Grigory Yudin: “La guerra contro l’Ucraina è catastrofica anche per la società russa”

Grigory Yudin è uno scienziato politico e sociologo russo, un esperto di opinione pubblica e sondaggi in Russia. Il podcast dell’intervista realizzata da Nona Mikhelidze, ricercatrice senior dell’Istituto Affari Internazionali, è disponibile qui.

Vorrei iniziare con una domanda sul 24 febbraio. Si aspettava lo scoppio della guerra su larga scala? E cosa significa questa guerra per la Russia e per il suo futuro?

Sì, purtroppo me l’aspettavo! Avevo capito già nel 2020 che ci sarebbe stata una grande guerra contro l’Ucraina. E credo che dalla metà del 2021 tutto sia diventato ancora più chiaro. Voglio dire, era chiaro che ci sarebbe stato un grande scontro tra la Russia e la Nato. E dal 2021 era ovvio che la prima fase di questa guerra sarebbe avvenuta in Ucraina. Penso che fosse abbastanza ovvio soprattutto dopo la comparsa del famoso articolo del presidente Putin sull’Ucraina, al quale hanno fatto seguito molte analisi militari. Parlavano dell’imminente invasione, quindi aspettavo ogni giorno che la guerra scoppiasse. Questo, ovviamente, non ha reso la vicenda meno dolorosa!

Ho cominciato ad avvertire la gente di questa guerra imminente, sia in Europa, parlando con i politici europei, sia in Russia. Cercavo di far capire loro l’inevitabilità della guerra. Praticamente senza successo però, tutti erano scettici al riguardo.

Così siamo arrivati al 24 febbraio. Ora, parlando di cosa significa questa guerra per il futuro del Paese, la diagnosi generale è che a lungo termine tutto questo sarà devastante per la Russia. È una guerra suicida. La Russia ha avuto guerre ingloriose nel suo passato, ma questa è la guerra più stupida, la più catastrofica per il Paese stesso, perché fondamentalmente distrugge i legami che la Russia ha con quasi tutti i Paesi.

La Russia è davvero legata e culturalmente vicina agli ucraini, ovviamente, ma anche ai bielorussi che sono molto, molto coinvolti in questa guerra.

Questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto è la cosiddetta fratellanza slava, che ora si sta distruggendo. E poi l’appartenenza più ampia all’Europa, che è anche, ovviamente, assolutamente cruciale per la Russia. La Russia è un Paese molto speciale. Ha un posto speciale nella storia europea e non può essere separata dall’Europa. È assurdo che le persone ora parlino dell’avvicinamento alla Cina. Voglio dire, non capiscono nemmeno di cosa stiano parlando. La Russia è sempre stata un Paese europeo, da Kaliningrad a Vladivostok. E questo è estremamente evidente quando si esce per strada. Si tratta quindi di un suicidio, di un colpo di testa!

E poi come se non bastasse, è una guerra che non si può vincere. Non può essere vinta, non c’è nessuno scenario in cui la Russia possa avere successo a lungo termine. Quindi le conseguenze per la Russia saranno totalmente devastanti. Onestamente penso che questa sia una delle decisioni peggiori di tutta la storia russa… e la storia russa è ricca di decisioni non ponderate. Questa probabilmente è la peggiore.

E allora perché è stata presa questa decisione?

Beh, la decisione è stata presa da Putin e probabilmente anche da alcune persone a lui molto vicine. Ma ora dobbiamo rivalutare anche questo aspetto, perché prima pensavamo almeno che ci fosse un’élite di potere dietro di lui, ma dopo questa famosa riunione del Consiglio di sicurezza abbiamo dovuto riconsiderare questa assunzione perché molte delle persone che si pensavano molto, molto vicine al processo decisionale, si sono rivelate dei burattini, come tutti hanno avuto modo di vedere.

