Majed al-Ansari, Consigliere del Primo Ministro del Qatar e Portavoce ufficiale del Ministero degli Affari Esteri, è intervenuto a un evento organizzato dallo IAI dal titolo “Europe and the Gulf: Roles in De-Escalating the Israel-Iran Conflict”, in dialogo con Maria Luisa Fantappiè.
Può raccontarci cosa è successo esattamente il giorno dell’attacco iraniano alla base americana in Qatar?
Il Qatar è un piccolo paese con una popolazione di meno di 3 milioni di persone, che non ha mai subito alcun attacco militare grave in tutta la sua storia, né nell’Ottocento, né dagli anni ‘70, quando ottenne l’indipendenza. Quella mattina, abbiamo ricevuto un’allerta di massimo livello per un attacco imminente contro il Qatar. La nostra macchina diplomatica ha iniziato a funzionare immediatamente, e tanto la risposta militare quanto quella politica miravano a garantire che l’attacco non avvenisse. Verso le 7:30, abbiamo ricevuto una comunicazione da parte del settore militare secondo cui il IRGC (Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche) aveva lanciato una prima raffica di sette missili verso la base aerea di Al Udeid Air: tutti erano stati abbattuti in mare; poi una seconda raffica di tredici altri missili, che erano stati tutti abbattuti tranne uno. In quel momento, ero seduto accanto al primo ministro dell’epoca. Alla mia sinistra, c’era il primo ministro. Alla mia destra, c’era il ministro di Stato, il dottor Mohammed AlKhulaifi. Era il nostro capo negoziatore con l’Iran. Ed è in quel momento che abbiamo saputo che il Presidente Trump voleva chiamare Sua Altezza. E la chiamata era fondamentalmente per informare Sua Altezza che ora era possibile grazie al loro coinvolgimento. L’escalation regionale significherebbe una minaccia diretta ai nostri interessi nazionali. E come conseguenza dell’escalation che ha avuto luogo la settimana scorsa, prima dal 23 giugno, il campo di Pars in Iran è stato attaccato, che è l’estremità settentrionale del nostro campo di gas al Nord, che rappresentava una delle più grandi minacce alla nostra sicurezza nazionale. Si trovava a 200 chilometri dalle nostre strutture offshore che ospitano circa 10.000 persone di 80 nazionalità diverse. E ovviamente qualsiasi ulteriore attacco a quel campo avrebbe significato evacuare e fermare la produzione di GNL (Gas Naturale Liquefatto), che sarebbe stato un grosso problema per la nostra economia, ma anche per la nostra reputazione nei mercati dell’energia a livello internazionale. C’è molta speculazione sul fatto che si trattasse di un attacco coordinato. Non lo era. È stato un attacco che abbiamo cercato di evitare, che abbiamo sempre temuto come scenario e contro cui abbiamo sempre elaborato strategie. È stato un attacco di cui non eravamo certi fino a quando non abbiamo avuto il primo avvertimento. In quel momento ero con il primo ministro nella sua casa: è allora che l’attacco è iniziato. Inoltre, non è stato un attacco innocuo. Vorrei chiarire questo punto. Le difese aeree che sono state schierate – circa tre batterie Patriot dislocate in due diverse località, più di 200 missili. Stiamo parlando di un costo enorme dal punto di militare ed economico, perché il nostro spazio aereo è stato chiuso per più di sei ore e la nostra compagnia aerea nazionale ha dovuto deviare i voli. Naturalmente, oltre al danno reputazionale in termini di sicurezza e protezione. Non si è trattato di un attacco innocuo contro il Qatar. Ma ancora una volta abbiamo scelto la pace, perché questo è ciò che tutti noi abbiamo imparato e questo è quello che faremo in futuro. Come siamo arrivati a questo accordo? Gran parte dell’accordo ha avuto a che fare con le manovre intorno a due diversi aspetti della discussione: un aspetto tecnico che riguardava ciò su cui entrambe le parti si sarebbero trovare d’accordo: qual è il linguaggio dell’accordo? Quali sarebbero i parametri del cessate il fuoco? Cosa significherebbe per i militari di entrambe le parti, chi avrebbe sferrato l’ultimo colpo, tutto questo tipo di informazioni tecniche. L’altra questione, che direi è importante quanto la prima, è l’ottica intorno al cessate il fuoco. Non potrò mai sottolineare abbastanza quanto importante sia stato l’elemento dell’orgoglio nazionale per entrambe le parti quando si è trattato di raggiungere un cessate il fuoco tra Iran e Israele. Come la narrazione politica dovesse essere controllata, da entrambe le parti, per assicurarsi che non ci fossero posizioni politiche che avrebbero portato al crollo del cessate il fuoco, e facendo entrambe le cose insieme, attraverso le nostre discussioni con entrambe le parti, in collegamento con gli americani, è ciò che ci ha portato al cessate il fuoco. E noi crediamo che il cessate il fuoco reggerà, finché lo slancio creato dal cessate il fuoco porterà ad altri punti positivi. Abbiamo udito le dichiarazioni positive degli Stati Uniti riguardo ai colloqui con l’Iran e quelle da parte dell’Iran sui colloqui con gli Stati Uniti, e avviare immediatamente quel processo, e assicurarsi che ci siano dei colloqui su questioni più ampie è l’unica salvaguardia contro un’altra escalation. Quando si tratta dei parametri per la