo centrale rispetto alle rotte dei cavi sottomarini. In tal senso, approfondire il legame fra infrastrutture digitali e stabilizzazione politica nei paesi nordafricani e mediorientali sarebbe, per esempio, un ottimo inizio.

Foto di copertina EPA/OLIVER BERG

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