Quindi la decisione è stata presa dal Presidente stesso e per lui si tratta di una guerra difensiva. Si sta difendendo, si sente minacciato esistenzialmente. Pensa di essere molto vicino a essere ucciso e vuole proteggere la sua vita. E l’unico modo per proteggere la sua vita è rimanere al potere.

Stiamo parlando di due cose inseparabili: deve rimanere al potere per proteggere la sua vita e la sua posizione. La situazione negli ultimi anni si è lentamente deteriorata, sia internamente che esternamente. C’era un crescente senso di stanchezza per il governo di Putin, anche tra le persone che generalmente gli sono grate, era abbastanza evidente che c’era un significativo distacco dei giovani dal regime. Soprattutto negli ultimi quattro o cinque anni abbiamo assistito a una netta spaccatura negli atteggiamenti della popolazione tra gli anziani e i giovani. Questa era una parte del problema.

L’altra parte del problema era rappresentata dal fatto che l’Ucraina, in quanto Paese culturalmente molto vicino alla Russia, per lui era sul punto di ottenere un’alleanza militare con gli Stati Uniti. E questo avrebbe trasformato l’Ucraina in una roccaforte per le forze di opposizione contro Putin. Credo che il modo migliore per capire questo sia il paragone con il colonnello Gheddafi che ha affrontato il movimento di resistenza in Libia. Era pronto a schiacciarlo, a uccidere le persone, probabilmente centinaia di migliaia. Gli è stato impedito dalla Nato e alla fine è stato rovesciato e ucciso. E sappiamo che impressione ha avuto la morte di Gheddafi su Vladimir Putin. Ne è rimasto assolutamente scioccato, terribilmente scioccato.

Queste due cose di cui parlavo, le cause interne e le cause esterne, non vanno distinte perché qualsiasi tipo di opposizione o malcontento in Russia, Putin lo percepisce immediatamente come un complotto contro di lui orchestrato dall’Occidente. E anche questi atteggiamenti critici dei giovani sono intesi come il risultato della propaganda occidentale. Quindi per lui l’unico motivo per cui la gente potrebbe essere scontenta del regime è perché c’è una propaganda occidentale che opera per distorcere i valori russi che per lui sono importanti.

È così che si è arrivati all’idea di condurre una guerra inevitabile contro l’Occidente, contro la Nato e contro gli americani. Questi termini sono usati in modo intercambiabile e l’Ucraina è diventata solo il primo campo di battaglia, come dice lui, che la vede come anti-Russia. L’ha ripetuto molte volte, e questo è il significato: in sostanza da qui si può vedere che l’esistenza stessa dell’Ucraina è sentita come una minaccia per la Russia. E per Russia, ovviamente, intende sé stesso. Quindi l’esistenza stessa dell’Ucraina è già una minaccia mortale per la sua vita. Ecco come siamo arrivati all’inevitabilità di questa guerra.

Prima ha detto che per lei era chiaro che doveva esserci uno scontro con la Nato, e poi ha parlato delle cause interne ed esterne, delle ragioni che hanno portato Putin a invadere Ucraina. In tanti pensano che una delle cause per scatenare questa guerra fosse anche o soprattutto l’allargamento della Nato.

Sono d’accordo, ma solo con riserva. La stessa esistenza della Nato sarà sempre un fattore provocatorio per Putin per iniziare una guerra, a meno che non venga sciolta. Negli anni Novanta si era creata una chiara prospettiva di scioglimento della Nato dopo la fine della guerra e del Patto di Varsavia. Se il Patto di Varsavia non esisteva più, perché la Nato non avrebbe dovuto sciogliersi? O almeno rimodellare o riformulare in modo significativo i suoi obiettivi? Oppure si poteva parlare di inclusione della Russia in un sistema di sicurezza più ampio in Europa. Beh, questo è stato fatto, in una certa misura, con il consiglio Russia-Nato, ma dopotutto, forse ci si aspettava proprio il suo scioglimento. Non si è sciolta anche per ragioni comprensibili, perché c’erano i paesi dell’Europa orientale che giustamente si sentivano minacciati dalla Russia e facevano pressione per unirvisi.

