Lo spazio che cambia: AstroTalk con Luca Parmitano

Nel primo semestre del 2025 abbiamo assistito a un’accelerazione nel lancio di satelliti nella nuova corsa verso la Luna. Il programma Artemis presenta un’architettura molto più complessa di quella dell’Apollo, prevede infatti una stazione orbitante, allunaggi nell’area polare, che è molto più impegnativa rispetto agli atterraggi sull’ala equatoriale ed esplorazioni di lunga durata, anche più sostenibili. Alla luce di questa ambizione crescente, quando possiamo realisticamente aspettarci un nuovo allunaggio?

È una domanda estremamente complessa. Una volta si diceva “una domanda da 1 milione di dollari”. Questa è una domanda da 1 miliardo di dollari per vari motivi. Innanzitutto perché dovete considerare che proprio per la complessità dell’architettura del programma Artemis, che prevede come obiettivo finale l’esplorazione di lunga durata sulla superficie, è in maniera sostenibile, è sostenuta.

Cosa vuol dire questo? Che anziché partire da piccoli progetti e poi andare a variare in maniera sostanziale i mezzi e la tecnologia, si è deciso di partire già con programmi molto complessi. Ad esempio le astronavi che dovranno andare sulla superficie lunare, i lander, i mezzi che ci permetteranno di andare nella parte polare della Luna, come la stazione orbitante Gateway, sono programmi estremamente ambiziosi che hanno bisogno di tempo.

Questo significa che i primi passi saranno molto difficili, ma poi ci permetteranno di correre molto più velocemente e di andare molto più lontano. Ecco perché abbiamo notato dei ritardi all’inizio, in particolare con la missione Artemis 1, che ha traslato verso destra il lancio della missione Artemis 2 che si accinge a partire l’anno prossimo.

Da lì cosa mi aspetto? Credo che proprio nei prossimi mesi, o entro il 2026, vedremo i primi test di un possibile Lunar Lander, quindi l’evoluzione di quello che negli anni Sessanta-Settanta era il LEM, l’evoluzione di 60 anni dopo di un mezzo che permetta all’umanità di tornare sulla superficie.

E perché è così difficile farlo oggi quando era stato fatto negli anni Sessanta? Perché oggi è cambiato il mondo: è cambiata la percezione e l’accettazione del rischio. Quello che era possibile fare durante la Guerra Fredda, oggi non sarebbe accettabile dalla società, dalla popolazione né dalle agenzie spaziali stesse. Un fallimento o l’eventuale perdita di equipaggio comporterebbe fondamentalmente la chiusura, alla fine, di un programma. Ecco perché i primi passi devono necessariamente essere estremamente cauti, proprio perché ci aspettiamo che i nuovi sistemi siano molto più sostenibili e per questo la loro complessità è aumentata esponenzialmente.

La promessa è quella di tornare sulla superficie lunare entro il 2030, ma nel frattempo non stiamo con le mani in mano: l’anno prossimo partirà la missione Artemis 2 con il primo equipaggio ad andare oltre l’orbita bassa terrestre per la prima volta in 60 anni. Dopodiché sarà il momento di iniziare la costruzione del gateway: una stazione spaziale orbitante che ha delle innovazioni uniche e che quindi comportano delle complessità, in primis il fatto che sarà su un’orbita perpendicolare a quella di rotazione del sistema Terra-Luna. È un’orbita più instabile di quella equatoriale e quindi, anche da un punto di vista energetico, più difficile da gestire.

Tutto questo mi spinge a essere cauto anche nella mia previsione: non ho la sfera magica per prevedere il futuro, ma la nostra posizione come tecnici che lavorano nel campo dell’esplorazione spaziale è quella che è possibile entro la fine della decade tornare sulla superficie lunare.

E quale ruolo potrà avere l’Europa nello sviluppo della futura presenza umana nel nostro satellite naturale?

Mi sembra che sia già evidente dai primi passi dell’esplorazione lunare. Già dalla missione Artemis 1, la presenza europea è stata fondamentale perché l’astronave Orion – che è il mezzo di trasporto, almeno per le prossime missioni, per l’equipaggio – è solo in parte americana, ma è in buona parte europea. La parte forse più visibile, quella che trasporta l’equipaggio, è costruita dalla NASA, ma il modulo di servizio – che ha un nome forse non altrettanto sexy come Command Module, ma che ha una rilevanza estrema perché contiene sia i moduli di navigazione, i motori, il sistema di supporto alla vita e i sistemi di comunicazione – è stato costruito a livello europeo ed è una parte indispensabile del complesso. Quindi, già il contributo europeo della prima missione è fondamentale. Direi che siamo i copiloti per quanto riguarda il trasporto umano verso la Luna e dalla Luna.

Che poi questo contributo si consolida e si rafforza nella costruzione del Gateway, la stazione spaziale: i primi due principali moduli sono entrambi costruiti in Europa, in particolare in Italia, dove abbiamo una delle industrie di costruzioni aerospaziali più importanti al mondo, che ha già costruito più del 50% del volume pressurizzato nella stazione spaziale internazionale. Questi moduli, di cui uno è già stato consegnato agli Stati Uniti per l’allestimento in loco, mentre il secondo iHub – ovvero il modulo abitativo internazionale, che è il primo contributo europeo al Gateway – è attualmente in costruzione presso le nostre industrie, verranno lanciati entrambi potenzialmente tra la fine del 2027 e la prima metà del 2028 e quindi contribuiscono in maniera sostanziale, reale all’esplorazione lunare.

