Difendere l’Europa dall’Ue: la svolta “europeista” della destra sovranista

Il 2025 si sta rivelando un anno decisivo per l’Europa, con un susseguirsi di appuntamenti elettorali che stanno ridisegnando il panorama politico del continente. Dopo le elezioni tedesche e croate a inizio anno, nell’ultimo mese abbiamo seguito col fiato sospesole presidenziali in Romania e in Polonia. Ancora una volta, la destra sovranista è stata la protagonista del dibattito pubblico, dimostrando come, a prescindere dal risultato elettorale, sia diventata centrale nella politica del continente.

Una delle principali conseguenze di questa ascesa è l’evoluzione della posizione di questi partiti nei confronti dell’Ue. Molti di essi hanno infatti abbandonato il rifiuto del progetto di integrazione europea che li caratterizzava agli esordi. Al contrario, mirano oggi a riproporsi in una chiave più “europeista”, sebbene in un senso del tutto nuovo, connotato da valori di stampo nazionalista, sovranista e identitario. Forti di una presenza crescente nelle istituzioni, le destre sovraniste puntano a ritagliarsi un ruolo sempre più influente sul futuro dell’Unione.

Il linguaggio come strumento strategico: l’Europa dei valori

Tradizionalmente, i partiti euroscettici hanno sottolineato l’assenza di un’identità sovranazionale comune alla base del progetto europeo, un fattore che ne comporterebbe l’inevitabile fallimento. Era questa la posizione, ad esempio, di Margaret Thatcher: non esiste un popolo europeo, ma un insieme di nazionalità che possono associarsi solo sulla base di interessi, non di identità condivise.

Negli ultimi anni, tuttavia, si è gradualmente affermata una retorica (almeno in apparenza)diversa: l’estrema destra punta a ‘raccontare’ l’Europa come una famiglia di nazioni sovrane accomunate dalla tradizione storica e dalla religione cristiana (con una sottintesa implicazione razziale).

I partiti di destra sottolineano come questa idea di Europa sia oggi sotto minaccia: il progressismo liberale e cosmopolita promosso dai movimenti europeisti avrebbe tradito i valori tradizionali su cui si fonderebbe la civiltà europea, riducendo la sovranità degli stati-nazione e aprendo i confini ai migranti ‘invasori’, portatori di culture distanti e inassimilabili a quella europea. Il linguaggio di tali partiti ripropone sempre più questo dualismo: da un lato, un’Europa dei valori – tradizionalista, cristiana, e dunque “vera”; dall’altro, l’Ue allo stato attuale, una costruzione tecnocratica ed elitaria, fondata su astratti valori universalistici come il sovranazionalismo, il cosmopolitismo, l’inclusione sociale e il multilateralismo.

La destra sovranista su presenta come la protettrice di una civiltà europea in declino in una strategia discorsiva che mira a ridefinire il significato dell’europeismo tradizionale, che era e resta una visione politica legata al superamento dei nazionalismi in favore di un’integrazione sovranazionale.

Una strategia collaudata: dal PiS polacco e al gruppo ECR

Un caso esemplare di questa collaudata strategia, nonché protagonista delle ultime elezioni in Polonia, è il partito Diritto e Giustizia (PiS), sostenitore del candidato vincitore, Karol Nawrocki. Il PiS è noto per le sue passate tensioni con Bruxelles, date dalle frequenti violazioni dello stato di diritto – in particolare riguardo alla ridotta indipendenza della magistratura. L’Europa è stata a lungo il principale bersaglio – insieme all’immigrazione, a cui veniva sempre associata – della retorica belligerante del PiS.

Nei programmi elettorali più recenti, il linguaggio del PiS nei confronti dell’Ue è diventato più ambivalente. Pur mantenendo una distanza critica, il PiS riconosce ufficialmente “l’importanza e i risultati dell’Unione europea”, citando principalmente “la libertà di circolazione, il mercato comune e i sussidi per gli agricoltori”.

Il partito, dunque, non rinnega più il progetto di integrazione – del resto, la sua opposizione all’Ue è sempre stata più performativa che sostanziale; la Polonia ha usufruito di considerevoli trasferimenti fiscali dall’Ue e gli agricoltori polacchi (lo zoccolo duro dell’elettorato del PiS) sono fra i maggiori beneficiari della politica agricola comune. Tuttavia, il PiS subordina la sostenibilità dell’Ue all’esigenza di “riforme che trasformino questa comunità internazionale in una ‘Europa delle patrie”, fondata sulle tradizioni nazionali, il cristianesimo e la piena sovranità degli stati membri. Secondo la retorica del PiS, la crisi europea, prima che politica, è fortemente “morale”, legata alla perdita di valori fondamentali.

L’approccio ambivalente del PiS si inserisce in una più ampia strategia condivisa all’interno del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) al Parlamento europeo, di cui fanno parte anche Fratelli d’Italia e altri partiti sovranisti. Il manifesto elettorale di ECR per il 2024 riprende lo stesso schema discorsivo: riconoscimento dell’importanza dell’integrazione europea, purché ancorata al rispetto delle tradizioni nazionali e delle comuni radici culturali e religiose. Toni simili si ritrovano anche nel manifesto di Fratelli d’Italia, a conferma di una strategia discorsiva ormai consolidata.

Si delinea così un graduale tentativo di normalizzazione del sovranismo, che mira da qualche anno ad avvicinarsi al centro-destra tradizionale e a costruire un’alternativa legittima all’europeismo liberale. L’obiettivo finale potrebbe essere un nuovo polo conservatore europeo: in altre parole, la fine della politica di esclusione dell’estrema destra dalle maggioranze in Parlamento e Commissione, consentendo a queste forze di influenzare la direzione futura dell’integrazione a propria immagine.

La destra euroscettica gioca una partita sofisticata: non si oppone più frontalmente all’Ue, ma mira a ridefinirne l’identità, proponendo un’Europa alternativa, considerata più giusta e autentica. Lo scontro politico non si gioca solo sul terreno tecnico o economico, ma si sposta su quello culturale e simbolico. Questo nuovo modello, con la sua forza elettorale, ha già dimostrato di poter plasmare i toni del dibattito politico europeo. Non resta dunque che osservare gli appuntamenti elettorali dei prossimi anni, i quali rappresenteranno un vero e proprio referendum sul futuro dell’Europa – soprattutto in paesi con maggioranze europeiste, come la Francia e la Spagna.

Sara Stella

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