È così che la Nato, forse anche non intenzionalmente, si è estesa a est, nonostante le promesse di non farlo. Promesse che non sono mai state formalizzate: non c’è mai stato un obbligo formale da parte della Nato di non espandersi, ma per la Russia si è trattato di un abuso della sua fiducia.

Ma in realtà, basta parlare della Nato… il vero problema è che la Russia, e in particolare Putin, non hanno mai considerato i vicini come paesi sovrani con i quali cercare un linguaggio comune dopo la dolorosa esperienza sovietica di coesistenza. La Russia non si è mai preoccupata di fornire le garanzie di sicurezza a quei Paesi, le garanzie che li avrebbero dissuasi dall’entrare nella Nato. Anzi, la Russia ha fatto di tutto per incoraggiarli a entrarci e sotto il governo di Putin la Nato si è espansa in modo significativo verso est.

Quindi, in pratica, ora Putin con questa guerra sta cercando di coprire il completo fallimento della sua politica estera. Lui non è stato in grado di impedire ai paesi vicini di entrare in questo blocco militare. Perché non li ha mai trattati come partner, li ha sempre considerati come nazioni inesistenti, paesi inesistenti. E questa è la vera radice del problema. Si può quindi parlare dello scioglimento o non scioglimento della Nato, ma poi la colpa è solo della folle politica estera di Putin.

Ripeto, non è stata la Nato ad espandersi. Sono stati i Paesi realmente, genuinamente volenterosi ad entrare in questo blocco. E questo è un problema enorme per la Russia, perché significa che quei Paesi hanno paura della Russia. Una politica ragionevole, ovviamente, sarebbe stata quella di renderli meno timorosi, di offrire loro qualcosa, di includerli in un sistema di sicurezza diverso, invece di ricattarli con il gas o con le armi, come ha sempre fatto Putin. Questo, secondo me, è vero fallimento per Putin.

Passando alla parte ideologica di questa guerra e all’idea di Putin di creare Ruskyi Mir, il mondo russo: il concetto, da come è stato disegnato, ha sempre riguardato un mondo fatto da popoli ma non da cittadini con senso civico, non dalla società civile. Insomma, un concetto che rispecchiava la Russia dove i russi sono sottomessi al sistema autoritario. Quindi stiamo parlando di un modello completamente opposto a quello Ucraino dove, soprattutto dal 2014, dopo la rivoluzione di Euromaidan, stiamo assistendo alla creazione di una società civile vibrante e di una governance liberale. Due cose che il Cremlino ha sempre impedito che accadessero in Russia. Non pensa che questa guerra sia anche lo scontro fra questi due mondi diversi?

Credo sia giusto descrivere questa guerra come una lotta tra due sistemi politici molto diversi, visioni politiche molto diverse di ciò che costituisce lo spazio post-sovietico. Una può essere sommariamente descritta come il sistema imperiale, non necessariamente nel senso espansionistico, nonostante abbia anche questa caratteristica, ma piuttosto il modo di strutturare il sistema politico, che è monarchico in Russia.

Non so se la gente ne sia consapevole, ma in realtà la concentrazione di potere in Russia è quasi senza precedenti per il nostro Paese. Non è vero che la Russia è sempre stata così. Ci sono probabilmente episodi nella storia russa in cui abbiamo avuto questa concentrazione di potere politico, ma non spesso. Probabilmente è successo con Stalin ad un certo punto. Probabilmente, anche se il paragone non è esatto, con Ivan il Terribile e, in una certa misura, con Pietro il grande. Altri, come Nicola I, hanno cercato di farlo, ma in realtà non ci sono mai riusciti. Quindi ora stiamo assistendo a qualcosa di quasi senza precedenti nella storia. Si tratta di uno Stato ultra-monarchico. Questa è l’immagine della struttura dello spazio politico. E questo vale per tutta la Russia, perché ovunque, a ogni livello, ci sono quei piccoli Putin che pensano fondamentalmente che usare la violenza e la forza sia l’unico modo per governare nel servizio pubblico e nelle imprese. Questa è l’intera filosofia.