Sempre rimanendo in ambito di esplorazione, noi sappiamo che lo spazio è un ambiente sempre più affollato, competitivo e caratterizzato anche da un numero crescente di satelliti, detriti e attori commerciali. In questo scenario si affaccia la cosiddetta Space Domain Awareness di cui noi come IAI, come programma Difesa, sicurezza e spazio ci occupiamo moltissimo e che sta assumendo un’importanza strategica fondamentale, anche per il settore stesso della difesa. Oggi monitorare ciò che accade in orbita, dalle traiettorie degli oggetti al comportamento di sistemi potenzialmente non collaborativi, è diventato essenziale per garantire sicurezza, prevenire collisioni e proteggere le cosiddette infrastrutture spaziali da cui dipendono i servizi critici di cui usufruiamo qui sulla Terra. Dal tuo punto di vista di astronauta e di colonnello dell’aeronautica militare, quanto è centrale lo sviluppo di capacità avanzate di Space situational awareness?

Partiamo dal primo ruolo che è quello di colonnello dell’aeronautica militare. Ne parlo prima perché è la mia provenienza e chiaramente il ruolo dell’aeronautica militare in questo caso, per quanto riguarda l’Italia e in futuro per l’Europa, è centrale.

Non a caso il reparto sperimentale volo dell’aeronautica militare ha all’interno un ufficio di gestione dello spazio, proprio perché abbiamo compreso sin dall’inizio che lo spazio è un’estensione del dominio dell’aria e il dominio dell’aria è una competenza, per quanto riguarda il settore difesa, dell’aeronautica militare. L’interesse delle Forze Armate per gestire in maniera sempre più complessa lo spazio come parte del sistema difesa si può vedere già dall’evoluzione dell’interesse dell’aeronautica.

Per quanto mi riguarda, vedo una necessità per l’Europa di avere un sistema centralizzato che possa coordinare gli sforzi dei vari paesi membri e che tenga in considerazione non soltanto l’aspetto volante, ma anche l’aspetto del ground segment che deve essere sicuramente non solo modernizzato, ma anche integrato. Quindi l’idea di un sistema integrato, a livello sicuramente europeo e, perché no, anche NATO, è qualcosa sul quale dobbiamo ancora lavorare: siamo a uno stato avanzato dei lavori, ma bisogna iniziare a concretizzarlo.

Come astronauta di un’agenzia completamente civile, che è l’Agenzia Spaziale Europea, mi sembra evidente che gli ultimi accordi tra la Commissione Europea, in particolare Cubilius –  che ha dato il mandato all’ESA di integrare la parte spazio per safety and security ed è un sistema integrato di satelliti per la comunicazione e l’osservazione terrestre sia civile che militare – siano una forma assolutamente evidente di quanto anche la dirigenza politica si sia resa conto dell’importanza di avere questo tipo di sistema integrato.

Quale sarà la soluzione per i prossimi anni? Io mi aspetto alcuni passaggi.

Inizialmente sarà l’integrazione individuale dei paesi partecipanti con i sistemi già esistenti, quindi trasformazione e integrazione ai sistemi esistenti per modernizzare la comunicazione criptata e safety and security. Dopodiché si creerà una rete che permetterà ai paesi dell’Unione europea di cooperare in maniera indipendente con accesso ad hoc dei paesi non membri dell’Unione europea, ma che fanno parte del sistema integrato dell’Agenzia Spaziale Europea, per permettere anche loro di avere i propri sistemi di difesa. Mi riferisco a Paesi come il Regno Unito o la Norvegia, che non fanno parte dell’Unione Europea, ma sono assolutamente parte integrante dell’Agenzia Spaziale Europea e contribuiscono sia finanziariamente sia tecnologicamente allo sviluppo di questi sistemi.

Quali pensi che siano le priorità per migliorare la nostra capacità di leggere e comprendere ciò che accade in orbita nei prossimi anni?

Leggere e comprendere significa educare. È una duplice responsabilità.

Da una parte noi tecnici dobbiamo imparare a modificare e allargare il nostro linguaggio per semplificare quello che può essere uno sterile discorso estremamente tecnico e portarlo alla comprensione del pubblico. Perché alla fine è la popolazione che vota i leader che scelgono la direzione in cui tutti noi andiamo.

La seconda responsabilità, però, voglio lasciarla al pubblico perché deve essere la loro curiosità a promuovere la nostra capacità di divulgazione e a spingere le agenzie, gli individui, i tecnici, gli scienziati, gli esploratori a parlare di spazio in maniera dettagliata e comprensibile per dare a tutti la possibilità di comprendere l’importanza strategica, economica, ecologica, scientifica dello spazio che viviamo ogni giorno.

Ricercatrice junior nel programma “Difesa, sicurezza e spazio”  dell’Istituto Affari Internazionali. Ha lavorato per Formiche come redattrice di Airpress, mensile specializzato in politiche dell’Aerospazio e della Difesa.

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