Il prezzo e le opportunità della transizione ecologica

Sulle due sponde dell’Atlantico, soprattutto da quando negli Stati Uniti il partito Democratico è tornato alla presidenza, e in Germania si è insediata una nuova coalizione di centro sinistra, si dibatte della transizione ecologica e di una società con minori diseguaglianze sia di reddito sia di opportunità. La transizione ecologica ha come obiettivo la vivibilità a lungo termine del pianeta. Una società con minori diseguaglianze la legittimità dell’ordine politico liberale.

Le emissioni di anidride carbonica sono il prodotto: (a) della numerosità della popolazione, (b) del reddito pro capite, (c) del consumo di energia in rapporto al Pil, (d) delle emissioni inquinanti in rapporto all’Energia. Da cui la conclusione. Combinando il minor consumo di energia inquinante da parte di una popolazione meno numerosa e poco sprecona, ma abbastanza ricca per finanziare le riforme necessarie, si avrebbe il ritorno a un livello di inquinamento in grado di mantenere la media delle temperature che la natura è in grado di assorbire. Naturalmente il happy ending si avrebbe se tutto il mondo transitasse velocemente verso le energie rinnovabili. Va da sé che il percorso è molto più accidentato di quanto non appaia.

La riduzione della diseguaglianza

La riduzione della diseguaglianza non la si raggiunge con il ritorno dell’economia fordista – quella delle grandi concentrazioni operaie, che aveva un addensamento dei redditi entro il ceto medio. Con l’economia che oggi sta prevalendo, quella della conoscenza, sono, infatti, premiati i lavoratori molto e mediamente qualificati, con gli altri che diventano spesso dei precari. Con questa combinazione i redditi si divaricano. Si ha sia la divaricazione ‘statica’, le diseguaglianze nel reddito che sono meno marcate di quanto comunemente si creda, sia ‘dinamica’, la minore mobilità sociale, un andamento che interessa soprattutto gli Stati Uniti .

Si ha una prima divisione nell’economia della conoscenza dentro le metropoli fra chi ha un’occupazione qualificata e ben retribuita, e chi ha un’occupazione a bassa produttività e quindi a reddito modesto. Sorge poi una seconda divisione, oltre a quella fra le due fasce che vivono nelle metropoli, una divisione che separa le città di successo dalle piccole città e dalle aree rurali.

L’impatto dell’economia della conoscenza è osservabile anche nel rapporto fra Stati Uniti e Cina. In passato le tensioni erano sulle esportazioni cinesi di beni manufatti non compensate dalle esportazioni statunitensi. Oggi ciò che domina la discussione non è l’occupazione dei colletti blu, ma i microchip, il 5G, eccetera. Insomma, oggi è in gioco la leadership tecnologica.

L’intervento pervasivo dello Stato

La combinazione dello sviluppo dell’economia della conoscenza con quello delle energie chiede di riqualificare la spesa sociale sia per formare le nuove competenze sia per attenuare l’impatto della disoccupazione che si formerà nei settori tradizionali: siamo entrati a pieno titolo nell’epoca del rinnovato grande intervento dello Stato.

La prima fase di espansione della spesa dello Stato che si è avuta nel Secondo dopoguerra era finanziata dalla crescita delle imposte. La fase successiva di incremento della spesa non è stata più finanziata dalla crescita delle imposte per la resistenza di chi le pagava. Si è così passati prima al finanziamento della maggiore spesa con l’emissione di moneta e obbligazioni, e poi con le sole obbligazioni. La gran crescita della spesa ha finanziato lo Stato sociale.

L’intervento pubblico può assumere due forme. Quella che indica la direzione, ma non influenza i mezzi per giungervi, come nel caso della redistribuzione del reddito attraverso le imposte progressive. Non si indica che cosa debbano fare le imprese e gli individui, ma si accresce il reddito di chi guadagna di meno. Quella che indica la direzione, come si ha con gli incentivi che l’Amministrazione democratica metterà a disposizione di chi acquisterà una vettura elettrica statunitense prodotta dagli stabilimenti sindacalizzati e non semplicemente per l’acquisto di una vettura elettrica.

Come finanziare il maggior protagonismo statale

La crescita della spesa pubblica nel prossimo futuro, al di là delle sue diverse forme, sarà finanziata con delle maggiori imposte oppure con un maggior debito? Esiste una prima corrente di pensiero – quella del Modern Monetary Theory (MMT) – che crede che si possa espandere l’intervento pubblico – istruzione, sanità, infrastrutture – senza alzare le imposte – e quindi senza l’opposizione che si avrebbe da parte di chi le paga. Una crescita dell’intervento pubblico senza una crescita delle imposte si può avere con la banca centrale che stampa moneta a condizione che il sistema non generi inflazione.

Esiste una seconda corrente di pensiero. I seguaci delle politiche keynesiane tradizionali pensano che il moltiplicatore – di quanto aumenta il reddito nazionale per ogni euro aggiuntivo di spesa o di taglio delle imposte – sia maggiore di uno per la spesa pubblica per investimenti e inferiore a uno per il taglio delle imposte. Perciò, se si espandesse il bilancio in deficit per finanziare gli investimenti pubblici, il reddito nazionale crescerebbe più dell’aumento del debito emesso per finanziare la spesa aggiuntiva. Nel caso degli Stati Uniti, che hanno già un sistema di tassazione progressiva marcato, una crescita significativa della spesa sociale richiede un aumento delle imposte indirette.
Foto di copertina EPA/ROBERT PERRY

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