E poi c’è la filosofia repubblicana, che è il caso dell’Ucraina, che si contrappone ad essa con una posizione molto più pluralistica e con una maggiore fiducia in alcune fazioni indipendenti del potere. Perciò nel sistema politico ucraino l’élite è molto meno consolidata attorno ad un unico leader. Il sistema è oligarchico, ma ha anche un significativo elemento democratico, perché sappiamo che gli ucraini hanno sviluppato una cultura politica che ha sempre il potenziale per una rivolta, per una rivoluzione.

Si tratta quindi di due visioni molto, molto diverse ed è importante vedere come queste visioni si riflettono in ciascuno di questi Paesi. Guardate cosa sta succedendo in Ucraina. C’è la prevalenza di questo punto di vista repubblicano, ma ci sono anche persone che sono felici di essere, diciamo così, liberate da Putin, perché hanno questo atteggiamento imperiale, si sentono più naturali nel ripristinare l’impero.

Si pensi alla Bielorussia: lì c’è una situazione molto interessante. Abbiamo il presidente che appoggia questa visione imperiale e più o meno tutta la popolazione è contraria e viene terrorizzata per questo. I bielorussi sono ovviamente per la maggior parte dei repubblicani. E poi ci sono i russi, ma c’è lo stesso problema: la stessa lotta tra coloro che sostengono Putin e quelli che cercano un’impostazione repubblicana nel Paese. Quindi, in sostanza, in questi Paesi c’è la stessa, identica lotta. E questo spiega, ovviamente, perché alcune persone in Russia provano maggiore simpatia per gli ucraini, non perché siano grandi fan dell’Ucraina o della cultura ucraina o di qualsiasi altra cosa, o del nazionalismo ucraino, ma solo perché vedono la situazione come uno scontro tra la visione repubblicana e imperialista. Lo stesso vale per la Bielorussia e il Kazakistan in una certa misura.

Questo è ciò che stiamo vedendo. Ed è per questo che penso che etichettare questa guerra come guerra russo-ucraina sia in realtà fuorviante. Non si tratta di russi contro ucraini. Si tratta di una guerra fra due modelli politici molto diversi.

Come viene percepita oggi la guerra dalla società russa? E che dire dell’indice di gradimento del presidente Putin? Se non sbaglio, il centro di Levada lo dava intorno all’82% ad aprile… Ora, capisco che non possiamo prendere sul serio i sondaggi condotti in sistemi autoritari, specialmente in tempo di guerra, ma forse possiamo comunque spiegare qualcosa sui sentimenti dei russi e della società nei confronti della guerra.

Permettetemi di introdurre il concetto. La Russia è un sistema plebiscitario, il che significa che il potere dell’imperatore si basa sul ricevere il sostegno popolare attraverso i plebisciti. Quindi l’imperatore sovrasta l’intero sistema politico, sostenendo di avere una legittimità popolare e per lui anche democratica! E questo è fondamentalmente il bastone con cui minaccia la sua élite, la sua burocrazia, ma anche il popolo stesso, perché la Russia è un Paese molto depoliticizzato. L’unico modo per i russi di sapere cosa pensano i russi è guardare la televisione e osservare i numeri dei sondaggi, perché normalmente i russi non comunicano tra di loro. Quindi il modo più semplice per sapere cosa pensa il tuo vicino è accendere la TV e guardare gli ultimi numeri dei sondaggi.

Dialogare, comunicare con il prossimo non è usuale per molte persone in Russia. Si tratta quindi di un sistema plebiscitario in cui il leader riceve la cosiddetta “acclamazione” da parte del popolo. Ora abbiamo diverse istituzioni per l’“acclamazione”. Abbiamo, naturalmente, le elezioni, che sono di carattere plebiscitario e “acclamazione” significa che coloro che partecipano alle elezioni o a qualsiasi tipo di votazione non le vedono come un meccanismo per fare una scelta tra vari candidati, ma piuttosto come una convalida di una decisione già presa. Quindi c’è il leader che prende la decisione e il popolo che acclama questa decisione. Questa è l’idea delle elezioni in Russia sia durante il voto nazionale o presidenziale che alle amministrative.

