Le elezioni appena concluse per il sindaco di New York, i governatori di Virginia e New Jersey, e il referendum in California sulla ridefinizione dei collegi (o distretti) elettorali segnano una netta affermazione del Partito Democratico. I candidati di sinistra, progressisti e moderati, che fossero, hanno vinto ovunque con margini superiori alle attese, restituendo al partito un senso di coesione e di slancio che sembrava smarrito dopo la sconfitta alle presidenziali del 2024.
Oltre le attese
A New York, il candidato Zohran Mamdani ha superato il 50% dei voti, conquistando la carica di sindaco della città più grande, ricca e importante d’America. In Virginia, dove i Democratici avevano perso il governatorato nel 2021, la centrista Abigail Spanberger ha ottenuto il miglior risultato per i Democratici da decenni, a cui ha fatto eco l’elezione a procuratore generale dello stato del candidato democratico (nonostante uno scandalo che ne aveva messo in dubbio le chance di vittoria). In New Jersey, dove i sondaggi della vigilia indicavano un testa a testa, la vittoria della democratica Mikie Sherril è stata invece larga. In entrambi i casi, i risultati hanno superato di diversi punti quelli ottenuti da Kamala Harris nel 2024.
California rules
Un dato particolarmente significativo riguarda la California, dove il referendum che restituisce al governo statale l’autorità di ridisegnare i distretti elettorali è stato approvato con un ampio margine. La misura, proposta dal governatore Gavin Newsom, sospende per tre cicli elettorali (2026, 2028 e 2030) l’autorità di una commissione indipendente, che era stata introdotta con l’esplicito scopo di evitare il cosiddetto gerrymandering, l’infausta pratica di cambiare i collegi elettorali in modo da renderli più sicuri per questo o quel partito. Newsom ha esplicitamente presentato l’iniziativa come una rappresaglia contro le manovre in Texas, Missouri, Florida, Georgia e Ohio, dove le mappe elettorali sono state ridisegnate a vantaggio del Partito Repubblicano.
Il successo del referendum californiano dimostra che l’elettorato democratico sembra disposto a usare le stesse armi dei Repubblicani per non restare indietro in una contesa politica sempre più priva di regole condivise: il tempo dello “when they go low, we fly high” evocato da Michelle Obama sembra definitivamente tramontato. La strategia aggressiva di Newsom ha avuto esito positivo, accrescendone la visibilità nazionale e alimentando le sue ambizioni presidenziali.
Alta partecipazione
Un altro dato eloquente è l’elevato tasso di partecipazione. L’alta affluenza segna la prosecuzione di una tendenza recente che rovescia il modello storico: alle elezioni non presidenziali, erano tradizionalmente i Repubblicani a recarsi alle urne con maggior frequenza, mentre ora a mobilitarsi sono soprattutto i Democratici.
Evidentemente, l’elettorato progressista è desideroso di reagire a mesi di quella che percepisce come deriva autoritaria dell’Amministrazione Trump. I rastrellamenti arbitrari contro migranti (irregolari e non, e spesso anche di cittadini americani) da parte degli incappucciati di ICE, l’agenzia per l’immigrazione; l’invio di truppe federali in città governate da Democratici; la pressione sistematica su media, giudici, studi legali e università hanno prodotto un diffuso senso di allarme civico.
It’s affordability, stupid
Più difficile valutare l’impatto delle questioni economiche. Le tariffe imposte dall’amministrazione non sono popolari, ma i loro effetti negativi si sono fatti sentire soprattutto sugli esportatori agricoli di altri Stati. L’economia nazionale mostra segnali di rallentamento, ma senza recessione né cali significativi dell’occupazione. Un’eccezione in questo senso è New York, dove le questioni socio-economiche sono state centrali nella campagna di Mamdani.
