Il Consiglio Supremo di difesa del 17 novembre scorso ha visto la presentazione, da parte del ministro della Difesa, del documento “Il contrasto alla guerra ibrida: una strategia attiva.” Il documento, oltre a incrementare la conoscenza del fenomeno a livello dei vertici della Repubblica, del Parlamento e dell’opinione pubblica, ha certificato l’impreparazione dell’Italia ad affrontare in modo sistemico questa nuova e articolata minaccia.
La guerra ibrida, intesa come forma di conflitto che utilizza modalità diversificate per avere ragione di un avversario, non è un fatto nuovo. Basti pensare, per restare nell’epoca moderna, al Blocco continentale messo in atto da Napoleone contro l’Impero britannico. Oggi però la guerra ibrida – intesa come conflitto che utilizza all’interno di una strategia unitaria elementi di guerra convenzionale e irregolare, guerra economica, atti di terrorismo, guerra psicologica, attacchi cibernetici ai sistemi produttivi e alle reti di servizi essenziali, operazioni di influenza e interferenze nei processi politici – è divenuta molto più efficace e quindi pericolosa, a causa del processo di globalizzazione dell’economia, della finanza e dell’informazione che ha reso le nazioni molto più interdipendenti e vulnerabili.
La seconda caratteristica della guerra ibrida, insita nella natura di talune delle sue modalità operative, è la negabilità plausibile. La nazione attaccante può disconoscere la paternità delle azioni condotte dai suoi proxy – termine che comprende entità non statuali, Stati falliti, organizzazioni terroristiche e criminali, gruppi economici e finanziari, pirati informatici e agenti – mantenendo il conflitto sotto la soglia della guerra aperta.
Questo ci porta a un terzo e rilevante aspetto: la guerra ibrida non si dichiara, si fa e basta; è con noi ogni giorno, agisce sulle nostre percezioni, ci rende insicuri e delegittima le nostre stesse istituzioni, apparentemente incapaci di governare gli eventi.
Siamo entrati nell’epoca del conflitto permanente, dove non c’è distinzione tra pace e guerra, a meno di non considerare la pace come la semplice assenza del confronto militare aperto. Ma nella guerra ibrida, l’uso dello strumento militare tradizionale è residuale; per certi versi, è l’ammissione del fallimento della guerra ibrida stessa.
Questa nuova situazione non è prevista dal nostro ordinamento statuale: basti pensare che il conferimento al governo dei poteri straordinari per fronteggiare un’aggressione è regolato da una complessa procedura prevista dall’art. 78 della Costituzione, “Deliberazione dello stato di guerra.”
La guerra ibrida, proprio per le sue caratteristiche e per la sua pericolosità, deve essere contrastata ogni giorno e questo va fatto mettendo in campo, con una equivalente strategia unitaria, tutti gli strumenti a disposizione dello Stato e tutte le risorse della nazione, civili e militari, pubbliche e private. Nessun ministero della Repubblica ha le competenze, le conoscenze, le esperienze e le risorse per affrontare da solo questa minaccia esistenziale.
Forse, per l’Italia è arrivato il momento di dotarsi di un Consiglio nazionale di sicurezza e difesa, sul modello del conosciutissimo National Security Council degli Stati Uniti, costituito nel 1947. Si tratta di un modello utilizzato anche in Europa: dalla Francia dal 2009, con il Conseil de Défense et de Sécurité Nationale, dal Regno Unito dal 2010, con il National Security Council e, dall’agosto di quest’anno, anche dalla Germania, con il Nationaler Sicherheitsrat, le cui competenze citano espressamente la guerra cyber e la minaccia ibrida.
Nel nuovo Consiglio, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Consigliere per la sicurezza e difesa, siederebbero i ministri competenti, i vertici delle Agenzie di informazioni per la sicurezza e dell’Autorità per la cybersicurezza, i vertici delle aziende responsabili dei servizi essenziali e delle industrie strategiche, i responsabili degli organismi indipendenti di controllo e di garanzia per le materie di interesse.
Il Consigliere per la sicurezza e difesa, per evitare un incremento delle figure competenti in materia di sicurezza, potrebbe essere associato all’incarico di Autorità delegata, figura prevista dalla legge n. 124 del 2007 “Sistema di informazioni per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto di Stato.” L’accorpamento delle due funzioni renderebbe più fluido l’indispensabile contributo delle due Agenzie di informazioni al contrasto della minaccia ibrida e manterrebbe incentrata in un’unica figura istituzionale le responsabilità in materia di attribuzione delle garanzie funzionali, altra materia regolata dalla legge n. 124 e tema sollevato dal documento del ministero della Difesa con riferimento all’opportunità di dover condurre azioni di difesa pro-attiva in campo cibernetico.
Il Consiglio sarebbe supportato da un Segretariato, con compiti amministrativi e di supporto, e da un Centro operativo permanentemente attivato, con funzioni di monitoraggio e di coordinamento. Centro che, nello specifico, sarebbe in collegamento diretto con tutte le strutture operative che, a diverso titolo, si occupano di sicurezza nei campi dove agisce la guerra ibrida, per riceverne dati situazionali su attacchi a essa riconducibili e monitorarne le risposte, attivando processi di coordinamento quando necessari o opportuni, ma senza sostituirsi a esse.
Un insieme di attività che, proprio per la complessità della guerra ibrida, potrebbero giovarsi di sistemi di comando e controllo supportati dall’intelligenza artificiale, in grado di esaminare e correlare in tempi rapidi eventi e informazioni, attività che richiederebbero tempi ben più lunghi se condotte in modo convenzionale. Il Centro fungerebbe anche da centro decisionale in caso di crisi di ampiezza tale da rendere necessario l’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Gestire la complessità, creare sinergie tra mondi molto diversi e guidati da logiche differenti, come militare e civile, come pubblico e privato, è la vera sfida che la guerra ibrida pone agli Stati. Una guerra combattuta senza regole, e proprio per questo, utilizzata preferibilmente da regimi autoritari. Una guerra già in corso; una minaccia esistenziale per le nazioni democratiche. Una minaccia che deve essere gestita attraverso la collegialità e la collaborazione, sotto l’autorità del vertice del potere esecutivo: il Presidente del Consiglio dei ministri. Affiancarlo con strutture di gestione del livello politico-strategico e del livello operativo idonee a contrastare la guerra ibrida non è più un’opzione, è una necessità urgente.
Una sfida che l’Italia deve vincere per garantire, a favore dei suoi cittadini, i valori fondanti della Repubblica e per continuare a far crescere il Paese, assicurando pace sociale, benessere e sicurezza.
Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali, già Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano da febbraio 2021 a febbraio 2024. In precedenza ha ricoperto numerosi incarichi di rilievo a livello internazionale e strategico, tra cui quello di addetto per l’Esercito presso l’Ambasciata d’Italia a Washington (2007-2010), e di Presidente del Comitato guida per l’implementazione del Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa (2016-2017).
Tra i suoi incarichi più significativi si annoverano quelli di Comandante per la Formazione, specializzazione e dottrina dell’Esercito (2017-2018) e di Capo di Gabinetto del Ministro della Difesa (2018-2021).