Questo è anche il caso dei veri e propri plebisciti. Nel 2020 abbiamo avuto una sorta di gioco costituzionale, quando a Putin si è data la possibilità di rimanere al potere fino al 2036. Dico gioco costituzionale perché ha costituito una convalida di una decisione già presa ed era anche inquadrata in questo modo, perché tecnicamente il plebiscito non era necessario dal punto di vista costituzionale, era superfluo, ma doveva essere convalidato dalla popolazione.

La stessa cosa accade con i sondaggi d’opinione che funzionano anch’essi in questo modo, in modo che la gente capisca che le si chiede di acclamare il leader. E questo è ancora più vero durante i periodi di emergenza come questo, perché fondamentalmente tutti coloro che vengono contattati con il sondaggio capiscono che gli viene chiesto di acclamare il leader. Probabilmente le persone reagirebbero in modo diverso. Alcuni direbbero: “no, non acclamerei, odio Putin”, ma questo non cambia il quadro generale. Il quadro di base è che viene chiesto di acclamare. Ovviamente è possibile sfidarlo, ma è comunque inteso come una richiesta di acclamazione.

Non tutti i russi sono disposti a giocare a questo gioco. E quindi il segreto che viene nascosto è che i tassi di risposta sulle domande poste dai sondaggi sono molto, molto bassi. Questi dati di solito non vengono riportati ma, dall’esperienza che abbiamo avuto sappiamo che sono, in qualche modo, a seconda della metodologia, tra il 7 e il 15% del campione iniziale. Cosa pensa il resto della gente non lo sappiamo, perché le persone tendono a non rispondere. Piuttosto che sfidarlo o acclamarlo, tendono fondamentalmente a non rispondere.

Questo ci dice molto sui russi, perché i russi non vogliono avere a che fare con la politica. Vivono la loro vita privata. Ed è così che è stato costruito questo regime. Gli è stato chiesto di non occuparsi della politica, quindi alla gente non interessa la politica e non importa dell’Ucraina. L’unica cosa di cui si preoccupano è la loro vita privata orientata al consumismo. Ai russi interessa pagare i mutui e forse fare carriera. Quindi questo è ciò di cui si preoccupano. Il resto può essere delegato al Putin di turno. Putin è lì, pensa lui a tutto. Se lui pensa che gli ucraini siano nazisti, beh, saprà lui come affrontarli. Quindi la popolazione è molto depoliticizzata. E credo che il modo migliore per spiegare questo, per spiegare questi indici di gradimento, sia di immaginare il 24 febbraio in un modo diverso. Immaginiamo che Putin avesse detto che per motivi di sicurezza la Russia dovesse restituire Donetsk e Lugansk all’Ucraina. Il tasso di approvazione sarebbe stato esattamente lo stesso di oggi. Assolutamente lo stesso, perché l’approccio è questo: Putin sa meglio di noi.

Allora questo vuol dire che in realtà c’è una via d’uscita da questa guerra per Putin, perché qualsiasi tipo di risultato può essere descritto come una vittoria e verrà accettato dalla società

Credo che questo sia vero solo fino ad un certo punto. Voglio dire, se si sottolinea la sua capacità di imporre ogni tipo di decisione alla popolazione e di ottenere l’acclamazione, penso che allora lei abbia ragione. Ma dal momento che la posta in gioco è alta e ovviamente richiede alcuni sacrifici da parte della popolazione russa – ed è molto, molto chiaro che ci saranno sacrifici – allora penso che ci sia un’aspettativa generale di una vittoria significativa.