de-escalation nella regione nel suo complesso, credo che sia molto importante ricordare sempre che il nucleo dell’escalation nella regione è ciò che sta accadendo a Gaza. La situazione a Gaza non sta solo causando un’escalation tra i palestinesi… L’Iran e gli israeliani, coinvolgendo gli americani in questa escalation, destabilizzando il Libano, la Siria, l’Iraq e lo Yemen, stanno anche provocando un’ondata di radicalizzazione e di sentimenti negativi verso l’Occidente che non dovremmo prendere alla leggera. Non si tratta di una conseguenza che dovrebbe essere controllata da due narrative politiche. Questo è in grande parte il risultato di questa escalation che va avanti ormai da più di due anni e che porterà a problemi per tutti noi, collettivamente nella regione, a meno che non siamo in grado di affrontarla. Per quanto riguarda ciò che possiamo fare insieme. Innanzitutto, permettetemi di dire molto rapidamente riguardo alle varie politiche, e cioè che noi crediamo che l’escalation che ha avuto luogo tra Israele e Iran abbia molto a che fare con la minaccia percepita piuttosto che con la minaccia reale. E quindi abbiamo bisogno di controllare la percezione più che […] la realtà sul campo. Quindi il ruolo degli Stati Uniti è molto importante, perché anche lì c’è una narrazione politica. C’è una questione di posizionamento politico. Non lo sottolineerò più di tanto, finché siamo in registrazione, ma penso che tutti capiscano di cosa sto parlando. Quindi gestire le percezioni, le narrazioni politiche e l’ottica è molto importante per entrambe le parti. Ora, cosa possiamo fare collettivamente? Ho avuto questa discussione non molto tempo fa, prima dell’escalation, a Bruxelles. Penso sia molto importante rendersi conto del nostro ruolo nel mondo di oggi. Stiamo assistendo a un’enorme polarizzazione in atto che, si ripropone ogni giorno. Stiamo assistendo a un’escalation nel Mar Cinese Meridionale, in Medio Oriente e in America Latina. Non si può mettere il dito su un qualsiasi punto della mappa senza vedere un’escalation potenziale che potrebbe verificarsi come risultato della polarizzazione in atto. Il nostro ruolo come medie potenze è quello di fare da cuscinetto tra le grandi potenze, tra i rivali e gli avversari, e la comunità internazionale, e contenere tutte queste forme di escalation che si stanno verificando in tutto il mondo. Uno dei punti salienti è stato il fatto che l’Oman e l’Italia sono stati i mediatori. Erano le forze convocatrici per l’Iran e gli Stati Uniti. E ciò ha dimostrato molto chiaramente che tra l’Europa nel suo complesso e il CCG nel suo insieme, tutti i paesi europei e i paesi del CCG, possiamo fare molto insieme, e so che stiamo facendo molto in Africa e in Medio Oriente, ma dobbiamo fare molto insieme, e deve essere integrato in un processo all’interno delle nostre istituzioni.
Quindi si può dire che questo è un punto di svolta per le relazioni tra Qatar e Iran che, come sappiamo, sono due paesi con relazioni consolidate da tantissimo tempo?
Prima di tutto vorrei dire molto chiaramente che abbiamo sempre mantenuto con l’Iran un rapporto compartimentato in modo da garantirne l’operatività. Abbiamo sempre avuto un buon rapporto di lavoro con gli iraniani; il Qatar non è il principale partner commerciale dell’Iran e del Consiglio, ma è sempre stato in grado di mantenere i contatti con gli iraniani. Ovviamente questo non è un momento facile, abbiamo 19 missili che rischiano di entrare nel nostro spazio aereo e che, se non fosse stato per grazia di Dio e per l’abilità e la competenza delle nostre forze armate, avrebbero potuto colpire sicuramente i nostri obiettivi e uno qualsiasi di questi razzi avrebbe potuto deviare e colpire i civili o causare i danni più gravi. Per fortuna questo non è successo, ma non è successo certo per caso, è successo grazie alla competenza delle nostre forze aeree come ho detto precedentemente.
Cosa significa questo per le relazioni con l’Iran? Prima di tutto abbiamo chiarito molto bene agli iraniani come la pensiamo su questo attacco. Abbiamo espresso una condanna immediata. Quella sera io stesso ero in conferenza stampa e ho lanciato un messaggio molto forte. Sua altezza ha anche ricevuto una telefonata dal Presidente iraniano, al quale ha chiarito che non si tratta di qualcosa che prendiamo alla leggera e che non sarà di certo qualcosa che lascerà il rapporto allo stesso punto in cui era prima. In più, il Primo Ministro ha detto in una conferenza stampa quel giorno che ora c’è una ferita nel rapporto che dobbiamo affrontare. Detto questo noi continuiamo a sostenere la pace, continuiamo a sostenere il dialogo nella regione. Questo è il motivo per cui ci siamo immediatamente attivati pochi minuti dopo la fine dell’attacco, per fungere appunto da mediatori con l’Iran. Continueremo a farlo e ci impegneremo a farlo, quindi questo sicuramente non cambierà.
Responsabile del programma Mediterraneo, Medioriente e Africa dell’Istituto Affari Internazionali. È stata consigliere speciale per il Medio Oriente e Nord Africa al Centro per il Dialogo Umanitario di Ginevra (2020-2023) e all’International Crisis Group (ICG) di Bruxelles (2012-2020).