L’elezione di un trentaquattrenne nato in Uganda, di origini indiane e religione musulmana, a sindaco della più grande città d’America sarebbe stata, fino a pochi anni fa, salutata come una vittoria dell’apertura multiculturale e del liberalismo progressista. Tutti questi elementi sono presenti in Mamdani, ma le radici del suo successo affondano altrove: nella rabbia anti-establishment e nel disagio economico.
Mamdani ha saputo canalizzare la frustrazione contro le élite locali, rappresentata emblematicamente dal suo avversario Andrew Cuomo, ex governatore e rampollo di una potente dinastia democratica dello Stato di New York. In questo, la sua ascesa ha qualcosa in comune con quella di Trump: entrambi hanno saputo trasformare il risentimento verso l’establishment in forza politica.
La campagna di Mamdani ha avuto come fulcro il tema dell’affordability: il costo insostenibile della vita a New York, esploso nel periodo post-pandemico. Mentre i suoi oppositori lo accusavano di antisemitismo per le sue dure critiche verso Israele — ha promesso di far arrestare il premier israeliano Binyamin Netanyahu se dovesse mettere piede in città — Mamdani ha insistito sugli standard di vita: affitti accessibili, trasporti pubblici gratuiti o quasi, ampliamento del welfare municipale e salari minimi più alti, finanziati da un modesto incremento delle imposte sui redditi più alti e sulle grandi aziende.
Uniti nella diversità?
Mamdani è oggi la nuova stella della sinistra sociale americana, accanto alla deputata federale Alexandria Ocasio-Cortez (che rappresenta il Bronx) e nel solco del socialismo democratico di Bernie Sanders. In questo senso, rappresenta, per i Repubblicani, il bersaglio ideale: giovane, inesperto, dichiaratamente socialista e apertamente critico verso Israele, è già stato definito da Donald Trump un communist lunatic (un “comunista fuori di testa).
Tuttavia, non è scontato che questo tipo di attacchi produca gli effetti desiderati. L’elettorato operaio che negli ultimi anni ha seguito Trump, è sensibile ai temi concreti – costo della vita, sanità, servizi pubblici – su cui Mamdani ha costruito la sua campagna. Ciò non significa che i Democratici possano considerarsi al riparo da tensioni interne o dall’offensiva repubblicana; ma i risultati di queste elezioni, che hanno premiato figure tanto diverse come il socialista Mamdani, il populista progressista Newsom e le moderate Sherrill e Spanberger, suggeriscono che la loro pluralità ideologica è più una risorsa che un limite. Almeno finché Donald Trump rimane il nemico comune, l’ampia coalizione democratica può mantenersi coesa (almeno elettoralmente) per la difesa dei diritti civili e benefit dall’illiberalismo e i pesanti tagli alla spesa sociale promossi dall’Amministrazione in carica.
Comincia la lunga battaglia per le midterm
Donald Trump, ancora una volta, esce sconfitto da un’elezione in cui non era direttamente candidato. Tuttavia, non sembra intenzionato ad attendere passivamente le elezioni di metà mandato (mid-term) del prossimo anno, che potrebbero restituire ai Democratici il controllo della Camera.
Gli ordini già impartiti a Texas, Florida, Missouri e altri Stati per ridisegnare i distretti in chiave apertamente partigiana sono soltanto l’inizio. Accuse di brogli, cambi di regole elettorali, uso delle forze federali con intenti intimidatori: tutto lascia presagire una campagna durissima. La battaglia per le midterm è appena cominciata, ma le elezioni di novembre hanno mostrato che, almeno per ora, la controffensiva democratica è vigorosa e politicamente coesa.
Coordinatore delle ricerche e responsabile del programma Attori globali dell’Istituto Affari Internazionali. I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle relazioni transatlantiche, in particolare sulle politiche di Stati Uniti ed Europa nel vicinato europeo. Di recente ha pubblicato un libro sul ruolo dell’Europa nella crisi nucleare iraniana,“Europe and Iran’s Nuclear Crisis. Lead Groups and EU Foreign Policy-Making” (Palgrave Macmillan, 2018).