Ormai questa guerra è stata inquadrata come la lotta esistenziale per la Russia. Questa non è una lotta per il Donbass. Non so perché le persone in Europa abbiano questa idea folle che si tratti di una lotta per il Donbass. No, questa è una lotta esistenziale per la Russia, con la quale la Russia deve sconfiggere l’Occidente. Questa è la missione e non quella di prendere Kramatorsk. Questo aspetto è così secondario rispetto a ciò che sta accadendo. Il 99% dei russi non sa neanche dove si trovi Kramatorsk. Quindi questa è una lotta esistenziale e conquistare Kramatorsk è solo il primo passo.

Ma se l’esercito russo dovesse davvero fallire in Ucraina, cedendo, ad esempio, i territori controllati prima del 24 febbraio, sarebbe davvero difficile per Putin venderla come una vittoria. Il problema non sono tanto i numeri dei sondaggi, ma alcuni strati della società russa, che si renderebbero improvvisamente conto che Putin può anche fallire, perché l’intero potere politico si regge sulla forte convinzione che Putin vince sempre. Se lui non vince, se qualcuno comincia a dubitare della sua vittoria, la situazione cambierebbe.

Il cambiamento, però, non si rifletterebbe subito nei sondaggi d’opinione, perché lì funziona al contrario: ci sarà per primo un vero e proprio cambio di potere, e poi si vedrà come questo si rifletterà nei sondaggi d’opinione, e non il contrario. Non vincere questa guerra, credo, potrebbe significare la fine di questo regime.

Ma nella realtà russa che sta descrivendo, cosa potrebbe essere percepito come un fallimento dell’operazione militare e cosa come una vittoria? Cioè, qual è il minimo che dovrebbe essere raggiunto per dichiarare la vittoria?

È difficile a dirsi. Beh, per quanto riguarda il fallimento, è abbastanza facile: in realtà dovrebbe essere una sconfitta militare, una vera e propria sconfitta, che non lascia spazio per le interpretazioni. Quindi…

… quindi lo status quo prima del 24 febbraio?

Si, ma ormai il 24 febbraio è militarmente impossibile perché se l’Ucraina riuscisse a respingere le forze armate russe fino alle posizioni pre-24 febbraio, perché dovrebbe fermarsi lì? Voglio dire, in Donbass non ci sono confini naturali. La Crimea è una questione diversa, forse lì ci sono confini naturali, ma, per quanto riguarda il Donbass, il pre-24 febbraio è andato per sempre. Non sarà mai ripristinata quella linea di separazione delle forze. Quindi questa sarebbe una vera e propria sconfitta.

Per quanto riguarda la vittoria, come ho detto, la conquista e l’annessione delle quattro regioni – Zaporizhia, Kherson e dell’intero Lugansk e Donetsk – sarebbe la prima tappa. Questa sarebbe una sorta di vittoria, visto che Putin non controllava tutte le quattro regioni prima. Si tratterebbe quindi di un’acquisizione e credo che sarebbe un passo preliminare per un’ulteriore espansione, che includerebbe sicuramente Transnistria e presumo anche l’intera Moldavia. Ora abbiamo questo limbo con il sud Ossezia. L’Abkhazia è forse più difficile, ma il sud Ossezia sicuramente verrebbe incluso in Russia. Quindi questo sarebbe un passo preliminare verso ulteriori annessioni. E poi si andrà sempre più avanti perché, ancora una volta, qua non si tratta di ripristinare l’appartenenza imperiale all’Unione Sovietica, no, si tratta di spezzare la schiena all’Occidente. Per questo motivo mi aspetto che il prossimo passo avvenga molto presto dopo questa sorta di vittoria.

Quindi non ci sarà nessun negoziato fra Russia e Ucraina in un futuro vicino?

Assolutamente no!

La maggior parte delle sanzioni occidentali prende di mira l’economia e l’establishment politico della Russia, mentre altre mirano specificamente all’arte e alla cultura russa. Questo sta causando molte discussioni e speculazioni qui in Occidente sulla “cancel culture”. Qual è la sua opinione in merito?

