Il ‘martedì nero’ di Donald Trump

L’attenzione era tutta puntata sulla Georgia, dove ci sarà un ballottaggio il 6 dicembre. E, invece, la decisione fondamentale per il Senato nelle elezioni di Midterm è venuta dall’Ovest – da quello che un tempo era il Far West – dove il computo dei voti è tradizionalmente lentissimo e contestato. Arizona e in Nevada hanno decretato la conferma dei due senatori democratici uscenti. Un risultato che, seppur in bilico, ha quindi garantito ai democratici il controllo del Senato, comunque vada in Georgia.

Al momento i senatori democratici sono 50 e quelli repubblicani 49. Lo scenario peggiore vede l’ottenimento della parità fra democratici e repubblicani con 50 senatori per schieramento. Tuttavia, il vantaggio definitivo andrebbe ai democratici perché, in caso di parità, la decisione spetta al presidente del Senato, ovvero la vice-presidente degli Stati Uniti Kamala Harris. Alla Camera, invece, i seggi già assegnati ai repubblicani sono 212 – di cui 17 strappati ai rivali – e quelli già assegnati ai democratici sono 204 – di cui solo 5 sottratti ai repubblicani. Ne restano da assegnare ancora 19: la maggioranza da raggiungere è fissata a 218.

La disfatta inattesa

Gli stati di Arizona e Nevada riassumono il disastroso midterm di Donald Trump e dei suoi candidati. In Arizona, Mark Kelly, senatore uscente, ha battuto Blake Masters, che aveva l’appoggio dell’ex presidente Trump. Kelly, un ex astronauta, è il marito di Gabrielle Giffords, una ex deputata ferita in una sparatoria a Tucson nel 2011. In Arizona, anche Kari Lake, ex conduttrice televisiva e ‘trumpianissima’ candidata governatrice, è dietro, nel computo dei suffragi, a Katie Hobbs.

In Nevada, la democratica Catherine Cortez Masto – la prima ispanica eletta senatrice – ha conservato il suo seggio: a lungo dietro nello spoglio dei voti, ha superato in extremis il candidato repubblicano Adam Laxalt, su cui il Gop aveva molto investito. Laxalt, ‘ministro della Giustizia’ dello Stato, s’era molto battuto nel 2020 per rovesciare il risultato delle presidenziali in Nevada, perse da Trump.

A fronte di questi risultati, la corsa in Georgia perde pathos. Difficile dire chi ne trarrà vantaggio tra Raphael Warnock, democratico, senatore uscente, pastore nella chiesa di Atlanta che fu di Martin Luther King, cui potrebbe venire meno il supporto di una parte del suo elettorato – meno motivato ad andare a votare adesso che la partita non è più decisiva – e Herschel Walker, repubblicano, ex campione di football, un nero ‘trumpiano’ ai cui comizi non ci sono neri, un anti-abortista che pagava le sue fidanzate perché abortissero. A Walker potrebbero venire meno i suffragi di quei repubblicani – e sono molti – che l’hanno votato turandosi il naso, perché ne poteva dipendere il controllo del Senato.

A conti fatti, al Senato sarà stata determinante la disfatta repubblicana in Pennsylvania, tutta dovuta a Trump: il democratico John Fetterman ha battuto un suo uomo, il medico showman Mehmet Oz, strappando ai repubblicani il seggio di un anti-trumpiano, Pat Thomey, indotto a non ripresentarsi dall’ostilità del magnate.

Leader repubblicani in difficoltà alla Camera e al Senato

Alla Camera la corsa resta aperta, ma i repubblicani sono a un passo dalla maggioranza, anche se essa sarà risicata e non tale da garantire un pieno controllo dei meccanismi legislativi. Proprio fra i repubblicani sta emergendo un crinale netto fra ‘trumpiani’ e conservatori tradizionali.

Quanto profonda sia la spaccatura, lo si potrà misurare quando i gruppi sceglieranno i loro leader. Sia Mitch McConnell al Senato che Kevin McCarthy alla Camera non godono del favore di Trump e dei ‘trumpiani’: l’ex presidente, che si appresta a dichiarare, salvo sorprese, la sua ricandidatura alla nomination repubblicana alle presidenziali del 2024, contesta loro gli insuccessi che sono suoi: McConnell, ad esempio, ebbe l’ardire di definire “inadeguata” la qualità dei candidati scelti dal magnate.

McCarthy si porta dietro le stimmate di avere riconosciuto, a caldo, la responsabilità di Trump nella sommossa del 6 gennaio 2021, quando migliaia di facinorosi sobillati dall’allora presidente diedero l’assalto al Campidoglio per indurre deputati e senatori a sovvertire il risultato delle  presidenziali. Il deputato della California andò poi a Canossa, cioè a Mar-a-lago, a fare atto di sottomissione e a prendere ordini dal magnate, ma questo non è bastato ad emendare il suo ‘peccato’.

Per McConnell, il problema è minore: fra i 49 –  o ipotetici 50, senatori repubblicani – sembrano essercene abbastanza disposti a confermarlo. Per McCarthy, la difficoltà è maggiore: come capogruppo, potrebbe pure essere confermato, anche se non gli mancano i potenziali sfidanti. Tuttavia, quando si tratterà di eleggere lo speaker della Camera, se qualche oltranzista ‘trumpiano’ gli farà mancare l’appoggio, il deputato della California potrebbe non raggiungere la maggioranza necessaria.

Con il rischio che una Camera prevalentemente repubblicana si ritrovi uno speaker democratico.

Foto di copertina EPA/MARK LYONS

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