A dire il vero, credo che sia un fenomeno enormemente esagerato. Voglio dire, a parte alcuni casi spiegabili di reazione eccessiva, personalmente non ne sono stato colpito. Nessuna persona che conosco è stata colpita da una sorta di boicottaggio immeritato o qualcosa del genere.

Ammetto che ci siano stati casi di reazione eccessiva, ma sono abbastanza comprensibili. E dietro c’è una lobby ucraina. Posso capirli. Ad essere onesti, penso che stiano facendo qualcosa di controproducente per loro stessi, perché fondamentalmente dicendo: “beh, guardate che tutti i russi sono come Putin”, stanno rendendo il miglior servizio a Putin stesso, perché in questo modo trasmettono questo tipo di messaggio agli italiani, per esempio, o ai tedeschi… E come vuoi che reagiscano gli Europei? Diranno che se tutta la Russia è così, allora è meglio negoziare con Putin, tanto non si può fare la guerra e sconfiggere l’intera Russia. Quindi forse gli ucraini sbagliano quando promuovono la narrazione che tutti i russi sono uguali, anche se capisco perfettamente la loro rabbia. E penso che questa reazione sia in misura significativa giustificata.

In generale penso che, anziché lamentarsi di un trattamento immeritato, si dovrebbe far sentire la propria voce e esprimersi contro la guerra. Altrimenti è un’ipocrisia. Se si sostiene questa enorme guerra fondamentalmente contro l’intera Europa, cosa ci si può aspettare? Un’accoglienza di benvenuto da parte degli europei? Questa è ipocrisia. Perché qua non si chiede di sostenere gli ucraini. La questione è diversa, perché ovviamente i soldati russi stanno morendo e questo crea naturalmente un problema morale per i russi. Bisogna semplicemente dire “non in mio nome! questa guerra non in mio nome!”. Penso che questo sarebbe sufficiente per far capire che si è contrari alla guerra.

Non credo che si tratti veramente di cancel culture o come la chiamate ora. Ovviamente ci sono misure che colpiscono tutti e, ad essere onesti, personalmente subisco un danno collaterale. Viaggiare in Europa è diventato complicato. Proprio ieri sera stavo pensando a come viaggiare in Germania. È logisticamente molto difficile. E poi non posso pagare il biglietto per il viaggio perché le mie carte sono bloccate. Quindi è davvero difficile, ma c’è poco da lamentarsi.  È la guerra. Voglio dire, gli ucraini sono stati e continuano ad essere bombardati quindi perché dobbiamo sorprenderci che le sanzioni ci portino dei danni collaterali? Ci sono alcune misure o azioni alle quali non dobbiamo opporci e lamentarci.

Non penso che siano moralmente sbagliate, penso solo che sanzioni contro le strutture di istruzione e cultura siano controproducenti. Non me ne lamento: gli europei sono liberi di imporle. Penso solo che siano controproducenti. Voglio dire, guardate per esempio, all’università di Tartu in Estonia: ora non sono più disposti ad accettare gli studenti russi… Ripeto, non mi lamento, ma credo solo che azioni simili siano controproducenti perché in pratica fanno il gioco di Putin consolidando la sua immagine come rappresentante di tutti i russi, il che non è assolutamente vero.

Lei ha detto che alcune persone appoggiano questa guerra mentre altri forse dicono “non in mio nome”. Fino a che punto è responsabile la società russa di questa guerra? E, in termini generali, cosa pensa della colpa collettiva e della responsabilità collettiva?

Perché la società russa sia responsabile della guerra, dovremmo avere chiaro cosa sia la società russa. Ma non esiste nulla che possa esser definito come “la società russa”. Si pensa che sia la collettività a prendere questa decisione, ma non è vero. Ancora una volta, l’intero regime politico è stato costruito sulla distruzione di qualsiasi tipo di soggettività politica.

È difficile, credo, per molte persone in Europa capire fino a che punto sia stata distrutta la concezione di essere soggetti, attori in politica. Qualsiasi discorso su qualsiasi tipo di azione politica, qualsiasi tipo di pensiero normativo, tutto è diventato illegittimo in Russia. Tanto per fare un esempio: anche solo pensare di discutere di migliorare qualcosa nelle nostre vite è già percepito come un’assurdità perché, per come è strutturato il mondo, le cose non possono essere migliorate. Questo è come i russi si approcciano alla vita e al loro posto nella vita politica.

I russi pensano che il mondo sia fondamentalmente un brutto posto. Lo ha detto anche Putin: durante la conferenza stampa dopo l’incontro con Biden, è stato abbastanza chiaro nel dichiarare che “nel mondo non esiste la felicità”. Perché mi chiedete di migliorare il mondo? Il mondo non può essere migliore di quello che è. È solo un luogo in cui gli esseri umani si uccidono a vicenda. Questo è normale. Questo è ciò che gli esseri umani fanno normalmente”.

E questo è un pensiero abbastanza diffuso in Russia. Un pensiero notevolmente sottovalutato ma che preclude qualsiasi possibilità di azione politica collettiva. Se non ti fidi di nessuno, perché dovresti impegnarti in qualcosa con il prossimo? Così uno finisce a preoccuparsi solo di sé stesso, dei suoi soldi, dei suoi affari personali. Quindi, credo, che l’intera questione della responsabilità della società russa sia del tutto irrilevante.

Naturalmente questo non esime i russi dalla responsabilità individuale, ma credo che la responsabilità stia nell’altro… Dobbiamo distinguere due cose: non si tratta dei russi che sostengono davvero questa guerra, non è questo il caso finora, ma si tratta della loro indifferenza. Vedo una sorta di fascistizzazione della società e questo è molto pericoloso. Questa completa indifferenza alla sofferenza umana è un problema importante. Ma questo è sempre stato un problema in Russia: i russi sono indifferenti non solo nei confronti degli ucraini ma anche verso i propri compaesani. Per esempio, lei pensa che la gente si preoccupi davvero delle sofferenze della gente di, non so, Krasnodar? No, per niente! Finché non è un mio problema non mi interessa! Quindi questo è il vero problema: la totale mancanza di idea di responsabilità per i problemi politici e sociali, e questo è ciò che rende le cose terribilmente pericolose. Implica, infatti, che qualsiasi azione da parte del governo venga percepita come qualcosa al di fuori del controllo del singolo, che quindi non ha alcuna responsabilità su qualsiasi cosa stia accadendo in Russia. Questo credo sia terribile e qui sta il problema, perché la gente dice: “Non mi piace questa guerra, ma cosa ha a che fare con me? Non è affar mio, non potrei cambiare nulla, come potete chiedermi di oppormi a questa guerra? Potrei oppormi, ma in quel caso probabilmente perderei il lavoro”.

Questo senso di impotenza diffusa nella società è stato alimentato e poi strategicamente usato da Putin. E in questo e, voglio sottolineare questo punto, Putin è stato aiutato in modo significativo dagli europei, dalle élite globali in generale, ma soprattutto dagli europei. Perché ogni volta che i russi cercavano di trovare una soggettività politica, di condurre qualche azione politica, di resistere, di impedire che accadessero le cose peggiori, ogni volta Putin riceveva un enorme sostegno dall’Europa, enormi contratti finanziari, enormi investimenti… Insomma, si è creata inevitabilmente una situazione strana. Beh, voglio dire, non stiamo chiedendo aiuto per risolvere i nostri problemi, ma potreste per favore non aiutare Putin almeno in modo massiccio? Ogni volta che c’è un movimento di resistenza, lui ottiene immediatamente un grande accordo che porta milioni in Russia e che viene poi investito nell’esercito per sopprimere la protesta… Beh, questo ovviamente fa sentire la gente disperata. Questo sentimento di disperazione può essere spiegato, ma n

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